Brasile: il gran dilemma di Lula
Sono ormai trascorsi due anni e mezzo di governo del presidente Lula da Silva ed è possibile fare un primo bilancio della sua amministrazione. In questo momento settori della dirigenza del partito al governo (Pt, Partido dos Trabalhadores) sono coinvolti in gravi accuse di corruzione. Non si tratta della solita corruzione della classe politica che si arricchisce da sola manipolando i meccanismi dello Stato e delle grandi imprese statali. Questa corruzione non punta a beneficiare personalmente i politici, bensì ad accumulare fondi per future campagne elettorali e, come si suol dire, a occupare tutto l'apparato dello Stato per perpetuare il Pt al potere almeno per vent'anni (si parla di messicanizzazione dello Stato). Così si pretende di inaugurare un altro stile di politica e di dare allo Stato un volto più sociale e rivolto ai milioni di diseredati della società.
I buoni fini non giustificano i mezzi cattivi. La corruzione è sempre anti-etica e non si giustifica mai. In questo contesto l'opposizione tenta di coinvolgere la figura del presidente, ma finora non c'è riuscita.
Crisi congiunturale a parte, bisogna ricordare sommariamente cosa significa un governo di sinistra in Brasile. L'arrivo di Lula al potere coincide con la crisi del modello neoliberista. Lula eredita dal suo predecessore F.H. Cardoso una grave crisi economica, con un esaurimento quasi totale delle riserve monetarie e una minaccia reale di inflazione generalizzata. Come diceva Lula: «Ho ereditato un Titanic che stava affondando e il mio primo compito è stato quello di blindarlo per evitare il caos economico e avere poi la possibilità di mantenere la mia promessa elettorale di socializzare il potere con la crescita sostenibile, la partecipazione sociale e la ridistribuzione della ricchezza».
Per realizzare questo audace programma ci vuole una tappa di transizione. Questo concetto è fondamentale se vogliamo essere giusti con il governo di Lula e capire il senso delle sue politiche economiche e sociali. Come in ogni transizione, c'è una parte di continuità e un'altra di innovazione. Transizione da dove? Verso dove? Da uno Stato neoliberista, altamente accentratore e senza politiche pubbliche consistenti verso uno Stato sociale, cioè, uno Stato che si ripropone di conferire centralità al sociale, creare simmetria fra diritti e doveri, incentivare in tutto il Paese l'ideale civico della cittadinanza attiva e di una democrazia partecipativa.
Per realizzare questo progetto il governo Lula si è imposto la seguente strategia: sul piano della continuità, mantenere inalterato il progetto macro-economico neo-liberista e anzi radicalizzarlo con un surplus primario del bilancio federale ancora più alto del precedente (4,75% del Pil); sul piano dell'innovazione, inaugurare una politica sociale basata sui progetti Fame Zero e la Borsa Famiglia.
Con la continuità del progetto macro-economico il governo è riuscito a calmare i mercati e a guadagnarsi gli applausi del Fmi e della Banca mondiale, ha potuto controllare in modo significativo l'inflazione e garantire la stabilità monetaria. Con l'innovazione sociale ha beneficiato circa 7 milioni di famiglie, il che vuol dire circa 30 milioni di persone. Per queste moltitudini che prima mangiavano a malapena e vivevano in grande miseria, questa politica pubblica ha significato una specie di ingresso nel paradiso terrestre possibile.
Dove sta il problema fondamentale di questa strategia di transizione da uno Stato neoliberista verso uno Stato sociale? Nell'immensa sproporzione fra le parti. La parte del leone spetta al progetto macro-economico, che cede al sistema economico-finanziario circa 10 miliardi di dollari mensili sotto forma di pagamento dei tassi d'interesse, lasciando solo un miliardo per i progetti sociali.
La domanda da porsi è: con questa ingegneria politico-sociale si può realizzare una transizione che raggiunga l'obiettivo di rendere lo Stato meno elitario, creare una crescita sostenibile con inclusione sociale e ridistribuzione della ricchezza? Giorno dopo giorno cresce la convinzione che questa politica economica sia inadeguata per la politica sociale. Piovono critiche e c'è delusione nei movimenti sociali. Lula è cosciente di questa sproporzione, si sente schiacciato e chiamato urgentemente a decidere.
Che cosa farà? Metterà l'accento sul progetto macro-economico neo-liberista o sul progetto social-popolare? Se opta per il progetto macro-economico dovrà sacrificare massicciamente il progetto sociale. E se opta per il progetto sociale dovrà cambiare sostanzialmente il progetto macro-economico.
Ciascuna opzione avrà conseguenze non meno gravi dell'altra: o la mobilitazione per le strade di migliaia e migliaia di persone dei movimenti sociali per reclamare più politiche pubbliche, o le pressioni del mercato e del sistema economico-finanziario capaci di produrre una grave destabilizzazione economica.
In questo momento è difficile sapere la direzione che prenderà Lula. Forse, data la gravità della crisi politica a causa della corruzione che getta l'ombra del sospetto su settori importanti del suo partito, deciderà di avvicinarsi di più alla sua base di appoggio sociale e asseconderà le sue richieste di cambiamento nell'ambito economico.I prossimi mesi saranno decisivi per Lula, anche per la prospettiva di rielezione alla fine del 2006 a cui aspira ardentemente.
trad. di Marcella Trambaioli
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