"Per una terra senza latifondi" VI incontro dei comitati europei di appoggio al movimento dei Sem Terra
In quali termini di alternativa o di coesistenza si pongono
la lotta istituzionale e la mobilitazione popolare, i partiti e i movimenti,
la via elettorale e la costruzione del potere dal basso? In tale dibattito,
che coinvolge le forze di sinistra in tutto il mondo, con particolare
riferimento a due casi emblematici, quello zapatista e quello venezuelano,
non può mancare il contributo del Movimento dei Senza Terra (Mst), la più
forte e autorevole organizzazione popolare del Brasile, se non dell¹intera
America Latina. Un¹autorevolezza, quella del Mst, conquistata attraverso le
occupazioni di terra, le persecuzioni e le stragi che nel corso degli anni
si sono consumate in Brasile (il 30 ottobre un altro militante del Mst,
Antonio José dos Santos, è stato assassinato in Pernambuco), ma anche grazie
alla coerenza di una lotta in cui la chiarezza ideologica e il rigore delle
analisi si accompagnano sempre alla forza dei simboli, alla celebrazione
degli ideali e dei sogni. Un¹autorevolezza che si è affermata anche in
Europa, dove, non caso, i diversi Comitati di appoggio al Mst sono entrati
già da tempo a pieno titolo nel movimento altermondialista del Vecchio
Continente.
La crescita, quantitativa e qualitativa, della solidarietà ai Senza Terra
del Brasile è emersa in maniera evidente dal Sesto Incontro degli amici ed
amiche europei del Mst, "Por uma terra sem latifundios", promosso dal
Comitato italiano Mst a Roma, dal 28 al 30 ottobre scorso, con la presenza
di tre rappresentanti brasiliani: Ademar Bogo e Maria de Fátima Ribeiro
della Direzione nazionale, e Geraldo Fontes del settore delle relazioni
internazionali. Un¹occasione che si ripete ogni due anni per fare il
punto sulla solidarietà internazionale con il Movimento, in un quadro
politico complicato dalle aspettative e dalle successive delusioni legate al
governo dell¹"amico" Lula.
L¹imbroglio della conciliazione di classe
La vittoria di Lula ha spiegato Bogo è stata anticipata da una chiara
opzione, da parte del Partito dei lavoratori, per la lotta istituzionale, la
disputa elettorale in tutte le sue implicazioni: "il predominio del
marketing sulla militanza, l¹alleanza con le forze conservatrici, la perdita
di contenuto ideologico, socialista e rivoluzionario". Un¹opzione che, a
vittoria ottenuta, ne ha portato con sé un¹altra: quella per la
governabilità ad ogni costo, per garantire la quale il Pt ha alimentato
quelle pratiche a cui ha fatto sempre ricorso la destra, come la creazione
di una finanza parallela, il clientelismo, l¹alleanza con forze corrotte. Il
risultato, dopo tre anni, è sotto gli occhi di tutti: nessuna prospettiva di
cambiamento si intravede nel Brasile di Lula. "L¹attuale crisi - ha spiegato
Bogo è, prima di tutto, la conseguenza di una visione di conciliazione di
classe: il capitalismo afferma non fa concessioni, in quanto la sua
sopravvivenza dipende direttamente dallo sfruttamento della classe
lavoratrice. Pertanto, quanto più si negozia, tanto più i lavoratori sono
destinati a perdere". Ed è, anche, la conseguenza di una "totale obbedienza
al capitale, che impone alcune riforme, quelle funzionali ai propri
interessi, escludendone altre, come la riforma agraria". Ed è, infine, la
conseguenza di una scommessa sbagliata, quella sul progetto di lotta alla
fame portato avanti dal governo Lula: un progetto che, lungi dall¹elevare il
livello di coscienza della popolazione e accumulare forze in vista di un
rafforzamento dei movimenti popolari, si è tradotto in un mero programma
assistenzialista. In questo quadro, il Movimento dei Senza Terra ha
condotto, in totale autonomia dal governo, la sua lotta per la riforma
agraria: Fátima Ribeiro ha ripercorso le tappe di una mobilitazione
permanente, dall¹"aprile rosso" delle occupazioni di terra contro la
paralisi della riforma agraria alla grande Marcia nazionale del maggio
scorso (v. Adista n. 39/05), fino all¹Assemblea popolare "Mutirão per un
nuovo Brasile", che dal 25 al 28 ottobre ha riunito, in un evento senza
precedenti nella storia del Paese, i rappresentanti di più di 40 movimenti
sociali, rurali e urbani, con un unico obiettivo: la costruzione collettiva
(questo il senso della parola "mutirão", intraducibile in italiano) di un
progetto popolare per un Paese diverso, a partire dal superamento
dell¹attuale modello di dipendenza dal capitale internazionale.
