Latina

Con democratici come questi, come può non essere in crisi la democrazia?

I guardiani della democrazia

21 luglio 2005
Atilio Borón (argentino, uno dei più importanti filosofi e politologi latinoamericani contemporanei)
Fonte: Página12 - Argentina

La scorsa settimana a Washington è stato reso pubblico il rapporto che,
con il poetico titolo “Una luce tra le nubi”, è stato emesso dal
cosiddetto “Dialogo Interamericano”, sulla situazione in America Latina
e nei Caraibi nel 2005. La notizia è stata prontamente ripresa e
riprodotta dai media di tutto il mondo affermando che nel rapporto
“importanti esperti” mettono in allarme sulla situazione critica della
democrazia nella regione. Il rapporto si apre, e non è un caso, con un
paragrafo dove si afferma che gli “esperti”, più di cento, hanno
concluso che “Venezuela ed Haiti difficilmente possono essere
considerate democrazie”. Poche righe più in basso si avverte il lettore
che Cuba non è stata presa in considerazione essendo l’unico stato
autoritario nel fortunato oceano democratico latinoamericano.

Il documento del DI ha il merito di sintetizzare tutti i luoghi comuni
del discorso ufficiale nordamericano. La premessa del DI è che non c’è
alcuna divergenza tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli dei suoi
poveri vicini del Sud (nel solco di “quello che è buono per gli USA è
buono per il mondo” n.d.t.). A partire da un assioma così “realista” è
facile immaginare gli assurdi e le aberrazioni alle quali arriva il
rapporto nel suo sforzo di promuovere il dialogo tra le due regioni. La
stessa parola “Dialogo” risulta al dunque un eufemismo, la traduzione
esatta della quale è “accettare mansueti il nostro ineluttabile destino
neocoloniale sotto il dominio della Roma americana”. Questo è
l’obbiettivo per raggiungere il quale il DI, ha reclutato un settore
importante dell’establishment nordamericano. È gente che ancora si
emoziona nel ricordare l’ “idealismo” di Woodrow Wilson e che però
dimentica la sua condotta miserabile a Versailles, nei negoziati che
posero fine alla prima guerra mondiale o la sua “idealista” decisione di
mandare i marines in Messico, Nicaragua e Haiti a restaurare l’ordine
minacciato dalla plebe. È la stessa gente che si emoziona per Franklin
D. Roosevelt e la sua politica di “buon vicinato”, ma dimentica
l’appoggio di questi ad alcune delle più feroci satrapie d’America, come
quella di Anastasio Somoza in Nicaragua. E la stessa gente che ancora si
intenerisce nel ricordo di John F. Kennedy e la sua “Alleanza per il
progresso”, ma dimentica l’invasione della Baia dei Porci, l’“Operación
Mangosta” contro Cuba e il martirio del Vietnam.

Infine, si tratta di persone ben intenzionate ma abbastanza incoerenti.
Gli statunitensi membri del DI hanno come controparte un’ampia coorte di
politici e intellettuali latinoamericani, in generale protagonisti delle
trionfali “transizioni democratiche” che abbiamo sperimentato nelle
nostre terre dalla fine delle dittature. Fin dalla sua creazione il DI
ha continuamente pubblicato rapporti sulla situazione latinoamericana.
L’eloquenza con la quale ci magnificano i grandi successi della
democrazia grazie all’opera di Alfonsín, Sanguinetti, Cardoso o Lagos,
purtroppo si converte in stridente mutismo al momento di commentare il
fallito colpo di stato diretto da Carmona e i suoi seguaci in Venezuela
(l’11 aprile 2002 con l’appoggio dei governi degli SU e della Spagna e
dell’FMI, n.d.t.). Per quanto ne sappiamo, e lo testimonia il sito web
del DI, sul colpo di stato in Venezuela non c’è stata nessuna
dichiarazione in merito.

Il quotidiano conservatore argentino /La Nación/, scommette
temerariamente sull’amnesia dei propri lettori quando informa che tra
gli “esperti” in questioni democtratiche e di progresso economico e
sociale del DI si include José María Dagnino Pastore, del quale si dice
che fu Ministro dell’Economia e del Lavoro in Argentina. Quello che si
omette è che fu ministro durante due brillanti epoche democratiche nella
storia del paese: la prima, la dittatura del Generale Juan Carlos
Onganía (1966-1970, n.d.t.), come gestore dell’infame golpe
oligarchico-clericale della cosiddetta “Revolución Argentina” con la sua
notte dei lunghi bastoni contro gli scienziati delle Università
(l’assalto, la repressione e la chiusura delle Università, n.d.t.). La
seconda gloriosa fase democratica nella quale fu ministro l’ “esperto”
di democrazia Dagnino Pastore fu durante la dittatura del General Jorge
Rafael Videla nel 1976, la dittatura genocida dei 30.000 desaparecidos
che ha portato l’Argentina alla rovina. Questo è uno degli esperti il
giudizio del quale ci viene presentato come ispirato dai più alti ideali
democratici.

