Con Evo Morales presidente in Bolivia, il cammino della rivoluzione continentale è in corso
Sì, se si rappresenta una multinazionale nordamericana che pretende di portar via il gas naturale boliviano ad un terzo del prezzo di mercato.
No, se si è un contadino andino che vive sopra un'immensa bolla di quel gas, ma di questo gas non può beneficiarsi e deve disboscare alberi per riscaldarsi o cucinare.
Sì, è preoccupante se si è parte dell'aristocrazia creola che perpetua da 500 anni rapporti di produzione premoderni e per perpetuarli è disposta a tutto, anche a dividere il paese e portarlo alla guerra civile.
No, non è preoccupante, se si è un indigeno quechua, aymará, guaraní (questi ultimi amazzonici) che crede nella democrazia e che ha lavorato come una formica per portare un indigeno contadino povero alla presidenza della Repubblica in un palazzo Quemado dove fino agli anni ‘50 l’apartheid bianca impediva perfino di entrare fisicamente nella piazza a chi apparteneva alla maggioranza nativa.
Sì, è preoccupante se si è il governo degli Stati Uniti, che cinque anni fa obbligò con la forza il parlamento di La Paz a non votare per Evo Morales presidente ed oggi vede il giardino di casa ridursi sempre di più.
No, non è preoccupante se si è un latinoamericano che vuole mettere fine al genocidio neoliberale della povertà che distrugge il continente e guarda all'Unità latinoamericana come l'unica speranza perché la parola "sovranità" non suoni vuota e possa coniugarsi finalmente con la giustizia sociale.
PREOCCUPATI O NO, EVO MORALES SARÀ IL PRESIDENTE DI TUTTI I BOLIVIANI. Lo sarà delle grandi masse indigene, che oggi festeggiano l'albeggiare dopo una lunga notte durata 513 anni, a partire dall'invasione europea del 1492. Ma sarà presidente –e non sarà facile- anche dei gruppi parafascisti come Nación Camba (Nazione Bianca), i secessionisti di Santa Cruz appoggiati da Washington, che sostengono che nessun dialogo è possibile con chi vuole cambiare il modello coloniale di esclusione nel quale affonda il paese.
La macchina dei brogli ha lavorato notte e giorno. Almeno 1.000.000 di boliviani siano stati esclusi a sorpresa dal voto. Si sono “autoeliminati” non andando a votare nelle precedenti amministrative e per tanto sono stati eliminati dalle liste elettorali. Il problema è che non sapevano di doversi reiscrivere. I sondaggi che assegnavano ad Evo la maggioranza relativa con poco più di un terzo di voti, si sono rivelati del tutto falsi. Le masse rurali -che i sondaggi non considerano perché non hanno il telefono- si sono espresse e lo hanno fatto in massa per Evo. Non avesse vinto, la rabbia del milione al quale non è stato permesso di votare sulla soglia dei seggi, sarebbe esplosa violenta. Vincendo se ne può parlare come di un dettaglio.
Evo Morales ha la maggioranza assoluta con il 51% quasi doppiando il suo rivale di destra Tuto Quiroga, che si ferma al 31%. Tecnicamente anche Alejandro Toledo, che sta ingloriosamente terminando il suo mandato in Perú è di origine nativa. Ma è passato dalle migliori università statunitensi e ne aveva introiettato tutto l’armamentario neoliberale. Evo è Evo, un contadino povero, un coltivatore di coca, un pastore di lama, ma soprattutto un indigeno aymará che ha condiviso tutta la vita con il suo popolo. I boliviani hanno spazzato via questo sistema di governo per il quale chiedere il permesso a Washington era preliminare ad ogni decisione politica. Il MAS (Movimento Al Socialismo) ha almeno 65 deputati contro i 45 di Podemos, il partito di destra di Tuto Quiroga. Nulla sarà facile per il governo del MAS, ma la sfida del governo può iniziare.
E il governo di Evo Morales nasce per disegnare un nuovo inizio per la società boliviana, nella ricerca di un progetto più inclusivo e meno discriminatorio. La società boliviana è innanzitutto profondamente e storicamente razzista oltre che vittima delle sperequazioni imposte dal fondomonetarismo che ha moltiplicato le differenze tra ricchi e poveri. E' questo più che il dibattito indigenista quello che è centrale oggi in Bolivia. Evo è espressione di un governo dal basso, nel quale l'analisi socioeconomica dell'esistente è la discriminante decisiva. Evo è sì indigeno, ma è anche classista. I boliviani lo riconoscono come uno di loro, laddove Gonzalo Sánchez de Lozada esibiva perfino un pessimo spagnolo con un forte accento inglese.
