Argentina: le "pazze" di Plaza d Mayo
"Ci chiamavano le pazze, e qualcuno pensava che fosse un'offesa. Certo, ci
mettevano dentro tutti i giovedi', e noi ritornavamo. Ci dicevano, eccole
la', le pazze. Le arrestiamo e loro ritornano. Ma noi sapevamo di essere
pazze d'amore, pazze dal desiderio di ritrovare i nostri figli... E poi,
perche' no? un po' di pazzia e' importante per lottare. Abbiamo rovesciato
il significato dell'insulto di quegli assassini. Non ci offendeva piu' che
ci chiamassero pazze. Per fare quello che abbiamo fatto, quello che
continuiamo a fare, dobbiamo essere un po' pazze. La follia e' importante. A
volte sono proprio i pazzi, insieme ai bambini, quelli che dicono la
verita'".
Sono le parole di Hebe de Bonafini, presidente delle Madri argentine di
Plaza de Mayo, un gruppo di donne (semplici casalinghe abituate ad assistere
all'attivita' dei figli senza porsi troppe domande, cresciute nel rispetto
delle autorita' costituite) che, dopo il golpe militare del 24 marzo 1976,
ebbero il coraggio di sfidare la dittatura e conquistare la piazza, decise a
ritrovare i figli scomparsi. Solo in seguito seppero che i militari avevano
sequestrato e ucciso trentamila oppositori politici, ragazzi e ragazze
torturati nei campi di concentramento clandestini disseminati in centinaia
di luoghi insospettabili nell'intero paese, gettati in mare con i "voli
della morte".
All'inizio si erano rivolte ai giudici, ai commissari, ai parroci, agli
avvocati, agli esponenti politici, per scoprire di essere circondate da un
muro di complicita', paura e indifferenza. Furono le porte che si videro
chiuse in faccia, o aperte con subdola condiscendenza per carpire ulteriori
informazioni, a dar loro la misura del potere che le soverchiava e a
spingerle in quella Plaza de Mayo che avrebbe dato loro il nome, a dar vita,
di fronte al palazzo presidenziale, alla storica marcia che continuano da
ventotto anni, ogni giovedi'.
Mentre, secondo il pervasivo indottrinamento golpista per cui la nazione si
trovava davanti al compito di liberarsi dei "sovversivi", le vittime
venivano trasformate in colpevoli agli occhi della stessa societa', le Madri
di Plaza de Mayo erano segnate a dito come madri di terroristi. Proprio
l'impossibilita' del racconto, della manifestazione del dolore e della
rabbia, il voltar loro le spalle dei vicini e spesso degli stessi parenti,
le uni' in un collettivo che, man mano che il mondo si squadernava facendosi
incomprensibile e ostile, divento' la loro ragione di vita. Forti solo del
fazzoletto bianco che si annodavano sotto il mento, delle fotografie dei
figli appese sul petto, seppero inventare varchi con il proprio stesso corpo
per far sapere al mondo quello che accadeva sotto una dittatura che voleva
invece mostrarsi, ben diversamente da quella degli stadi cileni di Pinochet,
capace di una transizione alla democrazia.
Le Madri - che non si lasciarono intimidire neppure quando il regime
sequestro' e uccise le tre donne che avevano dato vita al gruppo -
continuarono a chiedere giustizia anche dopo la caduta del regime, mentre i
governi costituzionali, pur di chiudere sbrigativamente i conti con la
"guerra sporca" e i suoi responsabili, promulgavano leggi assolutorie e
indulti, e offrivano risarcimenti economici sempre piu' cospicui alle
famiglie per indurle a dichiarare morti i desaparecidos.
Rifiutando una pacificazione che eludeva le responsabilita' dei genocidi e
affermando che la vita non si paga con il denaro ma con la giustizia,
rinunciarono al lutto. Madri non piu' dei singoli figli, ma simbolicamente
di tutti i trentamila scomparsi, fecero della maternita' una forza capace di
tenerli in vita per sempre, mettendo in scacco gli assassini e i torturatori
ancora comodamente annidati nelle nicchie del potere.
Dopo aver vissuto un'esperienza abissale che le ha tenute per quasi
trent'anni in presenza della morte senza accettarla, le Madri di Plaza de
Mayo hanno fatto del dar vita un potere irrevocabile.
Ma chi erano, le Madri, prima che la storia si abbattesse su di loro,
trasformandole radicalmente? Benche' la prima parte delle loro esistenze -
l'infanzia, il matrimonio, la nascita dei figli - si fosse svolta tra gli
anni Venti e gli anni Sessanta in un paese dove ogni tentativo di democrazia
aveva avuto vita difficile, represso da continui colpi di stato, per loro il
succedersi di governi militari, il peronismo, le dittature dell'intero
continente latinoamericano erano stati poco piu' che echi remoti. "Quando i
miei figli andavano a scuola" racconta Hebe "misero in scena l'Antigone.
Assistevo a tutte le repliche, perche' mi piaceva tanto vederli recitare;
sapevo a memoria quel testo, ma mai mi resi conto di cio' che voleva dire.
Adesso si'. Adesso so chi e' Antigone". Il corpo che il tiranno non voleva
seppellito nella cerchia delle mura sarebbe diventato quello di tutti i
trentamila desaparecidos.
Ora che il mondo ha imparato a conoscerle e che il nuovo presidente
argentino Kirchner, nel suo primo discorso davanti alle Nazioni Unite, si e'
dichiarato "figlio delle Madri di Plaza de Mayo", continuano a trovarsi
nella loro Casa nel centro di Buenos Aires, dove tutti i giorni tengono
riunioni, cucinano, parlano dei nipoti e degli acciacchi, ricevono
personaggi pubblici - dal presidente venezuelano Chavez a Bono degli U2, che
ha dedicato loro la canzone Mothers of Disappeared; da Danielle Mitterand a
Jose' Saramago, che le ha candidate per il premio Nobel per la pace - ma
soprattutto accolgono giovani che vengono da tutte le parti del mondo ad
ascoltare dalla loro viva voce il racconto di una traiettoria inaudita. Da
li' guardano come nuovi figli i ragazzi e le ragazze che frequentano i corsi
tenuti gratuitamente da docenti argentini e latinoamericani nell'Universita'
popolare delle Madri di Plaza de Mayo, aperta cinque anni fa e voluta come
un lascito di vita e di liberta'.
"Se noi donne ormai vecchie, tutte tra i settanta e i novant'anni" dice Beba
Petrini "possiamo venire qui ogni giorno, magari qualcuna un po' malferma,
col bastone - e se dobbiamo andare a una marcia, ci andiamo, se dobbiamo
uscire di notte a fare un discorso, lo facciamo - allora tutto si puo' fare.
Quella che adesso si occupa della rassegna stampa e' una madre di novantadue
anni. Stiamo mettendo molte cose su internet perche', e' chiaro, dobbiamo
stare al passo con i tempi, pero' tutto questo e' inamovibile, resta, e
dimostra che quando uno fa quello che vuole e quello in cui crede, e quando
sogna, nonostante possa avere molti anni e avere sofferto molto, be',
allora... sii felice, puoi, cammina e fai. Questo siamo noi Madri".
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