America Latina di fronte alla globalizzazione
Intervento di Ignacio Ramonet - Direttore de "Le Monde Diplomatique" all' Auditorio "Roberto González" - UNAN Managua - Nicaragua
6 giugno 2006
Ignacio Ramonet
Tutti gli studenti latinoamericani devono avere idee chiare su come il fenomeno della globalizzazione si è diffuso in America Latina, che conseguenze ha avuto la sua applicazione e quale è stata la reazione della società latinoamericana di fronte a questo fenomeno economico, politico e sociale.
Che cosa chiamiamo globalizzazione?
La globalizzazione è un fenomeno che pretende di essere unicamente economico e pretende di esserlo con molta arroganza. In realtà pretende di essere l'unica formula economica che funzioni, basandosi sul principio del neoliberalismo. Cioè, l'idea che dopo il fallimento dell'Unione Sovietica non esistano oramai vie alternative in materia economica.
Questa idea, sviluppata originariamente da Milton Friedman e da un gruppo di economisti statunitensi e oggi non solo da statunitensi, che ha preso piede negli anni 70, teorizza che per favorire la flessibilità dell'ideologia bisognasse a tutti i costi ridurre la misura dello stato. Pensavano che lo stato, durante il secolo XX, avesse avuto la tendenza ad ingrandirsi troppo, ad occupare troppo spazio e che quindi bisognava ridurlo, bisognava sopprimere allo stato una delle sue più importanti prerogative. Cioè che lo stato non dovesse svolgere nessun ruolo economico, non possedere niente, né risorse di denaro, né terre, né imprese strategiche come quelle dei trasporti, dei servizi basilari, eccetera.
Lo stato doveva vendere, cioè privatizzare. Queste privatizzazioni che incominciarono in modo brutale negli anni 80, venivano fatte per la prima volta nella storia. Dopo il secolo XVIII, gli stati vissero un gran sviluppo e furono anche importanti attori economici per potere avere le risorse e distribuire la ricchezza nazionale.
In precedenza, in molti paesi dove esistevano solo alcune fonti di ricchezza, soprattutto materie prime, queste ricchezze appartenevano ad alcuni piccoli gruppi della società, le oligarchie nazionali e queste possedevano il 80 o 90 per cento della ricchezza nazionale. La situazione era eccessivamente ingiusta e la gente continuava a protestare. Questi piccoli gruppi (circa il 10 per cento della popolazione), difendevano i loro privilegi con l'aiuto di apparati repressivi forti che non servivano per difendere il paese, bensì per difendere i ricchi dalle proteste dei poveri.
Nelle società moderne, a partire dal secolo XIX e dopo una serie di rivoluzioni, poco a poco lo stato si appropriò di queste proprietà per distribuire la ricchezza tra la maggioranza della società. Lo stato passò ad essere un attore economico molto importante.
Durante il secolo XX, lo stato aveva sviluppato la sua capacità di riscuotere, cioè creò imposte che dovevano pagare i settori che se lo potevano permettere, in pratica chi guadagnava di più e queste imposte servivano allo stato per costruire le infrastrutture, che permettevano di dare alla società quello di cui aveva bisogno, come i servizi basilari ed essenziali per la popolazione.
Si trasformò in un stato benefattore introducendo i principi della previdenza sociale, della pensione. Uno stato stratega e programmatore per il futuro. Questo stato era in definitiva uno stato per i poveri.
La tesi della globalizzazione era che questo stato dovesse sparire e di conseguenza dovessero sparire anche le imposte, con l'idea che "uno stato minimo è un miglior stato", "meno stato migliore stato", ma questo avvantaggiava solo i ricchi e non certo i poveri.
E si sviluppò la tesi che bisognava privatizzare tutto quello che apparteneva allo stato.
Se un paese possedeva petrolio ed apparteneva allo stato, al momento di privatizzarlo accadeva che veniva acquistato dai ricchi o ancora peggio, veniva comprato da stranieri ed il paese perdeva l'unica risorsa per aiutare i più bisognosi.
In poco tempo, questa si trasformò in un'ideologia e non in una scienza economica, come questi economisti pretendevano. Pretendevano cioè che fosse una scienza economica che favorisse lo scambio commerciale, vendere quello che si aveva ed importare quello che non si produceva, abbattendo le barriere fiscali che proteggevano i settori più fragili dalla società.