Tra gli altri notevoli democratici risalta Enrique Iglesias, presidente
del BID (Banco Interamericano dello sviluppo), ex-Secretario Esecutivo
della CEPAL (la Commissione Economica per l’America Latina delle Nazioni
Unite, n.d.t.). In quest’ultima istituzione Iglesias si occupò di
cancellare meticolosamente tutte le tracce di pensiero critico lasciate
da Raúl Prebisch. Come presidente del BID ha convertito questa
organizzazione nella ruota di scorta del FMI, ai dettati del quale si è
indegnamente assoggettato imponendo brutali condizioni a quei governi
che avessero voluto ottenere prestiti del BID. Con queste politiche il
BID ha contribuito in maniera decisiva all’imposizione del neoliberismo
con le sue conseguenze di povertà, esclusione sociale e delegittimazione
democratica.

Un altro degli esperti che avallano il rapporto è l’ineffabile Mario
Vargas Llosa, gelosissimo custode dei diritti umani e della democrazia
in América Latina, penna instancabile al servizio delle migliori cause
dell’impero l’eloquenza del quale si trasfigura in un sospetto mutismo
al momento di commentare i soprusi e i crimini commessi dai suoi
benefattori nella Base Navale di Guantanamo, nella prigione di Abu
Grajib, o quando danno rifugio a terroristi (come Posada Carriles,
n.d.t.), o inviano i loro detenuti ad essere interrogati in paesi dove
la tortura è legale.

Altri distinti membri del DI sono l’ex-Presidente messicano Ernesto
Zedillo, celebre por la forma democratica con la quale gestì il
conflitto zapatista; l’ex-presidente boliviano Gonzalo Sánchez de
Lozada, uomo eminentissimo la lotta del quale in difesa della libertà e
della democrazia si è scontrata con l’ancestrale ingratitudine del suo
popolo.

La direzione di questo gruppo di eletti è caduta nelle mani di Fernando
H. Cardoso. Questi, come presidente del Brasile, consigliò i suoi
lettori (del proprio lavoro di sociologo sulla teoria del sottosviluppo,
n.d.t.) di “dimenticare tutto quello ho scritto”. Era quello che lui
stesso aveva fatto visto l’incolmabile iato tra i suoi scritti come
sociologo e la sua prassi come presidente aprendo le porte del Brasile
al /Consenso di Washington/, facendo con ciò del Brasile il paese più
ingiusto del pianeta. Completa la composizione del gruppo
latinoamericano nel DI una tenebrosa lista di funzionari di quasi tutte
le dittature della regione, politici ed “esperti” delle nostre
capitolanti pseudo-democrazie e portavoce di multinazionali.

Questa è la gente che afferma che Cuba sia autoritaria e che il
Venezuela difficilmente può essere qualificato come una democrazia. Per
questi esperti il Cile retto dalla costituzione pinochetista, con un
sistema elettorale incredibilmente irrispettoso dei diritti politici
delle minoranze e senza supremazia civile sulle forze armate è una
democrazia. Invece il Venezuela di Chávez, con le sue otto elezioni
consecutive vinte limpidamente, sotto l’occhio vigile del Centro Carter
e della OSA non lo è. La OSA è quella stessa organizzazione che aveva
decretato la nullità delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti del
2000 che culminarono con il colpo di stato istituzionale che consacrò
George W. Bush Jr. come presidente.

Paesi che non hanno mai avuto un referendum popolare, o dove si cambia
la costituzione a porte chiuse, vengono benedetti come democrazie.
Invece un presidente come Chávez che si sottomette a metà mandato ad un
referendum revocatorio non è considerato democratico. Il Venezuela è
l’unico caso in America Latina nel quale una riforma costituzionale sia
stata sottoposta a referendum popolare. Negli altri casi le riforme si
sono fatte a porte chiuse, in nome della “democrazia rappresentativa”.

Parliamo di paesi che hanno consegnato le loro ricchezze e il controllo
delle loro economie alle multinazionali senza la minima consultazione
popolare; o altri, come il Messico o il Cile, che hanno firmato trattati
di libero commercio con gli Stati Uniti che li sottomettono per sempre
ai dettati dell’Impero senza offrire ai propri cittadini né informazioni
in merito né la possibilità di decidere con un referendum. Tutte queste
sono esaltate come vibranti democrazie mentre spesse nuvole di sospetto
vengono fatte addensare sul Venezuela e si condanna Cuba, l’unico paese
del continente con accesso universale e gratuito alla salute e
all’educazione.

Con demócratas como éstos, ¿cómo no va a estar en crisis la democracia?
Con democratici come questi, come può non essere in crisi la democrazia?

Note: traduzione di Gennaro Carotenuto
http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=224
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