Brasile: Lula chiede scusa ai brasiliani
Lo scandalo di corruzione che imperversa da tre mesi è sempre più vicino al presidente della repubblica
La strategia delle «élites», come si chiama in Brasile l'oligarchia che aveva sempre governato il paese prima dell'arrivo alla presidenza di Lula, era chiarissima. Si trattava di minare l'immagine del suo partito, il Partido dos Trabalhadores, nato prima ancora che come partito di sinistra come partito dell'etica, e di colpire l'entourage più vicino a Lula senza però toccare la figura del presidente, che ancora gode di una forte popolarità, e i fondamenti dell'economia, che a livello macro presenta risultati eccellenti e riceve lodi internazionali. L'obiettivo semmai era riaprire la partita della rielezione nell'ottobre 2006 che, visto come andavano le cose, per Lula sembrava una passeggiata. Ma ormai lo scandalo di corruzione cominciato tre mesi fa come una piccola palla di neve è diventato una valanga. Una valanga che rischia di salire la rampa di Planalto, la sede della presidenza a Brasilia, e inevitabilmente precipitare addosso a Lula.
Forse le «élites» e i suoi partiti di riferimento - i socialdemocratici del Psdb dell'ex-presidente F.H.Cardoso e i liberali del Pfl - volevano evitare che l'effetto valanga arrivasse tanto in alto. Ma la stampa brasiliana, che cessata la breve luna di miele successiva alle elezioni dell'ottobre 2002 e nonostante la lieta sorpresa dell'andamento economico, ha ripreso la sua storica ostilità contro Lula e il Pt, è difficile da imbrigliare (se non altro per ragioni di concorrenza). Per cui non passa giorno che non tiri fuori nuovi particolari scabrosi e difficili da smentire.
Ieri Lula, per cercare di calmare le acque, è apparso in tv per scusarsi: «Il governo e il Pt devono chiedere perdono al popolo brasiliano», ha esordito, ribadendo poi quello che ha sempre sostenuto finora: che lui non ne sapeva niente. «Sono consapevole della gravità della crisi politica. Che colpisce l'intero sistema dei partiti - ha continuato-. E' dovere del governo fermare la crisi prima che faccia sentire i suoi effetti sull'economia».
L'utlima frase era un messaggio indiretto ma chiarissimo all'opposizione, che a questo punto è tentata dall'impeachment, come fu per Fernando Collor de Mello (che nel ballottaggio aveva battuto proprio Lula giocando sporco), messo sotto accusa dal Congresso nel dicembre del `92 e dimessosi subito prima della destituzione. Ma una procedura di impeachment di Lula, a poco più di un anno dalle elezioni presidenziali, aprirebbe un periodo di turbolenze ancor maggiori che non potrebbero non farsi sentire sull'economia.
Per cui, secondo molti analisti e anche il senso comune, non converrebbe a nessuno, adesso, cercare la destituzione di Lula. Un conosciuto sociologo brasiliano, Helio Jaguaribe, ha espresso il concetto in termini brutali: «Per il paese è conveniente che il presidente appaia come il giullare di corte, che non sapeva nulla di quello che stava succedendo intorno a lui. E' una bugia, ma una bugia a fin di bene».
Già. Ma è sempre più difficile lasciarlo fuori. I vertici del suo partito sono saltati - il presidente del Pt, José Genoino, il segretario, Silvio Pereira, il tesoriere Delubio Soares -, è saltato il numero due del governo - José Dirceu, ministro della Casa civile, una sorta di primo ministro ombra -, l'uomo più vicino a lui, con l'ufficio a fianco del suo al Planalto. E altre teste sono destinate a cadere. Lula continua a ripetere che «chi ha sbagliato deve pagare, senza guardare in faccia a nessuno». Ma la prima osservazione che viene spontanea è che se anche lui sapeva dello schema di finanziamenti illegali e di corruzione, vuol dire che ha mentito, se davvero non sapeva nulla allora vuol dire che presenta seri problemi a guidare un grande paese come il Brasile.
Per la prima volta dall'inizio della crisi, ai primi di giugno, negli ultimi due giorni l'economia e anche la popolarità di Lula hanno dato segni di sofferenza. Giovedì la nuova mazzata era venuta dalla deposizione davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta di Duda Mendonça, il brillante image-maker che nel 2002 Lula aveva contrattato per la sua campagna elettorale e che aveva poderosamente controbuito a cambiare la sua immagine (dal vecchio «rospo barbuto» e incazzoso al «Lulinha paz y amor» che aveva sfondato in tv). Mendonça ha confessato che i parte dei fondi per la campagna elettorale di quell'anno erano arrivati attraverso Marcos Valerio, il pubblicitario-trafficante al centro di tutti i traffici, che li aveva fatti arrivare dalle Bahamas. Mendonça aveva precisato che quei soldi non erano serviti per la campagna di Lula, ma ormai la frittata era fatta. Il real, dopo due anni di dominio sul dollaro, perdeva il 3%. Ieri ha perso un altro 2%: ora è al livello più basso degli ultimi 15 mesi. Anche il Bovespa, l'indice di Borsa è caduto del 5% fra giovedì e ieri. Per la prima volta l'indice di popolarità di Lula, in un sondaggio diffuso ieri, è in ribasso, dopo che i primi mesi di scandalo l'avevano fatta addirittura aumentare. Sembrava incredibile ma lo si spiegava con il fatto che l'economia continuava a tirare imperterrita e che le classi più popolari,che qualche miglioramento con Lula l'hanno avvertito (ad esempio il programma Borsa-Famiglia che concede da 50 a 95 reais al mese e il salario minimo portato a 300 reais mensili, più o meno 100 euro), erano meno sensibili agli scandali.
L'immagine del Pt come partito dell'etica, se non quella di Lula, comunque è in pezzi. Per un po' all'inizio il partito e lo stesso Lula hanno provato a difendersi dicendo che gli accusatori erano squalificati e le accuse infondate. Ma poi, di fronte all'evidenza, si è scoperto che se è vero che gli accusatori erano personaggi in genere spregevoli (come l'on.Roberto Jefferson, un vero gangster, che per primo ha tirato fuori la storia dei voti comprati dal Pt per pagare, a 10-12 mila dollari al colpi, l'appoggio dei partiti...alleati in Congresso), le accuse sfortunatamente non erano infondate.
Ora tutti i giochi sono aperti e non si sa come andranno a finire. Il risultato, per il momento, è che agli occhi della sinistra latino-americana, un po' per la corruzione e molto per la politica economica «neo-liberista», oggi è il venezuelano Hugo Chavez a brillare come punto di riferimento e non più Lula.
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