Latina

Lavoro schiavo in Brasile

Il fenomeno del “lavoro schiavo” nel mondo sta crescendo di anno in anno. America Latina, Africa, Asia e Europa: un sintomo globale di una degenerazione sociale ed economica. Il lavoro schiavo, oggi, è fondato sul progressivo e irreversibile indebitamento di larghe fasce sociali.
24 gennaio 2006
Pietro Orsatti

Non si vedono più catene, non esiste più il diritto legale di possedere un essere umano ma le persone sono comunque ridotte in schiavitù con la coercizione (anche indiretta), la negazione della libertà e soprattutto la violenza. La forma più comune è il debito: in cambio di un prestito di denaro la vittima s'impegna senza che vengano definiti durata e natura del servizio, che poi non andrà a ridurre il debito originario.

Trattandosi di un settore illegale e pieno di ombre è difficile dare stime precise. Secondo Kevin Bales di Anti-Slavery International nel mondo contemporaneo esistono 27 milioni di schiavi mentre per alcuni attivisti la cifra si aggira attorno ai 200 milioni: la stessa Anti-Slavery però parla di 179 milioni di bambini coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile che includono sfruttamento sessuale, lavoro per debito e schiavitù.

Il profitto totale annuo generato dal lavoro schiavo si aggira, secondo Kevin Bales di Anti-Slavery International, intorno ai 13 miliardi di dollari, ma il valore indiretto è assai maggiore: ad esempio il carbone prodotto dagli schiavi è alla base della produzione dell'acciaio brasiliano.

Alcune voci di questo business: sono circa 12 miliardi i guadagni ricavati dal traffico di esseri umani - soprattutto di donne sfruttate sessualmente - quello che l'Onu definisce la terza attività illegale più redditizia del mondo (dopo il traffico di armi e di droga); ottocentosessanta milioni di dollari è il ricavato dai braccianti vincolati a debito.

La schiavitù non è ristretta alle frange più estreme dell'economia ma è presente nell'attuale sistema spaziando dall'agricoltura al commercio sessuale, al quale è normalmente associata. Flessibilità, libero mercato, deregulation possono creare terreno fertile per lo sviluppo di nuove forme di schiavitù.

In Brasile, paese obiettivo di questo lavoro, il lavoro schiavo coinvolge decine di migliaia di persone. Non si conosce il numero esatto di persone coinvolte, ma al 2001, unico dato complessivo che può essere di riferimento, sono stati liberati negli stati di Parà (54,4%), Mato Grosso (31 %), Maranhão 8,1 %), Goiás (2 %), Acre (2 %), Mato Grosso do Sul (2 %), Tocantis (0,7 %) circa 80.000 schiavi. La maggior parte di queste persone provenivano da stati del Nord Est semi-arido ed erano utilizzati per disboscamento nell’area amazzonica (attività legata anche alla produzione di carbone vegetale) e nell’allevamento del bestiame. Questi due tipi di attività sono legate con i grandi latifondi presenti in Brasile e in particolare con quegli stati “di frontiera” del Nord dove è più forte la pressione per l’acquisizione di terra.

Nonostante il Governo Federale da anni sia impegnato a reprimere il lavoro sciavo in Brasile, il fenomeno sta continuando a crescere. Per fare un esempio, nel solo Stato del Parà dal gennaio al 23 settembre 2001 sono stati contati 968 lavoratori schiavi in 16 aziende nel sud e sudest dello stato. Nel 2000 erano stati 359. Lo stesso Ministero del lavoro valuta che per ogni lavoratore liberato ne esistono altri tre in condizioni di schiavitù.

L'occupazione dell'Amazzonia e il suo sfruttamento (il 2004 è stato l’anno con la ampia deforestazione negli ultimi dieci anni) sta avvenendo soprattutto grazie a fazenderos e imprenditori provenienti dallo stato di Goias per espandere le attività di pascolo, per la coltivazione e lo sfruttamento commerciale del legname. Contemporaneamente non sembra il fenomeno dei “grileiros”, proprietari di grandi estensioni di terra grazie a alla falsificazione sistematica dei documenti di proprietà. Si tratta di avventurieri che diventano in breve tempo degli imprenditori “legali” controllando di fatto alcune zone.

Recentemente una sentenza che riconosce tutti i loro diritti di lavoratori e un risarcimento per danni morali. È stata emessa dalla Sezione Federale del Tribunale del Lavoro di Barreiras il 16 novembre 2004 ed è del tutto inedita nello stato della Bahia, essendo la prima sentenza che riconosce i danni morali relativi ad una situazione di lavoro analoga alla schiavitù.

Barreiras è una città all'interno dello stato della Bahia, a quasi 900 km dalla capitale Salvador. E' una zona di grandi coltivazioni estensive di cotone e caffè alla cui raccolta lavorano circa 15.000 lavoratori rurali. Secondo la CPT (Commissione Pastorale della Terra), per ciascun lavoratore in regola con la normativa del lavoro ce ne sono almeno 5 che lavorano irregolarmente, senza nessun diritto, con salari da fame e spesso in situazione di sottomissione al datore di lavoro che configura quel fenomeno che in Brasile viene chiamato "trabalho escravo".

Il fenomeno del lavoro schiavo si inserisce all’interno di un quadro estremamente diffuso di violazioni dei diritti umani. Il rapporto 2005 di Amnesty International riporta che “secondo le testimonianze, il problema del lavoro in schiavitù si è ulteriormente aggravato. Il governo ha tuttavia varato una importante legislazione che autorizza la confisca delle terre in cui viene praticato il lavoro in schiavitù o a contratto. Funzionari statali e difensori dei diritti umani che lottano contro questa piaga sono stati minacciati, aggrediti e uccisi. Il 28 gennaio (2005), tre ispettori del ministero del Lavoro e i rispettivi autisti sono stati uccisi a Unaí, nello Stato di Minas Gerais, mentre conducevano un sopralluogo nelle aziende agricole della regione per verificare l’esistenza delle pratica del lavoro in schiavitù. Sono stati incriminati quattro uomini, tra cui un proprietario terriero. Il livello delle violazioni dei diritti umani è rimasto estremamente elevato, nonostante le varie iniziative intraprese dal Segretariato speciale per i diritti umani del governo federale. I resoconti relativi all’operato delle forze di polizia, inefficaci, violente e corrotte, hanno messo in dubbio l’efficacia delle proposte di riforma presentate dal governo. Centinaia, forse migliaia di civili sono stati uccisi dalla polizia nel corso di presunti scontri a fuoco. Pochi, se non nessuno, di questi casi sono stati oggetto di accurate indagini. Sono giunte frequenti segnalazioni secondo cui la polizia avrebbe preso parte alle operazioni delle “squadre della morte”. Il ricorso alla tortura è stato diffuso e sistematico. (…) Le autorità federali e statali hanno fornito una tutela limitata ai difensori dei diritti umani minacciati. Attivisti rurali e indigeni hanno continuato a essere minacciati, aggrediti e uccisi. I responsabili di violazioni dei diritti umani sono rimasti per lo più impuniti”.

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