Latina

Colombia: Basta la guerriglia siempre

Intervista a uno dei capi delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia
31 marzo 2006
Stella Spinelli
Fonte: Peacereporter

Pastor Alape. Capo guerrigliero. Foto di Matt Shonfeld


Siamo nel cuore della selva, sugli altopiani della Cordigliera centrale. La lunga conversazione con uno dei nove comandanti delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia inizia a mezzogiorno di una calda domenica di fine gennaio. Pastor Alape è a capo del blocco del Magdalena Medio, un'ampia regione che si estende dal centro al nordest del paese, seguendo il corso dell'omonimo fiume, culla di molte delle zone più calde di una guerra che da quaranta anni insanguina la Colombia.
Ha circa 45 anni e da quasi trenta fa il guerrigliero. Il suo sguardo è duro, ma la sua ironia è bonaria. Parla in maniera fluente, a lungo, con fare gentile. Il suo scandire ogni singola parola tradisce l'attitudine al comando e le sue frasi suonano come comunicati ufficiali. E' seduto a un tavolo di legno, sotto una tenda mimetica agganciata ai fitti rami. La conversazione Guerrigliero delle Farca, Magdalena Medio, Foto di Matt Shonfeldè disturbata da canti di uccelli, grida di scimmie, il gorgoglio delle acque in un susseguirsi di cascate. E alcune voci: una decina di guerriglieri e guerrigliere intenti a lavorare. Chi spacca la legna, chi cucina, chi fa il bucato. In lontananza qualche sparo.
Alape indossa un basco nero, adornato da una spilla centrale raffigurante la Colombia. Sta maneggiando un computer portatile di ultima generazione, occhiali calati sul naso. Sparpagliati qua e là un palmare, con la sua tastiera pieghevole che scompare in una piccola scatola quadrata, due cellulari e un satellitare. Alla sua sinistra tre libri accatastati: Cent'anni di solitudine di Garcia Marquez, Le vene aperte dell'America Latina di Galeano e la Divina Commedia.

Complimenti per le sue letture. Che sorpresa trovare il Sommo Poeta anche quassù.

In che mani, eh? - ride di cuore - Ma non stupitevi, anche noi guerriglieri leggiamo. E non solo Marx, Engels, Gramsci, Bolivar, Che Guevara o Mao Tse Tung. Ci dilettiamo con la poesia di Neruda e con L'insostenibile leggerezza dell'essere di Kundera. Affrontiamo la Bibbia e l'Odissea, sogniamo con Saramago e Marquez. Leggiamo Cervantes e Tolstoij. Adoriamo Boccaccio, ci diverte. E Dante, quanto impegno per seguirlo. Essere aperti alla cultura è basilare, anche quassù. Anzi, una mentalità elastica è fondamentale per recepire i principi rivoluzionari e coltivarli. Ma accomodatevi. Siete miei ospiti.

Possiamo farle tutte le domande che voglio?

Certo. Pensate che vi abbia fatto fare un'arrampicata di quattro ore in groppa a un mulo per niente? Le Farc non hanno niente da nascondere.

A parte oltre tremila sequestrati.

La guerra è disumana. Non fa sconti. E i rapimenti sono una delle più brutali regole di questo gioco. Privare della libertà un essere umano è straziante. Ma non abbiamo scelta. Combattiamo per cambiare la Colombia, che da sempre è sfruttata, violentata, derubata dai pochi potenti colombiani che si spartiscono la torta con i soliti noti internazionali. Non ci restava che piegare la testa o lottare.

Per forza con le armi?

In un paese dove l'opposizione politica è da sempre annichilita da minacce, omicidi, stragi, sì, per forza con le armi.

Ma come potete pretendere di cambiare un Paese, strappando alla loro vita padri e madri di famiglia, per anni?

Ci sono due tipi di rapimenti. Quelli per costringere la gente a rispettare l'imposta rivoluzionaria – che condiziona anche le merci, coca compresa, e che sembra assicurarli un giro di denaro che si aggira fra i 200 e i 350 milioni di dollari - e quelli politici. I primi terminano con il pagamento del riscatto mentre i politici ci servono. Secondo la legge delle Farc, chiunque si candidi a ricoprire cariche di potere in questo sistema di governo da abbattere è un nemico. E averli nelle nostre mani è un punto di forza per noi. Sono merce preziosa per gli scambi umanitari, per riavere indietro i nostri compagni catturati dall'esercito.

In questi giorni cade il quarto anniversario del rapimento della franco-colombiana Ingrid Betancourt, la sequestrata delle Farc più famosa al mondo. Poco tempo fa ho potuto incontrare sua figlia, Melanie. La domanda che più l'assilla è perché proprio sua madre, perché rapire la candidata presidenziale che, almeno sulla carta, era la meno lontana dalla vostra visione di una Colombia ideale?

