Brasile: Eldorado, dieci anni dopo
Terra di sole terra di caffè/ terra di niente, terra che non c`è/bagna la terra/ con il tuo sudore/nasce per terra e per la terra muore./Seme di rabbia che rifiorirà/sboccia dal sangue di chi resterà/a strappare ogni giorno qualcosa alla siccità... Così comincia la canzone “Eldorado dos Carajas” (http://www.infopaz.org/eldorado.mp3) che I Paz hanno voluto dedicare al ricordo della strage di Eldorado, occorsa nello stato del Pará, in Brasile, quando 19 contadini senza terra che manifestavano insieme ad altre centinaia di uomini, donne, bambini e anziani, in modo pacifico, sono stati uccisi dalla polizia militare dello Stato. Ricorre quest’anno il decennale della strage e in tutto il mondo gli amici dei senza terra e di Via Campesina hanno celebrato questa giornata - che fin dal 1996 è dedicata alla lotta per la riforma agraria - in maniera particolarmente solenne, dalla Palestina agli Stati uniti, dal Mozambico al Bangladesh.
In Italia abbiamo voluto avere qui una rappresentante del Movimento sem terra (Mst) proveniente proprio dallo stato del Pará. Si chiama Ayala Dias Ferreira e ha 26 anni. Al tempo della strage andava a scuola a Maraba, ma già appoggiava il Movimento dei senza terra. Dopo la strage, i suoi genitori hanno avuto paura che il suo impegno con il movimento potesse farle assumere rischi troppo grandi e hanno deciso di trasferirsi. A 18 anni, tuttavia, Ayala ha deciso di tornare a Maraba e di entrare nelMst. Si occupa di educazione, si è laureata in “Pedagogia della terra” in un corso organizzato attraverso una convenzione tra il Movimento e l’università di Maraba. Oggi è una dirigente nel suo stato.
In Italia Ayala sta partecipando a una serie di incontri, dibattiti, celebrazioni. Ha cominciato a Roma, con una cerimonia in cui, all’interno dell’Ambasciata del Brasile, abbiamo ricordato le vittime della strage e consegnato una lettera indirizzata alle autorità brasiliane nella quale si chiede la fine dell’impunità, la realizzazione della riforma agraria, la federalizzazione del processi relativi a crimini contro i diritti umani, la fine della criminalizzazione dei movimenti sociali e in particolare - in questo momento - quella delle donne di via Campesina che hanno manifestato distruggendo pianticelle dell’impresa Aracruz cellulosa, l’8 marzo, per denunciare l’avanzamento del deserto verde, cioè delle piantagioni di eucalipto che servono a produrre cellulosa per l’esportazione, ma distruggono l’ambiente (per maggiori informazioni http://www.comitatomst.it/).
Ayala ha poi continuato a celebrare e rivendicare la fine dell’impunità dei crimini del latifondo e la realizzazione di una vera riforma agraria a Perugia, Modena, Trento, Lastra a Signa, Milano, Monza, Cesenatico, Cremona, Padova, incontrando cittadini, associazioni, consigli comunali, studenti, sindacalisti, accolta dai rappresentanti dell’associazione Amig@s Mst-Italia insieme all’Arci, alla Flai Cgil, agli amici di Fame Zero e a molte altre realtà locali. Negli incontri i partecipanti hanno potuto comprendere la situazione dei senza terra oltre che attraverso le parole di Ayala, con il film che Pasquale Scimeca e Roberto Torelli hanno dedicato al Movimento sem terra che ne ricostruisce la storia a partire dalle occupazioni di terre di fine anni 70 e dalla fondazione ufficiale dell’organizzazione nel 1984, e il video che Diego Panico ha finito di montare nel mese di aprile e che riporta le testimonianze di alcuni di coloro che alla strage sono sopravvissuti, ma ne portano nel corpo segni indelebili. E’ ad Ayala che abbiamo voluto chiedere di ricostruire le ragioni della strage del 96 e la situazione che attualmente si vive nel suo stato.
Come è cominciato il lavoro del Mst nel Pará?
«Lo stato del Pará, nel nord del Brasile, è molto grande e, facendo parte dell’Amazzonia brasiliana, è caratterizzato da una grande biodiversità e quindi oggetto di molti interessi. Negli anni 60 il governo federale ha fatto molti progetti che riguardavano questo territorio. Si diceva che questa regione fosse poco abitata ed economicamente arretrata. E’ cominciata la costruzione di grandi infrastrutture: sono state aperte strade, costruite centrali idroelettriche. Tutto questo per attirare gruppi economici desiderosi, con il consenso del governo federale e di quello dello stato, di sfruttare predatoriamente le risorse naturali della regione.
Il memorial che ricorda l`evento
La realizzazione di questi progetti ha provocato aumento della povertà delle popolazioni tradizionali che, insieme ai tanti immigrati, soprattutto dal Nordest, si sono trovate, a metà anni 80, nelle periferie delle città senza prospettiva di vita e lavoro. Le poche iniziative di organizzazione di questi lavoratori sono state duramente represse e molti di essi sono stati assassinati. E’ in questo contesto che, a fine anni 80, il Mst comincia ad organizzarsi in Pará,. Nel nostro stato il movimento è nato nella regione sud-sudest, regione protagonista del progetto sviluppista dello Stato brasiliano, dove si sono insediati grandi gruppi economici come la Compagnia Vale do Rio Doce che è l’impresa più grande al mondo per lo sfruttamento di minerali. Dopo avere realizzato due importanti occupazioni di latifondi, il Mst decide di insediarsi nel comune di Eldorado dos Carajas, nel 1995. Si trattava della terza occupazione di terra».
