Latina

Nicaragua: aiuti dall'estero e migrazione

30 agosto 2005
Giorgio Trucchi

Il Nicaragua conta ormai con più di 5 milioni e mezzo di abitanti, ma quanti realmente vivono nel paese?
Secondo lo scrittore Oscar René Vargas, il fenomeno della migrazione ha avuto una crescita accelerata negli ultimi quindici anni (1990-2005) e questo fatto è dovuto in gran parte alle impellenti necessità dei nicaraguensi di migliorare le proprie disastrose condizioni economiche (secondo le statistiche, sono oltre il 72% i nicaraguensi che sono costretti a vivere con due dollari al giorno).
Mentre durante gli anni 80 i motivi dell'emigrazione erano legati a motivi politici e alla guerra, il lento sviluppo economico del Nicaragua in questi ultimi quindici anni ha diminuito le possibilità lavorative e quindi gli ingressi economici, propiziando l'aumento della povertà e dell'emarginazione sociale che risveglia in questi settori il desiderio di ricerca di migliori condizioni di vita.
Si stima che nel 2004, circa un milione di nicaraguensi stesse vivendo negli Stati Uniti, in Costa Rica (quasi la metà) e in altri paesi, cifra che rappresenta quasi il 19 per cento della popolazione totale.
Secondo studi della Cepal, nel giugno del 2001 il 42 per cento degli abitanti di Managua aveva almeno un parente all'estero.
Con l'aumentare vertiginoso della fuga verso altri paesi, il denaro che queste persone inviano ai propri famigliari mensilmente è con il tempo diventato uno dei pilastri dell'economia nicaraguense.
Le remesas familiares sono quindi attualmente gli elementi che permettono a milioni di nicaraguensi di poter sopravvivere nonostante la profonda crisi economica e sociale che vive il paese e con il tempo si sono trasformate in un elemento di "controllo sociale" che per ora ha impedito un violento scoppio del malcontento popolare di fronte al totale fallimento delle politiche economiche degli ultimi governi di stampo chiaramente neoliberista.
Non c'è da stupirsi, quindi, se il governo attuale, come quelli precedenti, non abbiano mai fatto nulla per impedire la fuga della manodopera nicaraguense verso l'estero e nemmeno per offrire le condizioni necessarie per il suo ritorno in patria.
Sempre secondo Oscar René Vargas, dal 1990 le remesas sono cresciute in modo sostenuto e hanno trasformato il migrante in un agente importante per l'economia nazionale, diventando la principale fonte di ingresso di divisa straniera, passando dai dieci milioni di dollari del 1990 ai 900 milioni di dollari nel 2004 (questa cifra equivale quasi all'intero Bilancio Generale della Repubblica e cioè all'intera spesa statale annuale e per il 2005 è prevista un'entrata di almeno mille milioni di dollari).
I valori del 2004 sono risultati superiori all'ammontare dei dollari che sono entrati nel paese in concetto di esportazioni, turismo e investimenti stranieri diretti e hanno rappresentato oltre il 35 per cento del Prodotto interno lordo (Pil). Alla fine risulta che non sono i paesi sviluppati, né le organizzazioni internazionali o le Ong quelli che apportano maggiormente all'economia nicaraguense, ma gli stessi emigranti. Inoltre questi apporti sono sicuri ed affidabili ed arrivano direttamente nelle mani delle classi più disagiate, senza essere condizionati dalle politiche del governo donante o dalle condizioni poste dalle Istituzioni finanziarie multilaterali (Fmi e Banca Mondiale).
Questo fenomeno viene però spesso utilizzato (il Salvador ne è un esempio classico) da paesi potenti come gli Stati Uniti per imporre una serie di misure politiche ed economiche ai paesi che dipendono da questo tipo di risorsa.
Meno di un anno fa, durante le elezioni presidenziali, il partito ex guerrigliero Frente Farabundo
Martí para la Liberación Nacional (Fmln) ha denunciato l'utilizzo delle remesas da parte degli Stati Uniti per impedire un suo successo elettorale.
Sono state centinaia di migliaia le chiamate telefoniche ai salvadoregni residenti negli Stati Uniti per convincerli ad avvisare i propri famigliari in Salvador che se avesse vinto il Fmln, gli Stati Uniti avrebbero bloccato (come di fatto hanno già fatto con i residenti cubani) l'invio delle remesas ai propri famigliari.
In Nicaragua, il tema del waiver (insieme di aiuti economici di una certa consistenza da destinare all'economia nicaraguense) è sempre stato legato alla restituzione o all'indennizzo delle proprietà espropriate a cittadini nordamericani (quasi sempre nicaraguensi fuggiti negli anni 80 e poi naturalizzati come statunitensi) durante il governo sandinista.

Secondo altri dati proporzionati da Oscar René Vargas, tra il 2000 e il 2004, le remesas sono aumentate del 66,67 per cento (senza comportare pagamenti di interessi come nel caso di prestiti effettuati dagli Organismi finanziari internazionali) e negli ultimi 15 anni si calcolano siano entrati in Nicaragua circa 4.587 milioni di dollari da parte degli emigranti.
Tale quantità di denaro significa l'aumento dei consumi nazionali e la vendita di beni e servizi, ma soprattutto crea la differenza tra il poter nutrirsi tutti i giorni ed il vivere nella miseria più totale.
Si calcola che di ogni 100 dollari che entrano in concetto di remesas, 75 vengono utilizzati per l'alimentazione, 6 dollari per vestirsi, 7 per l'istruzione, 3 per la casa, 2 per attività commerciali, solo 2 per il risparmio e il resto per altre spese. E' indicativo come in questo quadro resti drammaticamente fuori la sanità, per gli altissimi costi e per l'inesistenza di una reale sanità pubblica.
In questi susseguirsi di elementi non bisogna inoltre dimenticarsi che se il fenomeno dell'emigrazione e delle remesas crea una sostenibilità economica per oltre un milione di nicaraguensi, crea anche grossi disequilibri dovuti alla separazione dei nuclei famigliari, all'abbandono delle comunità, alla fuga di manodopera anche qualificata e molto spesso a dover accettare condizioni di vita pessime (per poter risparmiare il più possibile) e fenomeni di razzismo (come sta avvenendo in Costa Rica).
Intorno al fenomeno delle remesas familiares esistono inoltre molti interessi.
Il primo, come già detto, è quello del governo che conta con questa entrata sicura di divisa estera nel paese che gli permette un maggior controllo della fluttuazione della moneta locale (cordoba) nei confronti del dollaro e un controllo sociale nei confronti di quei settori che non potrebbero sopravvivere senza questi aiuti dall'estero e che quindi potrebbero essere motivo di grossi conflitti sociali.
Il secondo è quello delle agenzie finanziarie e le banche che ottengono enormi guadagni gestendo l'invio e la ricezione delle remesas. La tassa media che viene fatta pagare all'invio del denaro è del 10 per cento, che se lo calcoliamo su circa 900 milioni di entrate ne deriva un guadagno notevole. Proprio per questo, negli ultimi anni, le finanziarie e le banche si stanno specializzando nella ricezione degli invii di dollari proprio dagli Stati Uniti e soprattutto dal Costa Rica.

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