Latina

Colombia: situazione incandescente

Cristiano Morsolin, giornalista minacciato a Bogotà, racconta la Colombia oggi
23 maggio 2005
Stella Spinelli
Fonte: Peace Reporter

In Colombia la situazione rimane incadescente. A raccontarci cosa stia realmente accadendo nel Paese sudamericano martoriato da quaranta anni di conflitto è Cristiano Morsolin, cooperante e giornalista italiano, che è stato costretto a fuggire da Bogotà perché minacciato di morte.

L'antecedente.
Da alcuni mesi in Colombia per lavorare come cooperante in vari progetti di ong, Morsolin aveva denunciato la strage compiuta dai militari nella comunità di pace San Josè de Apartadó, contribuendo così a mobilitare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sul caso.
Un'azione di denuncia che gli ha attirato contro le ire dei responsabili dell'eccidio, i quali non hanno perso tempo: con lettere minatorie e pedinamenti lo hanno costretto ad abbandonare la città, il Paese.

Non arrendersi al silenzio.
E' il silenzio il primo connivente, il primo complice del massacro che sta avvenendo nel Paese andino da decenni, del sangue delle migliaia e migliaia di vittime versato per gli scontri fra guerriglieri e paramilitari appoggiati dall'esercito. E contro il silenzio, Morsolin continua a raccontare quanto siano in pericolo i colombiani.
"Per il Presidente della Repubblica non succede niente a livello di ordine sociale e considera nemici della sua rielezione, nemici della patria e dello sviluppo della nazione, coloro che si sono inventati la guerra. Per il Presidente Uribe, i massacri, gli assassinati, i desplazados, le massiccie violazioni dei diritti umani sono fatti meramente fortuiti, casi isolati che in nessun modo hanno un significato politico" ha spiegato il giornalista, citando quanto espresso da Luis Evelis Andrade Casama, Presidente dell’Organizzazione Nazionale degli indigeni della Colombia, che non si stanca di ricordare la resistenza e la politica di pace delle comunità indigene per fronteggiare un conflitto che Uribe non vuole riconoscere.

Denunciare.
"Continuano anche le azioni di terrore dello Stato contro la comunità di pace di San Josè de Apartado, e non solo" denuncia. "Il gesuita Javier Giraldo, da tempo minacciato di morte per il suo impegno perché coordinatore della ong ecclesiale Giustizia e Pace impegnata anche in azioni di denuncia, ha scritto una dura lettera al presidente Uribe per far cessare la disumana catena di crimini di lesa umanità perpetrati da agenti dello Stato colombiano. Questo è l'atteggiamento giusto. Dobbiamo continuare così. Dobbiamo cercare di alimentare la mobilitazione internazionale che si è mossa dopo le minacce che ho subito perchè figure come Padre Javier Giraldo e Gloria Cuartas, sindaco di San Josè, restano là e continuano ad essere nel mirino, bersagli del potere arrogante di una democrazia fittizia che criminalizza i difensori dei diritti umani, i movimenti popolari, i sindacalisti. Ora le minacce sono dirette anche contro il collettivo di avvocati “Restrepo” e la sua Presidente Soraya Gutierrez Arguiello".

Senza paura.
"Ricordo le forti parole di Soraya Gutierrez. In Democrazia o impunidad dell'aprile 2005 ha puntualizzato come il paramilitarismo sia un fenomeno militare, sociale, economico e politico che sta cresendo a dismisura negli ultimi anni, grazie anche alla connivenza di Stato e esercito”. I gruppi paramilitari combattono contro le Forze armate rivoluzionarie colombiane e contro l'Esercito di liberazione nazionale ormai da quaranta anni. Ultimamente, però, sono riusciti a cacciare i guerriglieri da importanti zone del paese, proprio grazie all'appoggio dell'esercito. In molte delle aree in cui adesso spadroneggiano hanno rivoluzionato le relazioni con la popolazione. Hanno, infatti, annullato ogni forma di opposizione democratica messa in atto dalla società civile, non rispettando la scelta di molti villaggi di diventare "comunità di pace", neutrali al conflitto, super partes sia rispetto ai guerriglieri che ai paramilitari. Seguendo il principio o "con noi o contro di noi", hanno dunque avviato il tragico fenomeno del desplazamento forzato, costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie terre. Questo li ha portati a poter controllare immense distese di terre, ricche e fertili e a poterne dispensare a proprio piacimento, con la connivenza dello Stato. Di conseguenza hanno potuto contribuire a lasciare il via libera ai grandi progetti agro-industriali. Per questo i paramilitari sono appoggiati da ampi settori d'impresa, e no solo. Possono contare su commercianti, istituzioni di sicurezza dello Stato, forze militari e di polizia, rappresentanti del potere giudiziario e governi locali e regionali e godono di una significativa rappresentanza nel parlamento colombiano e di una profonda affinità con l’attuale amministrazione statale".

L'altra voce degli Usa.
Questa complicità che unisce Stato e paramilitari è stata analizzata e denunciata anche dalle principali Ong statunitensi come Wola, Lawgef, Cip che hanno presentato un interessante rapporto sui cinque anni del Plan Colombia, in occasione della visita di Condoleza Rice in Colombia a fine aprile. Adam Isacson del Center for International Policy di Washington (tra i massimi esperti al mondo di narcotraffico e di Colombia) mi ha scritto per esprimere la sua solidarietà nei miei confronti, per inviarmi uno scottante rapporto e confermarmi il loro impegno e indignazione nei confronti del massacro di San Josè de Apartado del 20 febbraio scorso.
Una strage che ha inquietato numerosi senatori democratici, i quali hanno messo fortemente in discussione il Plan Colombia che in sei anni (2000-2005) ha sborsato 4.000 milioni di dollari. Queste le sue parole: anche se la crisi in Colombia è urgente, gli USA devono cambiare le priorità. Invece di aiutare le forze militari della Colombia ad occupare il territorio, dobbiamo appoggiare i dirigenti eletti in Colombia affinché rafforzino lo Stato di Diritto e promuovano uno sviluppo più equo, governando per il bene di tutti”.

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