Che cosa è successo nell’aprile del 1996?
«Il governo dello stato del Pará, (storicamente il Pará è sempre stato governato dalla destra reazionaria, amica dei latifondisti e favorevole ai progetti di sviluppo che sfruttano in modo sfrenato la biodiversità della regione, ndr) pensava che la presenza di una classe lavoratrice organizzata e mobilitata potesse rappresentare un ostacolo ai suoi progetti. Vedevano il Mst come una minaccia per gli interessi della classe dominante dello stato e decisero, nel 1996, di farla finita con il movimento nel Parà. Sapevano che, dato il livello di organizzazione del Mst nello stato, bisognava usare metodi violenti. E così, il 17 aprile del 1996, nel tardo pomeriggio, 155 poliziotti militari, per ordine del governatore Almir Gabriel, hanno represso una legittima e pacifica manifestazione di lavoratori rurali, assassinando 19 persone e lasciandone altre 69 mutilate».
I colpevoli del massacro sono stati puniti?
«Dopo innumerevoli manifestazioni nazionali e internazionali, ci sono stati due processi: il primo nel 1999. Quella volta, tutte le persone coinvolte, mandanti ed esecutori, sono stati assolte. Siamo riusciti a fare annullare la sentenza perché vi erano state molte irregolarità nel processo. Nel 2002 vi è stato un secondo processo. Gli esecutori del massacro sono stati di nuovo assolti poiché non vi erano prove sufficienti del loro grado di coinvolgimento. Quel giorno nessun poliziotto aveva la targhetta di riconoscimento e le armi utilizzate non erano state registrate. Sono stati condannati soltanto due comandanti, il colonnello Pantoja (228 anni di prigione) e il maggiore Oliveira (154 anni di prigione), ma in carcere non c’è nessuno. Loro aspettano in libertà l’esito del ricorso».
Qual è la situzione del Pará oggi?
«Oggi, a 10 anni dal Massacro, la nostra analisi è questa. Il contesto di violenza all’interno del quale abbiamo condotto la lotta per la democratizzazione dell’accesso alla terra è ancora presente. Secondo dati della Commissione Pastorale della Terra, tra il 1997 e il 2005, sono stati uccisi altri 372 lavoratori nelle campagne. L’impunità è la grande responsabile del fatto che la violenza è così forte. C’è in Brasile una tradizionale alleanza tra il potere giudiziario e il latifondo. In realtà anche oggi resta in piedi quel progetto sviluppista ideato negli anni 60 per l’Amazzonia. Questo progetto, chiamato agrobusiness, che ha lo stato come principale finanziatore, si basa sull’alleanza della vecchia struttura latifondista con imprese transnazionali (detentrici del monopolio del mercato internazionale dei semi transgenici e degli agrotossici). I suoi effetti sono disastrosi, sia sull’ambiente che dal punto di vista sociale, con l’uso di lavoro schiavo e l’aumento della violenza contro i lavoratori rurali. E’ chiaro invece che non serve a migliorare le condizioni di vita della popolazione del nostro stato, che è uno dei più ricchi di risorse naturali e minerali, ma che ha un indice, tra i più alti in Brasile, di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà».
«In Brasile il Mst ha organizzato numerose attività per denunciare l’impunità dei colpevoli e chiedere la riforma agraria per 150mila famiglie accampate. Ha fatto occupazioni di terre nel Pontal di Paranapanema, in Minas Gerais, Rio Grande del Sud, ha bloccato strade in Pernambuco, occupato la Fazenda Suzano Carta e Cellulosa a Bahia. Mobilitazioni di vario genere ci sono state in tutti gli stati in cui il movimento è presente. In Pará, tra il 1° e il 17 aprile abbiamo organizzato un grande accampamento pedagogico, con 19 baracche, ognuna aveva il nome di un compagno morto e 200 giovani accampati e insediati hanno organizzato attività a cui hanno partecipato migliaia di persone oltre a dirigenti del Mst, intellettuali, artisti».
Che cosa chiedete al governo e al sistema giudiziario?
«Il Mst continua a fare mobilitazioni in tutto il paese per questi obiettivi: realizzare una vera riforma agraria; ottenere giustizia per i casi di violazioni dei diritti umani. Questo succederà soltanto se alcuni casi emblematici verranno trasferiti dagli stati, per essere giudicati a livello federale, dove il potere giudiziario possa essere realmente imparziale; ottenere per i sopravvissuti al massacro e le famiglie colpite assistenza medica e indennizzi; ottenere infine che lo Stato brasiliano si impegni a costruire un progetto di sviluppo del paese che abbia al centro la giustizia sociale e quelle riforme che tutti i lavoratori e le lavoratrici del nostro paese aspettano».
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