Se per esempio in un paese si produce caffè, i produttori devono esportarlo ed a volte non lo possono fare perché altri paesi, molto più ricchi e sviluppati, sovvenzionano la propria produzione e lo vendono ad un prezzo molto più basso.
È quello che per esempio succede in Africa con la popolazione Saharawi, che produce un cotone in condizioni infraumane nella zona del Sahara. Lavorano come schiavi per loro stessi, per produrre un cotone di eccellente qualità e ad un buon prezzo, ma alla fine questo cotone non riescono a venderlo nemmeno nel loro paese, in quanto negli Stati Uniti producono cotone con macchinari moderni e con grandi sovvenzioni e il loro cotone risulta essere esportabile nella stessa Africa ad un prezzo più economico di quello che producono i produttori locali.
Aprire le frontiere si trasforma allora nella rovina dei piccoli e medi produttori agricoli e produttori in generale.
Ridurre lo stato vuole dire anche diminuire il suo Bilancio e la Spesa Pubblica e quindi, il numero dei suoi funzionari ed i paesi che hanno applicato la globalizzazione hanno licenziato migliaia di funzionari, hanno ridotto la loro pensione ed in molti paesi quasi già non esiste un'istruzione ed una sanità pubblica. I più poveri vanno ad una scuola di scarsa qualità ed i ricchi frequentano la scuola privata che ha molta più qualità, mantenendo in questo modo la stratificazione sociale: i più poveri saranno sempre poveri ed i ricchi saranno sempre ricchi.
La globalizzazione ha creato un'espropriazione della ricchezza e della sovranità nazionale, mantenendo una differenza di categoria sociale e di spesa sociale molto marcata.
E questo in un contesto politico, quello degli anni 90, dove per ragioni storiche non esisteva una gran volontà di reazione sociale.
Questa teoria fu applicata senza consultare la società.
Il primo paese dove si applicò fu il Cile di Pinochet, il quale con la forza aggressiva della dittatura, potè imporre questa riforma ed intimorire la società che non poteva reagire per paura della repressione.
Si applicò più tardi nel Regno Unito, in Inghilterra, con il governo di Margaret Thatcher nel 1979. Riuscì a rompere i sindacati, privatizzare i trasporti, le miniere ed applicò questo metodo rompendo una tradizione di due secoli di lotte sociali.
Nel 1980 vinse le elezioni Ronald Reagan, il quale introdusse negli Stati Uniti questa teoria della globalizzazione e l'applicò in tutte le istituzioni controllate dagli Stati Uniti, come sono il FMI e la Banca Mondiale. A partire da quel momento, controllando queste istituzioni, la globalizzazione cominciò ad estendersi a tutti i paesi.
Il secondo paese in America Latina dove si applicò questa nuova teoria fu la Bolivia. Fu una vera "terapia d'urto", dove con una brutalità impressionante vennero strappati alla società, ai lavoratori, i loro diritti e la ricchezza del paese.
Nel 1983, il presidente Sánchez de Lozada, durante il suo primo mandato, cominciò questa terapia d'urto con la privatizzazione degli idrocarburi. Seguì il Perù col governo di Fujimori e il Venezuela, dove nel 1992 Carlos Andrés Pérez applicò la stessa terapia e si produsse un'insurrezione popolare conosciuta come "el Caracazo", dove l'Esercito represse la popolazione provocando tra 2 e 3 mila vittime e si considera che furono anche molte di più.
Le proteste e la repressione furono osservate, in qualità di ufficiale della Guardia Presidenziale, da un giovane Hugo Chávez che capì che la società stava protestando con legittimità contro un'usurpazione della sovranità nazionale.
Due anni dopo, il primo di Gennaio del 1994, entrò in vigore il primo Trattato di Libero Commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico (Nafta).
Lo stesso giorno entrarono in scena gli zapatisti del Subcomandante Marcos, che uscirono dalla Selva Lacandona per protestare simbolicamente contro il Nafta ed occuparono San Cristóbal de Las Casas con le armi. In questa occasione e per la prima volta, il Subcomandante Marcos cominciò a diffondere una visione chiara di cosa fosse la globalizzazione e di quali fossero i suoi effetti.
