Ecuador: Gutierrez arrestato al suo rientro in patria
L'arresto di Lucio Gutierrez, avvenuto sabato scorso, ha scosso la politica ecuadoriana. L'ex presidente, destituito lo scorso aprile (per la terza volta in poco più di otto anni un governo regolarmente eletto è costretto alla fuga prima della fine del suo mandato), non ha mai riconosciuto l'esecutivo insediatosi dopo il suo abbandono del palazzo presidenziale, anzi, ha sempre coltivato l'idea di tornare nel suo paese sfruttando la situazione di forte instabilità politica.
Appena tornato in Ecuador dalla Colombia, dove era fuggito in seguito alle rivolte di piazza della popolazione al grido "que se vayan todos" (come in Argentina), Gutierrez era fermamente intenzionato non solo a stabilirsi di nuovo a Quito, ma addirittura a candidarsi di nuovo al potere.
Appena atterrato nella basa militare di Manta (tra l'altro ceduta agli Stati Uniti), il colonnello Gutierrez, come ama farsi chiamare, è stato immediatamente arrestato insieme al fratello e ad alcune persone a lui vicine con l’accusa di mettere in pericolo la sicurezza nazionale e condotto presso il carcere "Garcia Moreno" della capitale Quito.
Gutierrez si era affacciato inizialmente sulla scena della politica ecuadoriana suscitando le speranze sia degli indigeni della Conaie sia dei movimenti sociali latinoamericani, tanto che inizialmente proprio due ministri del suo governo erano indigeni, Luis Macas e Nina Pacarì.
La presenza di una forte componente indigena al governo è però durata lo spazio di pochi mesi: il suo sempre più stretto legame con gli Stati Uniti e l'evidente tentativo di avvicinarsi alla destra hanno presto indotto il movimento indigeno Pachakutik a rompere l'alleanza dopo appena sei mesi e dar vita ad un movimento di organizzazione così ben organizzato che alla fine di agosto, in seguito alle rivolte nei dipartimenti di Sucumbios e Orellana contro le grandi compagnie petrolifere, alcuni commentatori hanno coniato il termine di "intifada india". Inoltre Gutierrez ha pagato a caro prezzo la decisione di sciogliere la Corte Suprema di Giustizia e le manovre per far rientrare in patria uno tra i tanti ex presidenti corrotti della storia del paese, Abdalà Bucaram.
La situazione del paese, anche sotto la guida del nuovo presidente Alfredo Palacio, subentrato a Gutierrez dopo le sollevazioni di Aprile e fino a quel momento vicepresidente, resta confusa. Le dimissioni del ministro dell'economia Rafael Correa, che aveva esposto le sue perplessità di fronte all'obbligo imposto al suo paese di versare il 40% del bilancio statale al pagamento del debito estero, e le difficoltà del presidente Palacio a guidare un paese in cui sono le multinazionali petrolifere (Agip, Repsol, Oxy, tanto per citare le più note) a farla da padrone, aumentano la situazione di incertezza del piccolo paese andino.
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