Brasile: per Amnesty nel paese è utilizzata la tortura
Forze di polizia violente e corrotte, spesso inefficaci per contrastare la criminalità e responsabili di pestaggi e omicidi extragiudiziali. Metodi di tortura ancora diffusi sistematicamente in carceri e stazioni di polizia, sia per punire che per estorcere confessioni. A farne le spese sono le classi subalterne, la popolazione afrobrasiliana e gli indios, ma anche bambini di strada, sindacalisti e attivisti per i diritti umani. Nel secondo rapporto periodico presentato dal governo brasiliano al Comitato diritti umani delle Nazioni unite (Hrc) e diffuso il 25 ottobre scorso da Amnesty International è fotografata una situazione estremamente preoccupante: in Brasile il rispetto dei diritti umani non può dirsi lo stesso di un «paese normale», e i responsabili di violenze e vessazioni sono gli stessi che avrebbero il compito di difendere i cittadini.
Il Brasile fa parte di 155 Paesi aderenti ad una convenzione internazionale sul rispetto dei diritti umani in base alla quale è obbligato a documentare la propria attività su questo tema. Il rapporto, atteso dal 1998, è stato presentato soltanto recentemente ed è il secondo a essere depositato dal 1996. Da Ginevra il sottosegretario per i Diritti umani in Brasile, Mário Mamede, ha spiegato il 25 ottobre che il Paese sta ottemperando al Patto internazionale sui diritti civili e politici, malgrado alcune difficoltà che ha cercato di illustrare.
Oggi in Brasile casi di tortura e di esecuzioni sommarie da parte di ufficiali autorizzati per legge sono regolarmente denunciati dalla stampa e esiste un pronunciamento del governo secondo cui tali crimini non debbano essere accettati. Tuttavia, si afferma nel documento, una larga fascia della popolazione continua a patire violazioni sistematiche dei diritti umani da parte di ufficiali di stato, soprattutto tutori della legge. Mentre qualche leggero progresso è stato compiuto in merito alle indagini su questi crimini e sull`individuazione dei responsabili, la maggior parte di essi continua a rimanere impunita.
Nel 2005 due casi emblematici hanno sottolineato l`inadeguatezza e la reattività delle risposte governative: l`omicidio della suora cattolica Dorothy Stang, compiuto il 12 febbraio in Pará e seguito dall`uccisione di 29 residenti di comunità socialmente escluse, avvenuta nella Baixada Fluminense, nei sobborghi di Rio de Janeiro, nell`aprile scorso. Evento che ha chiaramente mostrato la attiva e costante presenza di «squadroni della morte» nei centri urbani del Brasile che operano come una forza di polizia parallela utilizzando metodi da bande criminali.
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Soltanto un numero modesto di persone sono state processate in ottemperanza alla legge antitortura varata nel 1997, mentre tali attività continuano in modo sconsiderato e sistematico. Secondo il rapporto la maggior parte dei casi è largamente sconosciuta, non investigata e impunita, mentre le vittime continuano a essere i settori più vulnerabili della società: principalmente i poveri, giovani maschi neri o di razza mista che sono sospettati di avere compiuto azioni criminose. Ma c`è di più: i difensori dei diritti umani in Brasile sono spesso sottoposti a sevizie, intimidazioni, diffamazioni e in alcuni casi sono addirittura uccisi.
«La svolta offerta dalla istituzione del Piano nazionale sui diritti umani, nel 1996, non ha purtroppo portato quelle riforme necessarie per assicurare ai brasiliani la fine di torture, omicidi e maltrattamenti compiute dalle mani di chi dovrebbe invece proteggerli», afferma Tim Cahill, ricercatore di Amnesty in Brasile. «I governi che si sono succeduti hanno fatto accomodare i diritti umani sul sedile posteriore delle riforme. L`insufficienza di investimenti e di risorse finanziarie destinate a proteggere i diritti umani continuano a decimare le vite di centinaia di migliaia di brasiliani».
Il Programma di protezione dei difensori dei diritti umani, lanciato dal governo federale l`anno scorso, ha contribuito notevolmente a promuovere e difendere il lavoro di chi si batte per i diritti umani in Brasile e in tutta la regione sudamericana. Tuttavia, si afferma nel rapporto, continuano a mancare le infrastrutture necessarie per il suo sviluppo.
