Latina

Bolivia: gas lacrimogeno nelle Ande

La Bolivia si trova ancora alle prese con una grave
crisi politica, accentuata da una situazione parlamentare difficile e da
tafferugli. A migliaia sono scesi su La Paz tutta la settimana. Negli
inevitabili scontri i dimostranti indigeni lanciano dinamite, pietre e
bottiglie, mentre la polizia paramilitare spara lacrimogeni e pallottole di
gomma.
3 giugno 2005
Christian Parenti
Fonte: The Nation - Znet

Il problema di fondo è: chi controllerà le grandi riserve di gas
naturale della nazione, la cui produzione si è impennata a 53.3 trilioni di
litri dai 5.6 trilioni di litri prodotti nel 1999? La questione più seria è,
naturalmente, l'ostilità della maggioranza della popolazione indigena
altamente organizzata e politicizzata per la prospettiva di patire
attraverso un'altra generazione di dura miseria di alta quota.

Le ripetute proteste e i blocchi stradali attorno a La Paz si sono
verificati una settimana dopo che il congresso ha approvato una legge che
aumenta le tasse alle società petrolifere straniere che controllano la
ricchezza petrolifera della Bolivia da una privatizzazione indiscriminata
avvenuta nel 1996. Le società considerano la nuova legge fin troppo severa,
mentre la maggior parte della sinistra indigena sottovaluta la legge perché
troppo debole.

Parte dell'opposizione, guidata dal MAS (il Movimento al Socialismo) e
dal suo leader, Evo Morales, richiede il 50 percento delle royalty sorgenti
invece della combinazione prevista dalla nuova legge del 18 percento di
royalty e un 32 percento di tasse sui profitti di società più facilmente
nascosti. Il MAS richiede, inoltre, che si ricontratti risolutamente con le
società straniere e anche altri quattro emendamenti principali della nuova
legge. Tuttavia, molti settori del movimento popolare chiedono la
nazionalizzazione completa e un rovesciamento del governo.

Mentre sto scrivendo, la città di La Paz è sotto assedio per il terzo
giorno consecutivo - le due principali autostrade che la collegano al resto
del mondo sono chiuse da una serie di blocchi stradali dei contadini. Le
provviste nè entrano e né escono. L'aeroporto internazionale funziona solo
sporadicamente; è stato chiuso a causa di uno sciopero.
Per il terzo giorno consecutivo, decine di migliaia di dimostranti -
contadini, insegnanti, minatori, negozianti, operai e disoccupati - hanno
marciato su La Paz. Un piccolissimo sottoinsieme di questa forza ha
ripetutamente cercato di prendere Plaza Murillo, dove si trovano il
Parlamento e il palazzo presidenziale, uno spazio raramente occupato dai
manifestanti dai tempi della rivoluzione populistica del 1952.

Il settore in testa in questa lotta è il settore ben orgnizzato dei
contadini Aymara, i quali sono scesi in massa dall'altopiano, sopra la
capitale. A loro si sono uniti 800 minatori. Con giacche pesanti, cappelli
flosci di feltro, bombette e cappelli di lana, i loro visi segnati e
lucidati da anni di vento e freddo, le colonne di Aymara marciano veloci e
spietate, portando bastoni, fischietti, fruste e la wiphala dei pastori, la
bandiera dell'autodeterminazione indigena dei colori dell'arcobaleno.

Per tutta la settimana ho avuto un posto nella fila di fronte
all'azione. Martedì, mentre le colonne circondavano la polizia, che aveva
asserragliato Plaza Murillo, i dimostranti spaccavano minibus e automobili
che trovavano sul loro cammino, lanciavano sassi ai giornalisti e poi
gettavano la dinamite nelle linee della polizia. I poliziotti impauriti e
accerchiati rispondevano con raffiche di proiettili di gomma, lacrimogeni e
talvolta con idranti.

