Latina

Nicaragua:Repressione e Licenziamenti nella Parmalat-Nicaragua

8 marzo 2006
Giorgio Trucchi

Sono le 8 di mattina. Improvvisamente arriva la notizia dalla radio.
Tutti i lavoratori della Parmalat-Nicaragua hanno iniziato uno sciopero a oltranza per protestare contro i licenziamenti ed un'infinità di violazioni ai loro diritti lavorativi e sindacali.
Alcune settimane fa, il Segretario Generale del sindacato "Armando Llanes", Luis Navarrete, aveva dichiarato che se l'impresa non avesse sospeso la repressione contro i lavoratori e le reiterate violazioni del Contratto Collettivo firmato dall'impresa, i lavoratori avrebbero adottato misure più drastiche.

Nei pressi della sede della Parmalat-Nicaragua c'è fermento. Decine di persone sono fuori dai cancelli custodiati da personale fortemente armato.
Un consistente gruppo di lavoratori è appostato nel parcheggio interno ed impedisce l'entrata e l'uscita dei camion.
Molti altri sono all'interno della fabbrica e fanno da spola per avvisare i loro compagni di cosa sta accadendo dentro.
Lo sciopero è iniziato alle 4 di mattina e dopo cinque ore, l'impresa ha accettato di ricevere la delegazione sindacale.
Si percepisce chiaramente la tensione e tutti i lavoratori sembrano essere disposti ad arrivare fino alla fine.
Nonostante il mio carnet di giornalista, la direzione dell'impresa mi proibisce di accedere alle installazioni. Un guardia privata impugna il suo fucile e blocca l'entrata. Sono obbligato a rimanere all'interno del parcheggio insieme ai lavoratori.
In molto vorrebbero parlare, ma esitano temendo future rappresaglie.
Alla fine si avvicina Edwin Rodríguez, Secretario de Financia del sindacato e comincia a spiegare il perché dello sciopero.

"Ormai non sopportiamo più tutte le cose che stanno succedendo.
Stiamo scioperando perché vogliamo stabilità lavorativa per tutti i lavoratori.
Stanno licenziando la gente. Ci sono continui licenziamenti applicando l'articolo 45 del Codice del Lavoro, che permette all'impresa di licenziarti senza giusta causa.
Ultimamente stanno cercando di imporre una nuova manovra. Ti licenziano, ti danno la liquidazione e poi ti contrattano nuovamente dandoti la metà di quello che guadagnavi prima.
Ci sono quattro lavoratori che sono appena stati licenziati perché non hanno accettato questa proposta ed i prossimi saremo noi, perché non accetteremo mai questa imposizione.
Oggi sono arrivati al lavoro e non li hanno fatti entrare. Sono lì fuori e noi stiamo lottando anche per loro.
Sono stati licenziati sabato 4 marzo perché non hanno accettato il ricatto dell'impresa.
Volevano licenziarli, dar loro la liquidazione e poi riassumerli dandogli il 40 per cento di quello che guadagnavano prima.
Al loro posto hanno assunto persone che guadagnano una miseria.
L'impresa sa perfettamente che siamo poveri e che abbiamo bisogno di lavorare. Proprio per questo si sono sempre permessi di ricattarci, affinché accettassimo condizioni di lavoro e retributive che violano gli accordi firmati con il sindacato.
Noi siamo la ricchezza della Parmalat. Senza di noi non potrebbero fare nulla.
Non esiste stabilità lavorativa e ci stanno togliendo tutti i benefici previsti dal Contratto Collettivo.
Ci vogliono imporre tutto ciò che gli fa comodo e continuano a violare i nostri diritti.
Non stiamo chiedendo nulla che non siano i diritti che ci corrispondono.
Non vogliono darci le commissioni sulle vendite, l'incremento salariale del 6 per cento che abbiamo accordato e non rispettano quanto previsto dal contratto sugli incentivi, l'anzianità e gli straordinari.
Allo stesso tempo ci stanno chiedendo di fare doppio lavoro, ma mantenendo lo stesso salario.
Ogni giorno la vita in Nicaragua è più cara e quello che fanno è violare gli accordi firmati e il nostro contratto.
Tutti i lavoratori delle differenti aree hanno partecipato allo sciopero. Siamo più di 600.
Ora stiamo aspettando che la delegazione sindacale giunga a degli accordi con l'impresa.
Fino ad ora non ha voluto negoziare e sappiamo che il Direttore Generale, Vincenzo Borgogna, si trova in Costa Rica e che ritorna questa notte e questo potrebbe essere un inconveniente, perché in questa impresa nessuno prende una decisione senza il consenso di Borgogna.
Continuano a chiederci flessibilità e gliela abbiamo data, ma non possiamo più sopportare questi abusi.
La flessibilità che invece ci dà l'impresa è fatta di maggiori licenziamenti, maggiore repressione, maggiore pressione lavorativa e siamo stanchi e siamo al limite della sopportazione.
Per questo siamo qui oggi e siamo disposti ad arrivare fino alle ultime conseguenze".