«Si tratta di un pessimo presupposto per un Paese che ha un disperato bisogno di svilupparsi economicamente e socialmente», commenta per `Musibrasil` Paolo Pobbiati, presidente della sezione italiana di Amnesty International.
E aggiunge: «I tentativi di migliorare la situazione dei diritti umani nel paese sembrano naufragare di fronte ad un clima di impunità di cui godono di fatto i responsabili di questi abusi. Un circolo vizioso dal quale il Brasile non può fare a meno di uscire per affrontare le sfide che questo secolo gli sta già sottoponendo ed occupare quel posto di primo piano nella comunità internazionale che molti osservatori internazionali gli reclamano», conclude Pobbiati.
La criminalizzazione della povertà
Indios (paragrafo 14)
Nonostante gli obblighi costituzionali degli Stati brasiliani nei confronti delle popolazioni indigene, esse rimangono tra i gruppi più vulnerabili della società brasiliana. Il processo di demarcazione delle loro terre continua ad essere lento e soggetto a continue ricusazioni. Leader indigeni sono anche attaccati e criminalizzati per le loro attività.
Durante il luglio 2005 nel territorio indigeno Truká, in Pernambuco, il leader Adenilson dos Santos Truká e suo figlio sono stati uccisi a colpi di fucile da ufficiali di polizia in uniforme durante una cerimonia pubblica. Il fratello Aurivan dos Santos, cacique (capo) del Truká è stato arrestato dopo essersi presentato volontariamente alla polizia federale per fornire informazioni sull`omicidio di Adenilson, di cui è stato testimone.
Nel 2005 vi sono stati attacchi al processo di demarcazione degli indios, come nei territori rivendicati dagli indios Guarani Kaiowá, nel Mato Grosso del sud, che vivono ammassati in una delle più piccole, povere e densamente popolate aree indigene del Brasile.
Il territorio Nhanderu Marangatu, esemplifica il rapporto, era stato assegnato agli indios dal presidente Inácio Lula il 28 marzo 2005. Questo atto è stato sospeso dalla Corte suprema federale il 28 luglio e il futuro delle centinaia di indigeni che vivono nel territorio è tuttora incerto mentre è in pendenza un appello contro tale risoluzione.
Omicidi polizieschi (paragrafi 74-77)
Ogni anno centinaia, se non migliaia di civili, sono uccisi dalle forze pubbliche di polizia. I rapporti degli Stati di Rio de Janeiro e São Paulo, gli unici che documentano questi casi, mostrano un drammatico incremento di omicidi: 915 a São Paulo e 1.195 nel solo 2003.
Le cause sono automaticamente attribuite a «resistenza seguita dalla morte» oppure a «resistenza» a pubblico ufficiale, trasformando le vittime in aggressori senza alcuna indagine ulteriore per stabilire le circostanze dei decessi. Nel 2004 il numero dei casi di «resistenza seguita da morte» è sceso a 663, mentre a Rio a 983. La maggioranza delle vittime erano disarmate, colpite ripetutamente alle spalle e numerose incensurate. Le indagini di solito sono interrotte. Spesso i parenti non denunciano i casi per timore di essere coinvolti.
Da notare che nel 2004 il numero di omicidi è calato dell`8,2 per cento, diminuzione avvenuta per la prima volta dal 1992. Il governo federale l`ha attribuita all`introduzione della legge sul disarmo che ha posto sotto controllo il trasporto delle armi.
Omicidi in aree rurali (paragrafi 126-129)
Nel 2003 il numero di attivisti e di indigeni uccisi è cresciuto considerevolmente. Tali omicidi spesso si verificano con la partecipazione, conoscenza o complicità delle forze di polizia. La maggior parte degli autori rimane impunita. Nel 2003 solo cinque persone erano agli arresti per gli omicidi di 976 attivisti compiuti tra il 1985 e il 1996.
Il 12 febbraio 2005 Dorothy Stang, una suora che ha compiuto campagne ecologiche sui diritti della terra nel Pará è stata uccisa. L`episodio è avvenuto due soli giorni dopo il suo incontro con l`allora segretario speciale per i Diritti umani del governo federale e dopo averlo informato di maltrattamenti compiuti nei propri confronti.
Squadroni della morte
Omicidi compiuti da squadroni della morte continuano a essere praticati su gran parte del territorio brasiliano. Il governo federale ne ha rilevato l`attività in 15 stati su 27. Tali gruppi sono in genere costituiti da poliziotti di ruolo e in fase di formazione, coinvolti nell`uccisione di sospetti criminali con cui hanno in corso piccoli affari privati. Molte testimonianze tuttavia indicano il loro coinvolgimento nel crimine organizzato, compreso spaccio di droga, traffico di armi e omicidi su commissione.
