Bolivia: suscitano malumori le prime decisioni del presidente ad interim Rodriguez
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E' atteso al varco dai movimenti sociali il sessantaquattresimo presidente boliviano Eduardo Rodriguez, che sta cercando di formare un governo in questi pochi giorni di tregua concessi da indigeni, campesinos e minatori dopo gli scontri di alcuni giorni fa. In un paese stremato dalle manifestazioni di piazza, il governo Rodriguez avrà il compito di traghettare il paese ad elezioni anticipate e limitarsi a svolgere operazioni di ordinaria amministrazione, anche se alcune sue decisioni hanno già provocato alcuni malumori.
Fa discutere, in particolare, la nomina di Mario Moreno Biruez come ministro delle opere pubbliche, in quanto si tratta di un parente del presidente del Congresso Hormando Vaca Diez, senatore del Dipartimento di Santa Cruz e che da tempo si è fatto portavoce dell'autonomia della regione e assolutamente inviso ai movimenti boliviani. Non solo Vaca Diez non è gradito ai boliviani perché di fatto rappresenta un sistema di continuità con l'ex presidente fuggitivo a Miami Sanchez de Lozada, ma anche per il coinvolgimento del suo partito, il Mir, in uno scandalo per corruzione. Inoltre la sua firma posta sulla legge sugli idrocarburi, mettendosi cioè contro la nazionalizzazione del gas richiesta dalla società civile boliviana, ha contribuito al rifiuto espresso nei suoi confronti da parte della popolazione, che la scorsa settimana si è riversata in massa a Sucre (dove il Congresso Nazionale aveva deciso di riunirsi) per scongiurare la sua elezione a presidente al posto del dimissionario Mesa.
Tra i dodici ministri nominati da Rodriguez però, non solo ha destato scalpore la nomina di Biruez, ma ha sollevato notevoli perplessità la presenza nel nuovo esecutivo anche di Luis Carlos Jemio e Pedro Ticona, già presenti nel governo del dimissionario Mesa. Le notizie provenienti da La Paz garantiscono che i blocchi stradali e le manifestazioni sono notevolmente ridotte, ma la tensione continua a restare alta, e la nomina di ben tre ministri che rappresentano una linea di continuità con il governo appena caduto e la sua politica di stampo clientelare sembrano segnalare un chiaro tentativo di resistere al "que se vayan todos" proclamato da campesinos e minatori, sebbene il neo presidente Rodriguez si sia presentato alla nazione come portatore di un rinnovamento nel sistema politico del suo paese.
In questi dieci gironi di tregua concessi dal movimento indigeno-popolare al nuovo inquilino di Palacio Quemado si aprono diversi scenari.
Innanzitutto si dovranno prendere in considerazione le prossime mosse di Hormando Vaca Diez. Il tentativo di prendere il potere da parte del Presidente del Congresso è stato per il momento sventato dal movimento popolare, ma l'oligarchia di Santa Cruz probabilmente studierà delle adeguate contromisure. La rivendicazione di autonomia di questo Dipartimento dal resto della Bolivia è scoppiata a Gennaio (in contrasto con le richieste di nazionalizzazione degli idrocarburi provenienti dalle regioni più povere del paese) e in occasione delle dimissioni di Mesa soltanto il rifiuto di massa della società civile ha impedito a Hormando Vaca Diez di divenire presidente del paese e tutelare, di conseguenza, gli interessi di Santa Cruz, la zona più ricca del paese andino.
Per quanto riguarda la promessa di libere elezioni, il presidente Rodriguez ha dato la sua parola, ma in questo caso nella corsa presidenziale parteciperebbe un candidato assai ingombrante. Sul sito selvas.org si preannuncia che potrebbe presentarsi Quiroga, "vicepresidente, fino al 2000, di Hugo Banzer Suarez, poi Presidente con successione d'ufficio alle dimissioni dell'ex generalissimo, paziente costruttore (poi deluso dai fatti) del progetto Pacific LNG per cui un gruppo ben assortito di multinazionali avrebbe avuto modo di continuare ad estrarre idrocarburi dalla Bolivia".
Infine, resta da vedere quali saranno le capacità di mobilitazione dei movimenti sociali boliviani. La cacciata di ben due presidenti in poco più di un anno e mezzo segnalano una indiscutibile vitalità da parte di una società civile sfiancata da continue dimostrazioni di piazza, picchetti e blocchi stradali, ma anche all'interno del movimento indigeno-popolare ci sono alcune divisioni. In particolare si rimprovera ad Evo Morales, dirigente del principale partito di opposizione, il Mas (Movimento al Socialismo), di essere sceso inizialmente a patti con il governo Mesa, mentre alcuni commentatori politici stimano per il suo partito un consenso non superiore al 20% nel caso in cui si vada ad elezioni anticipate e questo comporterebbe una serie di alleanze con altri partiti che inevitabilmente lo costringerebbe a condurre una lotta politica meno radicale.
In un contesto in cui difficilmente la situazione potrà tornare a breve ad una situazione di normalità, i campesinos boliviani affermano: "Ci stanno togliendo tutto, siamo rimasti padroni solo dell'aria, e non è detto che qualcuno si stia attrezzando per privatizzare anche quella".
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