Denis Espinoza Zamora e i lavoratori

Poco distante, fuori dai cancelli, si trovano i quattro lavoratori licenziati.
Pochi giorni fa sono arrivati al lavoro ed hanno trovato una lettera di licenziamento, nonostante fossero protetti come firmatari della piattaforma rivendicativa già approvata dall'impresa.
Ora guardano i loro compagni di lavoro in sciopero attraverso le sbarre che delimitano la proprietà della Parmalat e sono perfettamente coscienti che stanno anche lottando affinché vengano reintegrati nel loro posto di lavoro.
Denis Espinoza Zamora, uno dei lavoratori licenziati, si dimostra disponibile a raccontare quanto è accaduto

"Siamo quattro lavoratori dell'area di Vendita e sono già quattro mesi che lottiamo contro i ricatti della Parmalat.
Abbiamo un contratto dal quale risulta il nostro salario base e gli incentivi di vendita di cui abbiamo diritto.
Guadagnavamo circa 12 mila cordobas mensili (680 dollari).
Il Direttore dell'impresa, il signor Vincenzo Borgogna, ci disse che non avrebbero più potuto pagarci questa somma, ma solo uno stipendio base di 5 mila cordobas (290 dollari), chiedendoci anche di lavorare con "orari speciali" e cioè molte più ore senza riconoscerci gli straordinari, come prevede il Codice del Lavoro.
Noi guadagniamo un salario giusto, perché abbiamo lasciamo la nostra vita in questa impresa e siamo quelli che tutti i giorni girano l'intera città per vendere i prodotti.
Iniziamo a lavorare alla 1 di mattina e finiamo alle 11. Spesso andiamo con il camion quasi addormentati ed alla fine, vogliono pagarci salari di fame.
Abbiamo iniziato delle negoziazioni con l'impresa, ma ci siamo scontrati con l'intransigenza di queste persone che volevano ridurre il salario a un 40 per cento di quello che prevede il contratto.
Per non entrare in conflitto con l'impresa, abbiamo fatto una controproposta, ma non l'hanno accettata.
Il signor Borgogna ci ha anche detto che ci avrebbe licenziati e che a lui non importavano le leggi nicaraguensi e il risultato è quello che vedi oggi.
Ha applicato l'articolo 45 del Codice del Lavoro e ci ha buttato in strada.
Sapevamo che non accettando le sue condizioni avremmo potuto subire la rappresaglia dell'impresa, ma abbiamo deciso di non cedere al ricatto.
Siamo firmatari della piattaforma rivendicativa e membri del sindacato e quindi in teoria il Codice del Lavoro ci protegge dai licenziamenti. Abbiamo lavorato molti anni per la Parmalat, ma sembra che all'impresa non interessino tutti questi particolari.
In questa impresa per anni non hanno rispettato il popolo nicaraguense, le leggi nicaraguensi ed i diritti dei lavoratori.
È per questo motivo che oggi è iniziata questa lotta, perché c'è un sindacato che difende gli interessi dei lavoratori.
La nostra lotta è giusta e per questo la vinceremo.
Con il sindacato inizieremo a fare i primi passi per poter ottenere il nostro reintegro ed oggi siamo qui per portare la nostra solidarietà alla gente che sta scioperando.
Siamo grati all'appoggio che ci stanno dando e vogliamo che sia chiaro a tutti che questa gente è quella che maggiormente subisce lo sfruttamento da parte dell'impresa.
Guadagnano la miseria di 1500 cordobas al mese (90 dollari) e da queste negoziazioni ne usciranno rafforzati.
La repressione sindacale è forte. Non rispettano i nostri dirigenti, li zittiscono e stiamo ingoiando bocconi molto amari e per questo crediamo che per il popolo nicaraguense sia giunta l'ora di aprire gli occhi e mobilitarsi.
Nessuno accetterà il ricatto dell'impresa e rimaniamo uniti perché solo l'unità ci farà più forti".

Poco dopo l'intervista vengo buttato fuori dai cancelli dell'impresa. Dalla Direzione è giunto l'ordine per le guardie armate di non permettere l'entrata né l'uscita a nessuno, giornalisti compresi.
A nulla è servito il mio tentativo di far sapere che in questo modo il reportage raccoglierà solo la posizione dei lavoratori.
Comunque non insisto, perché la tensione cresce minuto dopo minuto e a farne le spese potrebbero essere proprio i lavoratori.
Dopo lunghe ore di trattativa la delegazione del sindacato si riunisce con la gente in sciopero.
L'impresa continua a non voler trattare e vuole aspettare il ritorno in Nicaragua del dott. Borgogna.
Lo sciopero continua.


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