LA SOVRANITÀ ALIMENTARE CAMBIERÀ IL MONDO: I SENZA TERRA E I LORO ALLEATI
CONTRO LE REGOLE DEL WTO
ROMA-ADISTA. L¹incontro dei Comitati europei di appoggio al Movimento dei
Senza Terra (v. notizia precedente) ha offerto anche l¹occasione per
ampliare e approfondire il dibattito attorno a un tema decisivo per il
superamento del modello capitalista globalizzato: quello della sovranità
alimentare, ossia del diritto delle comunità e dei popoli di scegliere il
proprio modello di produzione, distribuzione e alimentazione. Un tema
rivoluzionario - ha spiegato il professore di Economia del territorio
all¹Università di Roma Tre Pasquale De Muro, durante la sessione di lavori
del 29 ottobre, a cui hanno partecipato esponenti del mondo politico, dei
movimenti, delle organizzazioni contadine, della cultura perché "incide
sui fondamenti stessi del modello economico neoliberista": se questo infatti
si fonda "su una fortissima divisione del lavoro a livello internazionale e
sull¹aumento continuo e inesorabile delle esportazioni come condizione per
la crescita economica", la sovranità alimentare implica, al contrario, lo
sviluppo del mercato interno, puntando non sulla crescita delle
esportazioni, ma sulla produzione locale di alimenti sani, a prezzi
economici e nel rispetto dell¹ambiente. È questa, secondo Ivan Nardone,
responsabile dei Beni Comuni e dell¹Agricoltura di Rifondazione Comunista,
l¹unica risposta alla logica, propria del modello di liberalizzazione degli
scambi, "di produrre cibo dove costa meno per venderlo dove si spende di
più". Una risposta data, non solo nel Sud ma anche nel Nord del mondo, dal
ciclo corto di produzione, che elimina la molteplicità dei passaggi dalla
produzione al consumatore e rende possibile l¹esistenza dell¹azienda
contadina e la valorizzazione del territorio e del lavoro agricolo. Ma
perché questo sia possibile è necessario in primo luogo, ha affermato Ademar
Bogo, che l¹agricoltura resti fuori dai negoziati dell¹Organizzazione
mondiale del commercio (Wto, nella sua sigla in inglese). Perché sono le
regole del Wto a provocare un distruttivo cambiamento nei processi di
produzione del cibo, violentando, attraverso le monoculture, gli allevamenti
intensivi, gli ogm, il monopolio delle sementi, i delicati equilibri
dell¹ecosistema terra. Fuori l¹agricoltura dal Wto, dunque, ma anche da quei
trattati bilaterali con cui, ha dichiarato Giovanni Russo Spena di
Rifondazione, Stati Uniti ed Europa hanno tentato di aggirare la sconfitta
inferta loro, alla Conferenza ministeriale del Wto a Cancun, dai movimenti
popolari e dalla coalizione dei Paesi del Sud nata per impulso del governo
brasiliano. Peccato che oggi, all¹interno del Wto, il Brasile, come ha
sottolineato Monica Di Sisto di Tradewatch, l¹Osservatorio sul commercio
internazionale, stia giocando "per sé e per l¹agrobusiness", accettando di
negoziare la sovranità nazionale in cambio della conquista di nuovi mercati
agricoli per le proprie imprese esportatrici.
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