Colombia: Uribe con il vento in poppa si prepara a fare il bis
«Un presidente difficilmente sostituibile»: dopo la benedizione dell'editoriale del quotidiano El Tiempo di domenica scorsa, Alvaro Uribe è sempre più certo di stare altri quattro anni a Palacio Nariño. Visto che la rielezione non è prevista dalla carta cosituzionale, per poter partecipare alle elezioni dell'anno prossimo gli manca ancora il placet della Corte, previsto tra una ventina di giorni. Ma Uribe si è ormai guadagnato il voto della maggioranza dei suoi componenti, distribuendo favori e regali a destra e a manca. Bassa politica, ma efficace. Ad esempio, per far cambiare opinione al giudice di tendenza conservatrice, è bastato nominare ambasciatore a New York l'ex presidente Andrés Pastrana. Ma anche El Tiempo ha avuto il suo regalino grazie ad un finanziamento da parte del ministero delle comunicazioni della compagnia telefonica di cui è proprietaria la famiglia Santos. Per spiegare la sua dichiarazione di voto, che arriva dopo critiche anche dure (che fecero credere a molti che l'oligarchia colombiana fosse intenzionata a cambiare cavallo), l'organo di stampa più importante del paese ricorda la popolarità di Uribe, indicata a livelli storici (tra il 70 e l'80%). Assunta come verità indiscutibile da tutti i mezzi di comunicazione, questa baggianata continua ad essere spacciata nonostante il clamoroso flop nell'unico sondaggio veritiero fatto nel paese, cioè il referendum nell'ottobre scorso, nel quale le proposte di Uribe non riuscirono a raggiungere nemmeno il 25% dei voti favorevoli.
Più che nell'opinione della popolazione, la forza del presidente più reazionario dell'America latina risiede nella miopia e nell'arroganza delle poche famiglie che dominano e controllano la Colombia (quelle di vecchia tradizione e quelle dei nuovi violenti parvenus mafiosi e paramilitari): ad un governo che cerchi di pacificare il paese ridistribuendo un po' di ricchezza, ne hanno sempre preferito uno autoritario deciso a risolvere qualunque problema sociale con la forza. Un pensiero inossidabile, nonostante l'evidente fallimento della cosiddetta politica di «sicurezza democratica» di Uribe: dopo tre anni del suo governo, la guerriglia delle Farc, benché costretta a ripiegare in alcune regioni, è forte come o più di prima. Migliaia di morti in più, tra ribelli e soldati, non hanno cambiato assolutamente i rapporti di forza nel paese. Le voci di dissenso su Uribe non mancano anche tra i settori imprenditoriali. Ad esempio il gerente della Mazda in Colombia, José Fernando Isaza, ha messo in discussione la sostenibilità economica della sua strategia guerrafondaia, calcolando un costo di 800 milioni di pesos (due milioni e mezzo di euro) per ogni ribelle catturato o eliminato. «Che senso ha continuare questo conflitto, buttando tanti soldi e conoscendo la facilità con cui le Farc riescono a rimpiazzare i loro caduti?» ha chiesto durante un dibattito televisivo.
Nessuno comunque sembra, almeno per ora, in grado di sbarrare la strada ad Uribe. Non il partito liberale, che pensa di candidare un vecchio e consumato politicante come Horacio Serpa, ex ministro del governo Samper, anche se non è da escludere che alla fine si presenti l'ex presidente Cesar Gaviria, servile degli Usa quasi quanto Uribe. E nemmeno la sinistra, divisa al momento tra il Polo Democratico che propone Antonio Navarro, l'unico leader sopravvissuto dell'M-19 (che dal momento del suo disarmo nel 1991 non si è distinto affatto dai partiti tradizionali) e il Fronte sociale politico, al quale aderiscono vari movimenti radicali tra i quali il Partito comunista colombiano, che candida Carlos Gaviria, ex giudice della Corte costituzionale, ignorato dai media e finora sconosciuto alla gran parte dei colombiani. Oltre alla grande borghesia e ai suoi organi d'informazione, Uribe conterà sull'appoggio massiccio dei paramilitari che controllano, con un terrore che è diventato norma, gran parte delle regioni colombiane.
Chi spera di batterlo si affida alla possibilità che non vinca, come nel 2002, al primo turno, anche se è abbastanza improbabile che, nel ballottaggio, la gente di sinistra possa votare il candidato liberale o la macchina partitica del partito liberale si metta al servizio di un uomo come Antonio Navarro o Carlos Gaviria. Come è sempre accaduto nelle scorse elezioni, le Farc giocheranno un ruolo importante, sia nell'eventualità che scatenino un'offensiva militare che in quella che accettino lo scambio di prigionieri col governo. Stavolta però gli uomini di Tirofijo hanno un asso nella manica in più, e cioè la leader ecologista Ingrid Betancourt. Se la liberassero, contribuirebbero probabilmente all'unica candidatura capace di evitare l'incubo di altri quattro anni di guerra e miseria. Famosa, prevedibilmente più sensibile ai temi sociali (dopo quattro anni passati a contatto con i ribelli), appoggiata internazionalmente, la Betancourt rappresenterebbe quella novità che i colombiani hanno sempre premiato, pur di far finire la loro tragedia. Per ora, quest'ipotesi rimane un sogno ma nella patria del «realismo magico» tutto è possibile.
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