Perù: al voto nel segno della svolta
In una contesa di tutti contro tutti, sembra sicuro soltanto il vincitore del primo round delle elezioni presidenziali: il colonnello Ollanta Humala, il candidato «anti-sistema», che, da quando capeggiò nell’ottobre 2000 un fallito colpo di stato, tanto avventato da apparire simbolico («la miglior cosa che ho fatto nella mia vita» lo definì lo stesso Humala), ha conquistato il cuore dei peruviani poveri e disperati. Ad Humala i sondaggi attribuiscono il 31% delle preferenze: dovrebbe quindi andare al ballottaggio contro Lourdes Flores, del partito Alleanza per il Futuro, appoggiata dagli Usa, o contro l’ex presidente del partito Apra, Alan García, entrambi accreditati di percentuali leggermente inferiori. Mentre insieme sostengono che Humala sia populista e autoritario, Flores e García si accusano reciprocamente di essere, la prima, la marionetta dell’oligarchia e, il secondo, di voler riportare il Paese alla crisi economica degli anni 90 con un’inflazione annua che sfiorava l’8000%. Appaiono invece tagliati fuori i due candidati della sinistra tradizionale, Javier Diez Canseco, definito «la coscienza critica della nazione», e la giornalista Susanna Villarán, strenua attivista dei diritti umani. La sinistra peruviana teme che Humala possa rivelarsi inaffidabile, come l’attuale presidente Alejandro Toledo che, dopo essersi accreditato come «il presidente indio», si dimostrò un servile esecutore del Fondo Monetario Internazionale e delle politiche neoliberiste. Se il popolo di sinistra deciderà di votare per Humala, sarà per l’appoggio datogli dal neo-presidente boliviano, il socialista Evo Morales e soprattutto dal «rivoluzionario» venezuelano Hugo Chávez. «È un soldato patriota, preoccupato della condizione degli indios e dei più poveri», disse un mese fa il presidente venezuelano ricevendo, nel palazzo presidenziale di Miraflores a Caracas, Ollanta Humala che contraccambiò gli elogi, ricordando di avere un curriculum simile a quello di Chávez: «Entrambi abbiamo guidato una sollevazione militare, sofferto il carcere e abbiamo idee nazionaliste». Il nazionalismo di Humala si fonda soprattutto sul progetto di rivedere sia i contratti con le imprese multinazionali esistenti in Perù che gli accordi sul debito col Fondo Monetario Internazionale. Nei giorni scorsi è bastato un suo infiammato discorso a far cadere la Borsa di Lima del 7%. Ovviamente, una sua vittoria sarebbe vista come una catastrofe dagli Usa, che rimarebbero con due soli governi latino-americani fedeli: quello della Colombia e del Paraguay. In un’intervista al quotidiano argentino «Pàgina/12», Humala ha citato come futuri alleati il presidente argentino Kirchner, il brasiliano Lula, il venzuelano Chavez, il boliviano Morales, l’uruguayano Tabarè Vàzquez e la cilena Michelle Bachelet, che costituiscono «una nuova generazione di leader che in un paese si chiamano indigenisti, in altri socialisti o di sinistra. Noi siamo su questa linea». «Humala è un esponente atipico dell’ondata socialista che scuote la regione, un altro che ha un atteggiamento coraggioso e irriverente con gli Usa e che si presenta come un’alternativa alla loro politica. Il suo successo nasce dal fallimento del neoliberismo», sostiene il sociologo colombiano Alfredo Molano. Se Humala è sicuramente il fenomeno del momento, non è detto che gli sarà facile farsi eleggere presidente nel ballottaggio e neppure controllare un parlamento, nel quale il suo partito, Movimento Nazionalista, avrà, secondo i sondaggi, meno del 10% dei seggi. Molti sostengono che, se venisse eletto, sarà tentato di scioglierlo, sfruttando il discredito del Congresso, per i continui casi di corruzione scoperti e per i privilegi dei suoi 120 deputati (che guadagnano diecimila dollari al mese contro i 148 del salario medio di un lavoratore).
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