Evo, il contadino povero, bollato come cocalero e quindi come narcotrafficante dalla stampa occidentale, è il comunitarismo della sua gente. Questa ha usato i lunghi anni di cammino del MAS per proporre un cammino che non è solo quello di un governo indigeno dove la maggioranza si sostituisce alla minoranza in una logica di potere, quantunque nessuno potrebbe obbiettare se così accadesse. Un folto gruppo di intellettuali aymará, quechua, guaraní, hanno spostato nel tempo il fuoco dalla sostituzione di un gruppo di potere con un altro -anche se infinitamente più legittimato- all'esigenza di rifondazione di una nuova nazione basata nell'identità anche culturale delle grandi maggioranze andine ed amazzoniche. Laddove non esiste che nel settore minerario una classe operaia strutturata e combattiva, la coscienza indigena sostituisce la coscienza della classe operaia stessa. Questa si fonde con l'identità contadina e l'intellettuale è chiamato a coniugarne la sintesi. Antonio Gramsci? No, o non solo. Sicuramente il peruviano José Carlos Mariategui come riferimento di pensiero ineludibile.
Quello che inizia oggi è dunque un processo nel quale lo stato nazione, importato pedissequamente dall'Europa nel 1825, non può non morire se si vuole sradicare quel colonialismo mentale che caratterizza da secoli la società boliviana, così come la maggior parte delle società del terzo mondo obbligate a guardare sempre a occidente. E' un cammino che non comincia oggi ma che è ancora tutto da compiere. E' un cammino di decolonizzazione che in qualche modo ha attraversato tutti i cinquecento anni di resistenza ma che negli ultimi 50 anni, dalla rivoluzione del 1952 per stabilire un termine, ha conosciuto grandi avanzamenti nella coscienza dei popoli boliviani, soprattutto di quelli dell'altopiano che oggi sono alla testa di questo grande movimento popolare. E’ un grande movimento esploso nel 2000 con la “guerra dell’acqua” –contro la privatizzazione dell’acqua- di Cochabamba e proseguito con la “guerra del gas”, contro la spoliazione del gas. E’ un movimento che aveva trionfato spazzando via il presidente Gonzalo Sánchez de Lozada obbligandolo a rifugiarsi anche simbolicamente a Miami. Adesso proprio dalla nazionalizzazione degli idrocarburi, un bestemmia in epoca neoliberale, che è il primo punto del programma, inizia la costruzione della nuova Bolivia post-coloniale in raccordo con un continente che sta cambiando strada e dove il discorso neoliberale sembra datato, fuori tempo.
Del resto la Bolivia è da sempre il paese chiave, il vero cuore dell'America Latina. Quando Ernesto Guevara negli anni '60 affrontò la morte in Bolivia, il suo errore fu tattico. Ma il Che ebbe il grande merito di indicare la Bolivia come grande obbiettivo strategico, perché la seconda indipendenza, la vera rivoluzione latinoamericana, è possibile solo con la Bolivia alla testa del processo. E' il paese più povero ma confina con il Cile, il Perù, il Brasile, il Paraguay e l'Argentina. I fatti boliviani influenzano tutta l'area andina, espandendosi fino ai Caraibi di Colombia, Venezuela e perfino Panamá. Ma le ricadute saranno immediate sul Perù, dove si vota tra pochi mesi e sull'Ecuador. Tutti insieme, Bolivia, Perú, Ecuador, Venezuela, Colombia e Panamá, i sei paesi liberati e governati per una breve stagione dal Libertador Simón Bolívar, costituiscono di fatto un'unità storico-geografica e sui quali si proietta direttamente l'influenza geopolitica ed economica della rivoluzione bolivariana.
Nella lingua aymará non esiste la parola nemico eppure da Washington già si guarda al nuovo governo boliviano come nemico. “Da oggi finisce il neoliberismo e finisce il colonialismo” ha dichiarato Evo Morales. "Questa è l'ora degli offesi, dei massacrati, di chi è rimasto nascosto per 180 anni di storia boliviana", ha detto il presidente Morales uscendo dal seggio. Cristallinamente lo afferma da sempre. Compirà con il mandato popolare o si sacrificherà come Guevara, come Allende e come milioni di boliviani e latinoamericani. Nelle strade di Bolivia si sente gridare in quechua: “wanuchun yanquis!”, via gli statunitensi! La storia comincia oggi.
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