Perchè è capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Niente di quel rapimento era programmato. La zona in cui Ingrid Betancourt aveva scelto di viaggiare quel 23 febbraio 2002 era la più rischiosa. San Vicente del Caguan, stato del Caqueta, dal gennaio 1999 era teatro dei colloqui di pace fra noi e il governo di Andres Pastrana. Esattamente tre giorni prima del rapimento, le trattative franarono miseramente. Il governo spedì migliaia di soldati per riprendere possesso del territorio. Cominciarono pesanti bombardamenti. Distrussero ponti, accampamenti e un centro di primo soccorso. Noi tornammo in tutta fretta verso i monti.

E alcuni guerriglieri si imbatterono nell'auto della Betancourt.

E' passata e l'abbiamo presa. E' un politico, ripeto. E quindi è un bottino importante per noi.

Non si sente di dire niente a Melanie, alla sua famiglia?

L'unica cosa da dire è che trattiamo Ingrid e tutti gli altri prigionieri con rispetto. Fisicamente stanno bene. Camminano molto, questo sì. Li spostiamo continuamente. Tutti noi viviamo così. Ma l'alimentazione è regolare e per qualsiasi problema di salute abbiamo medici, infermieri, medicine, centri di salute mobili. Quando possono riposarsi leggono e ascoltano la radio, anche l’emittente Caracol con i messaggi dei familiari. Capisco l'angoscia dei loro cari, ma siamo in guerra. L’unica speranza per loro di riabbracciarli presto è che il presidente Alvaro Uribe non venga rieletto e che il prossimo presidente accetti le condizioni per uno scambio umanitario, che noi delle Farc andiamo proponendo da anni. La logica rivoluzionaria non ci permette di avere bambini, non possiamo crescerli tra fucili e pallottole, ma rispettiamo il dolore dei figli.
Gruppo Farc. Magdalena Medio. Foto di Matt Shonfeld


Perché allora li reclutate? Che ci dice dei bambini-soldato?

Eh no. Sono generalizzazioni inculcate dalla stampa che manipola la verità. La nostra legge parla chiaro: reclutiamo persone dai 16 ai 30 anni. Con eccezioni, naturalmente.
Se ci troviamo di fronte a bambini orfani per la violenza di esercito e paramilitari, li prendiamo con noi, formandoli, facendoli studiare e insegnando loro la lotta per un futuro migliore. Diamo loro una speranza.

Lei sembra sicuro. Ma Uribe dice che la guerriglia è ridotta a un manipolo di terroristi, senza speranza di vittoria.

Se è per questo Uribe e i suoi burattinai della Casa Bianca dicono pure che siamo solo dei corrotti narcotrafficanti. E' propaganda. E' lui l'unico narcoterrorista qui. Ha militarizzato il paese. Sta coprendo crimini e massacri contro centinaia di poveri contadini. Continua a finanziare i paramilitari, che finge di smobilitare, ma che in realtà sta trasformando in loschi miliziani pronti a far tutto per soldi. Specialmente a gestire il mercato della cocaina. E, nel frattempo, ruba e svende le immense risorse di questo paese alle multinazionali. E' l'ora che qualcuno lo dica questo. Voi giornalisti dite raramente la verità

Quindi vuol dire che le Farc non trafficano la cocaina e non uccidono i civili?

Noi prendiamo un'imposta sulle foglie di coca che i contadini vendono ai narcotrafficanti. Non vendiamo cocaina. E riguardo ai civili: volontariamente non uccidiamo la gente innocente. Ma siamo in guerra, e durante gli scontri a fuoco col nemico capita che muoiano anche umili contadini. Ma sono gli effetti collaterali di ogni conflitto. Ripeto, le guerre sono brutali.

Ma voi usate le mine anti-uomo. E quelle uccidono molti civili. Persino tanti bambini. Molte statistiche dicono che in Colombia una persona al giorno salta su una mina.

In guerra ci tocca applicare tutto quello che ci permette di difenderci. Quindi usiamo anche le mine. Le costruiamo da soli. Sono economiche. Sono l'arma dei poveri. Ed è anche vero che ogni tanto capita che qualche civile venga ferito. Ma si tratta sempre di incidenti. Certo non è molto etico, ma sbagliano le bombe intelligenti del ricco impero della guerra, può sbagliare un contadino-guerrigliero che deve difendersi per sopravvivere. E comunque, non si può generalizzare. Si devono analizzare i singoli contesti prima di giudicare. Noi raccogliamo sempre i nostri ordigni inesplosi. La nostra casa è la selva. Se ogni volta che abbiamo teso una trappola al nemico minando una zona avessimo lasciato le bombe inesplose, adesso saremmo in gabbia. E poi l'esplosivo costa, non possiamo permetterci di sprecarlo.

E allora come mai una persona al giorno salta su una mina in questo paese? di chi sono?

Non siamo certo solo noi a usarle. Ma ci prendiamo le nostre responsabilità. Sono errori. Ripeto. Qualche volta ci sbagliamo.

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