Il 31 marzo 2005 ventinove persone sono state uccise da colpi da arma da fuoco provenienti da un gruppo di agenti della polizia militare di Rio che si aggirava nelle aree di Queimados e Nova Iguaçu, nella Baixada Fluminense. Membri del gruppo hanno fatto fuoco indiscriminatamente dalle loro auto. Le vittime avevano tra i 13 e i 64 anni e includevano numerosi studenti. Dalle indagini è risultato che membri corrotti di polizia militare facevano parte del gruppo di aggressori.
Indagini
Amnesty International ha ricevuto informazioni secondo cui le indagini per appurare le responsabilità della polizia sono state occultate, rimossi i corpi delle vittime dal luogo dei delitti, nascosti o rimossi armi, proiettili e altre tracce. Maltrattamenti, intimidazioni e casi di attacchi ai testimoni sono stati riportati frequentemente.
Torture (paragrafi 134-135)
Casi di tortura da parte di agenti di polizia di stato sono stati ripetutamente osservati. La maggior parte di essi non risulta dai rapporti ufficiali, non è sottoposta a indagini e rimane impunita. Il governo brasiliano ha riconosciuto come la tortura sia spesso usata come metodo investigativo, per punire o estorcere confessioni da parte degli organi giudiziari e polizieschi. Le vittime continuano a essere costituite principalmente da poveri, giovani maschi neri o di razza mista sospettati di avere commesso crimini.
Nonostante l`introduzione della legge sulla tortura, del 1997, solo pochi casi sono stati denunciati, e tale legge è stata sostanzialmente disapplicata.
Un sondaggio compiuto nel 2004 ha mostrato come il 24 per cento dei cittadini interpellati a São Paulo ritenga che la tortura sia una pratica accettabile nel condurre indagini. Si tratta di una percentuale del 4 per cento inferiore rispetto a un analogo sondaggio condotto nel 1997.
Nel 2001 Amnesty ha lanciato una campagna contro la tortura in Brasile. Il governo attuale aveva ripetutamente promesso il rilancio di tale campagna. Tuttavia tale iniziativa sembra essere stata accantonata. Nella sua prima intervista il nuovo segretario federale per i Diritti umani non ne ha fatto menzione.
Condizioni di detenzione (paragrafi 181-205)
Il sistema di detenzione brasiliano è migliorato di poco dal 1996. Le condizioni tendono a raggiungere gli standard minimi internazionali. I deceduti per morte violenta sono tuttavia un problema costante, sia per opera delle guardie e le forze di polizia, sia tra gli stessi detenuti, spesso facenti parte di gruppi in attrito tra loro anche per motivi di droga.
Diritto alla libertà di espressione (paragrafi 260-265)
Amnesty ha riportato frequenti denunce di maltrattamenti, intimidazioni, attacchi e omicidi patiti da difensori dei diritti umani in Brasile. Chi difende i diritti umani, specie quelli dei gruppi più marginalizzati delle comunità socialmente ed economicamente escluse o di quelle rurali e indigene, è sottoposto a maltrattamenti e intimidazioni, fino alla morte violenta.
Uguaglianza dei diritti davanti alla legge (paragrafi 325-350)
Amnesty ha ricercato e documentato pratiche poliziesche che hanno condotto molti gruppi difensori dei diritti umani in Brasile a definirle come «criminalizzazioni della povertà». Molti studi hanno anche mostrato che le comunità afrobrasiliane sono spesso vittime di omicidi specialmente compiuti da forze di polizia. Il Quarto rapporto Unicef sulla violenza in Brasile, ad esempio, ha mostrato che la media nazionale nel 2002 di omicidi della popolazione bianca è pari a 39,2 unità su 100mila, mentre quella della popolazione afrobrasiliana è di 68,4.
Un recente studio dell`università Candido Mendes di Rio de Janeiro ha accertato che il numero di omicidi nei confronti di afrobrasiliani è stato dell`87 per cento più alto rispetto a quelli di bianchi brasiliani. Uno studio successivo ha mostrato che il numero di neri afrobrasiliani uccisi è stato del 21 per cento più alto di quello relativo a persone di razza mista.
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