La mafia in Colombia
«Vendono e consumano cocaina nel parlamento», titolava l’altro giorno in prima pagina «El Tiempo». La denuncia del vice-presidente del Senato colombiano, Edgar Artunduaga, che evita elegantemente di fare i nomi dei deputati drogati, è l'ultima clamorosa prova del «fracaso», come viene ormai chiamato il fallimento della guerra alla droga. La Colombia si dimostra sempre di più un paradiso per i narcos. Per tante ragioni: la natura variegata e rigogliosa che permette di coltivare ogni tipo di pianta, l'umanità disperata pronta a tutto pur di sopravvivere, le istituzioni corrotte come poche altre al mondo e un infinito conflitto armato interno che si nutre del narcotraffico. Da quando questa guerra iniziò, circa 25 anni fa, non sono serviti a niente i miliardi di dollari spesi per finanziare la Dea e le diverse polizie locali, le tonnellate di micidiali erbicidi irrorati dal cielo che hanno distrutto superfici enormi del territorio nazionale. E soprattutto appare un sacrificio inutile la morte di migliaia di colombiani - delinquenti, agenti, cocaleros e gente comune -, vittime di attentati, sparatorie e regolamenti di conti. Per i fautori della «linea dura» che hanno sempre indicato come obiettivo il rincaro della droga e la progressiva diminuzione del numero dei tossicodipendenti, il risultato non può essere più sconfortante: dal 1981 al 2004, secondo l’ultimo rapporto della sezione del Dipartimento di Stato che orienta la strategia antidroga nordamericana, il prezzo al dettaglio della cocaina è diminuito di cinque volte mentre quello dell’eroina si è più che dimezzato. Come se non bastasse, i satelliti della Dea e della Cia continuano a rilevare la stessa quantità di coltivazioni illegali che «si spostano» nel Paese, dalle cordigliere andine alla foresta amazzonica, con una rapidità impressionante, invadendo anche le nazioni confinanti. Appena un campo viene raggiunto dal veleno lanciato dagli aerei, i contadini si trasferiscono in altre zone, non senza prima aver raccolto le piante avvelenate che destinano, dopo il solito processo di raffinazione, sotto forma di cocaina ed eroina ai tossicodipendenti dei Paesi del nord ricco. Il «fracaso» non sembra però far cambiare rotta ai governanti, ostinati ad andare avanti, quasi per inerzia, con la stessa strategia. È ormai un lontano ricordo il trionfalismo che contagiò i governi di mezzo mondo e soprattutto la Colombia una dozzina di anni fa quando, sl tetto di una casa della sua Medellin, venne ucciso Pablo Escobar, il bandito più famoso e tra i più potenti dell’ultimo quarto di secolo. Nonostante la sua scomparsa e la conseguente dissoluzione dell'organizzazione che controllava da sola l'80% del mercato della cocaina, da allora il narcotraffico non ha fatto che aumentare. Non più organizzato in mega-cartelli, ma in centinaia di gruppetti, disseminati sul territorio nazionale, che non hanno mai fatto mancare droga buona ed economica nei vecchi mercati internazionali, come quello statunitense ed europeo, e in quelli nuovi, come il russo e l'asiatico. Sebbene nessuno possa essere paragonato per ricchezza e potere ad Escobar, i nuovi boss del narcotraffico dispongono di mezzi sofisticati per farla arrivare ovunque nel mondo. Dopo la scoperta nella regione di Bogotà di varie officine che assemblavano mini-sommergibili in grado di attraversare gli oceani, la mafia sta usando motoscafi in fibra di vetro dotati di quattro motori da 200 cavalli ciascuno, capaci di raggiungere i cento chilometri all'ora e di trasportare fino a tre tonnellate di stupefacenti.Ma oltre alla più raffinata tecnologia, la mafia colombiana continua a contare soprattutto su una massa crescente di disperati disposta a rischiare anni di carcere e, talvolta, la vita per una ricompensa di poche migliaia di euro. «Sebbene la gran parte del ricavato del narcotraffico finisca nelle banche dei paesi consumatori, quello che rimane nel paese serve a sfamare mezzo milione di persone, ma soprattutto ad arricchire una nuova oligarchia mafiosa e ad ossigenare nel suo complesso l'economia colombiana», avverte uno studio del Centro Studi Cinep. Uno dei risultati più evidenti di questo traffico illegale è la marea di dollari che invade il paese, sopravvalutando la moneta nazionale, il peso colombiano, e rendendo ancora più difficile il commercio dei pochi prodotti legali da esportazione, come frutta, tessili e fiori. Anche se drammatico il «fracaso» della guerra alla droga non pare preoccupare gli Usa, che sembrano accontentarsi di poter rinchiudere nelle proprie carceri una gran quantità di narcos: dal giorno del suo insediamento, Alvaro Uribe - presidente della Colombia - ne ha fatti estradare più di trecentocinquanta, seppellendo il vecchio proclama di Escobar secondo cui «è meglio una tomba in Colombia che una cella negli Stati Uniti». A salvarsi sono stati solo quei narcos che hanno avuto l'intelligenza di definirsi o trasformarsi in paramilitari pur di approfittare delle generosissime concessioni offerte alle «Autodefensas» nell'attuale processo di legalizzazione degli ex squadroni della morte. Vari mafiosi, come Diego Fernando Murillo, detto don Berna (ex gorilla dei boss, diventato l'uomo più potente di Medellin) o «Gordo Lindo», che ha comprato pochi mesi fa un mini-esercito di duemila uomini per darsi un'identità politica, stanno approfittando della straordinaria benevolenza di Alvaro Uribe per tutti i cosiddetti «combattenti anti-comunisti». «Per il nostro presidente, l'avere massacrato contadini o ucciso leader sindacali e comunitari, attività principale, se non unica, delle Auc, piuttosto che un delitto da perseguire rappresenta un inconfutabile merito», sostiene il gesuita Javier Giraldo, tra i più stimati e coraggiosi difensori dei diritti umani colombiani. Coccolati dal governo, applauditi da un parlamento che controllano per un terzo e temuti dalla gran parte della società, i narcos paramilitari si stanno impossessando dei settori più importanti dell'economia marginale (dal commercio informale alla prostituzione, passando per il contrabbando e le lotterie di strada). E sono diventati i padroni assoluti di molte regioni dove possono contare sulla sottomissione interessata o impaurita delle autorità locali come dei rappresentanti dello Stato, giudici, poliziotti e militari. L'esercito dei tossicodipendenti non ha alcun motivo per preoccuparsi: la droga colombiana continuerà a fluire nel mondo come un fiume in piena. E probabilmente sempre piú a buon mercato.
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