Mentre le mitraglie sparavano intorno a noi e le pallottole di gomma
rimbalzavano giù per i muri noi correvano, dimostranti e stampa allo stesso
modo, aspirando i fumi ardenti mentre correvamo a tutta velocità attraverso
le cortine di gas che si libravano nell'aria come spessi muri di fumo da
palcoscenico. Ogni tanto le strette strade di collina della vecchia La Paz
diventavano talmente asfissiate dai vapori accumulati che si sentivano i
polmoni bruciare. Nella confusione, le linee tra i dimostranti e i
poliziotti sembravano sovrapporsi in un gioco sempre più claustrofobico e
pauroso del gatto e il topo.

Mercoledì è andata ancora peggio, coi dimostranti che lanciavano bombe
molto grandi di dinamite verso la polizia, che, almeno in una occasione, ha
rotto le righe e si è messa a correre intimorita solo per ricambiare
immediatamente il favore con pallottole sparate da fucili a pallini e altro
gas - sempre più gas.

Le schermaglie dureranno probabilmente tutta la settimana e anche la
prossima, con una possibile tregua per le due feste locali. Finora una
dozzina di dimostranti sono stati feriti, ed un piccolo numero di persone è
stato arrestato, compreso almeno un importante leader popolare.

Nel frattempo, sopra La Paz sul confie dell'altopiano nella città di
El Alto, gruppi della zona stanno continuando uno sciopero generale.
Dovunque le associazioni agricole, i gruppi pubblici, le federazioni dei
contadini e tutti i tipi di organizzazioni popolari sono riuniti per
pianificare le prossime mosse.

In breve, amerindi furiosi hanno circondato La Paz. Nella capitale, le
banche, gli alberghi, gli uffici, i ristoranti e i quartieri del ceto medio
hanno provviste limitate e i movimenti popolari hanno bloccato tutte le vie
dei mezzi di trasporto. La situazione sembra insostenibile. Tuttavia,
nonostante il dramma, rimane una insolita stasi politica qui.

Il presidente, Carlos Mesa Gisbert, un ex storico e giornalista, ha
solennemente dichiarato di restare in carica fino alle elezioni del 2007.
Inoltre, ha ufficialmente promesso, o forse si è vantato, che non ucciderà i
manifestanti. Il suo ex dirigente e predecessore, Gonzalo Sánchez de Lozada,
ordinò ai militari di ucciderne un gran numero nell'ottobre del 2003, quando
scoppiò per la prima volta la questione del gas. Secondo le stime ufficiali,
morirono sessantasette persone ma i movimenti sociali sostengono che ne
furono uccise ottanta. In risposta alla repressione, vi si unirono la
sinistra unita e gli ambigui settori dei ceti medi. Alla fine, Sánchez de
Lozada fu costretto a scappare negli Stati Uniti. Mesa vuole evitare lo
stesso destino.

Alla destra non piace l'atteggiamento di Mesa ma sembra troppo divisa
per opporsi con efficacia. Anche l'esercito è diviso, con alcuni ufficiali
che si sono schierati apertamente coi manifestanti. Allo stesso modo, la
sinistra non è unita al suo interno e la cosa più importante, secondo il MAS
e gli altri movimenti sociali, è che non è pronta a prendere il potere.

Se Mesa scioglie le forze dell'ordine, l'intero equilibrio politico
cambierà. Ma se il governo non reagirà in maniera forte, non è chiaro come
la sinistra procederà. I movimenti popolari possono resistere più a lungo
del governo? E, soprattutto, possono riunire e imporre la nazionalizzazione?
Oppure la loro tattica li consumerà prima che il governo e il settore
commerciale cederanno alle loro richieste?

C

Note: Christian Parenti è l'autore di The Freedom: Shadows and
Hallucinations in Occupied Iraq (New Press) e un "visiting fellow"
(ricercatore visitatore) al CUNY's Center for Place, Culture and Politics.



Tradotto da Floriana Figura per www.peacelink.it Il testo e' liberamente
utilizzabile a scopi non commerciali citando le fonti, l'autore e il
traduttore.

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