Latina

Venezuela: basco rosso e petrolio arriva Chavez

La «rivoluzione bolivariana» continua a dividere il paese ed ora il leader amato-odiato sfida i grandi latifondisti
16 ottobre 2005
Guido Piccoli
Fonte: Il Mattino

Una settimana fa decine di migliaia di contadini sono sfilati nel centro di Caracas per invocare mano dura contro il latifondo. Al loro fianco, c'erano ministri e governatori, segno che Hugo Chavez ha scelto di approfondire la «rivoluzione bolivariana». Appena l’altro ieri, sono state espulse dal Paese sette missionarie americane - appartenenti a un gruppo religioso evangelico, nato in Florida con il nome di «New Tribe» - con l’accusa di avere legami con la Cia: «una vera penetrazione imperialista vergognosa e dolorosa che sfrutta le popolazioni indie nella nostra stessa casa», ha detto Chavez. Secondo quanto riporta l'agenzia missionaria Misna, l'iniziativa avrebbe riscosso anche il plauso della Chiesa venezuelana. Non c’è dubbio che il presidente venezuelano - da ieri al vertice di Salamanca, in Spagna e da domani sera in visita in Italia - si sia imposto come un elemento di novità e di rottura nel panorama latino-americano. I venezuelani continuano a dividersi tra quelli che giudicano Chavez un demone con il basco rosso e gli altri - la maggioranza - che lo vedono come l'angelo vendicatore di tutti i soprusi subiti. «La barricata ha solo due lati», gridavano a Caracas i manifestanti, sancendo una polarizzazione che iniziò nel 2001, quando il governo fece approvare un pacchetto di 49 leggi che avrebbero dovuto emancipare quella maggioranza di poveri e miserabili, sempre esclusi dal potere. Fu allora che precipitò lo scontro nel Paese, portandolo sull'orlo della guerra civile, tra un colpo di Stato, un'interminabile sciopero-serrata e scontri di piazza per molto tempo quotidiani. Dopo sette anni dal suo insediamento a Palacio Miraflores, il «presidente indio» è più forte che mai. Ma quant’è riuscito veramente a cambiare la società venezuelana? Il punto centrale dello scontro è ancora il possesso della terra, anche nella «Venezuela Saudita» con il petrolio a 70 dollari il barile e destinato, con ogni probabilità, ad aumentare ancora. Due dati per tutti spiegano la «guerra al latifondo»: il 70% della terra coltivabile appartiene al 3% dei grandi proprietari ed è in buona parte improduttiva, mentre l'80% del consumo alimentare del Paese è importato dai paesi vicini e dagli Stati Uniti. Forte dell'appoggio popolare ricevuto col referendum dell'agosto 2004, Chavez sta quindi attuando quel decreto del gennaio scorso che dichiarava «il latifondo contrario all'interesse sociale e la grande proprietà un attentato alla natura» e promuoveva la distribuzione della terra alla popolazione nullatenente. Provvedimento per niente indolore. Ma quanta parte dello Stato, bolivariano segue il suo leader? La stragrande maggioranza degli assegnatari delle terre distribuite si lamenta della burocrazia, implacabile e potente, che blocca qualunque finanziamento agricolo. Quello della burocrazia, è un cancro ereditato dai governi passati, ma irrobustito da un certo statalismo «bolivariano», che ha spesso riempito le istituzioni di persone fidate ma poco competetenti. Ed appare sempre di più il nemico numero uno di Chavez. Più degli Usa che, impantanati in Iraq, non riescono a trovare una strategia coerente per neutralizzarlo. E più dell'opposizione, sempre più divisa e patetica, che in questi anni non ha fatto altro che cospirare, cullando il sogno di uno sbarco di marines. Anche se può apparire un paradosso, il maggiore problema, odierno e futuro, di Chavez si nasconde nella sua base d'appoggio: sia in quelli che non sfuggono all'attrazione del potere e del danaro, sia in quanti vorrebbero un processo riformista più decisamente orientato in senso socialista. Finora il «lider maximo» è stato baciato dalla fortuna di poter contare sul prezzo record del petrolio, che ha permesso al suo Paese (quarto produttore del mondo) di distribuire - soltanto l'anno scorso - 3200 milioni di dollari in spese sociali, soprattutto nei settori educativo, sanitario e alimentare. Uno straordinario 32% del prodotto interno bruto (Pib), è risultato essenziale, ad esempio, per finanziare le campagne di massa, dette «Misiones», che hanno spinto i venezuelani poveri a dargli fiducia in ripetute occasioni, ma che è ancora poca cosa rispetto alle loro rivendicazioni di giustizia sociale. Ma cosa succederà se dovesse finire la «bonanza petrolera»? «Se la burocrazia è il suo maggior nemico, la solitudine del potere è il suo maggior difetto. È come un eucalipto, un albero che non permette che nessuno gli cresca intorno», afferma il sociologo Carlos Correa, che si dice comunque sicuro della sua rielezione nelle presidenziali previste alla fine del 2006. A meno che non realizzino qualche forsennato piano omicida (tutt'altro che improbabile), la borghesia venezuelana e Washington dovranno sopportare il «demone col basco rosso» fino al 2011.


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