Quando gli zapatisti entrarono a San Cristóbal de Las Casas, quella che oggi chiamiamo "globalizzazione" non aveva ancora nome.
Non sapevamo dare un nome a questo fenomeno di privatizzazioni, violazioni ai diritti lavorativi, trasformazioni dell'economia nella misura in cui la finanza comincia ad avere più importanza della produzione industriale, di speculazione smisurata, il ricorrere all'investimento straniero che domina l'economia nazionale.
Gli analisti pensavano ancora che fossero strumenti separati e che non fosse una sola formula.
A questa formula, in cui esiste una sola soluzione ai problemi economici, io avevo proposto di mettere il nome di "Pensiero Unico", perché non ci permettevano di pensare in un altro modo, questa era la unica cosa che funzionava e bisognava accettarla come un dogma indiscutibile.
Solo più tardi si cominciò a chiamarla con il nome di "globalizzazione", ma il Subcomandante Marcos l'aveva già capito ed aveva cominciato a produrre riflessioni sulla globalizzazione ed a diffonderle in internet.
In questo momento, che cosa stava succedendo da più di 10 anni in America Latina?
Si stavano instaurando esperienze di globalizzazione. C'erano proteste, come a Caracas, ma non più forti che in altri paesi. Questo si doveva anche al fatto che tutti i mezzi di comunicazione ripetevano costantemente alla gente che si trattava di formule magiche che avrebbero permesso alle società latinoamericane l'entrata alla modernità, allo sviluppo, alla ricchezza per tutti e la gente aspettava per vedere quello che sarebbe successo e le stesse vittime della globalizzazione non osavano protestare.
Oggi, la situazione della comunicazione non è molto cambiata.
A differenza dei primi anni 90, il sistema di comunicazione è molto più sofisticato, c'è una gran proliferazione di mezzi scritti, radiali, televisivi e la comunicazione è massiccia, tuttavia la constatazione è che tutto questo sistema in realtà non sta presentando una varietà di informazione, bensì la stessa informazione.
Esistono molte fonti, ma che funzionano in realtà come un'unità, un solo messaggio di appoggio ideologico ed indiscriminato alla globalizzazione e di critica sistematica ed altrettanto indiscriminata contro il pensiero dissidente e chi critica la globalizzazione.
Viviamo in un mondo di democrazia e pluralità politica e di mezzi di comunicazione, ma la nostra impressione è che ci occultano l'informazione. Quelli che hanno risorse possono cercare questa informazione critica in internet, ma questo presuppone un certo livello di educazione, di formazione e di risorse economiche.
Il tema della comunicazione mediatica internazionale sta funzionando come l'apparato ideologico della globalizzazione, come l'apparato di propaganda della globalizzazione.
Dopo il 1994 si incominciò a riflettere a scala internazionale su come combattere questa teoria che si stava applicando anche nel Nord del mondo e che la stavano applicandole i governi di destra ed anche di sinistra, provocando grossi disastri.
Cominciò a sorgere un pensiero autonomo di come tentare di riflettere per identificare questa globalizzazione. Era come se tutti avessero una malattia della quale si conoscono i sintomi, ma senza sapere di che malattia si trattasse, le sue cause e le relazioni tra i differenti sintomi.
A poco a poco si trovò una definizione che nessuno aveva teorizzato.
Incominciammo ad organizzarci con la partecipazione di associazioni, ong, gruppi, sindacati e cominciammo a protestare, ma non contro la globalizzazione in generale, bensì contro le sue applicazioni in ogni paese del mondo.
In questione si cercò di scoprire quali fossero le organizzazioni che stavano stimolando la globalizzazione, il vero motore della globalizzazione.
In dicembre del 1999 a Seattle, Stati Uniti, si produsse una grande manifestazione a cui parteciparono organizzazioni che venivano da molti paesi, perché in questa città si svolgeva per la prima volta un vertice di un'organizzazione ancora poco conosciuta: l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). La OMC è uno dei motori della globalizzazione ed è quella che dice ai paesi come si devono comportare per aprirsi ai capitali stranieri, come sacrificare i loro lavoratori affinché possano stabilirsi le imprese che non rispettano i diritti lavorativi, che danno stipendi di miseria, che offrono posti di lavoro-spazzatura e che dicono che questo è positivo per il paese.
In quell'occasione si denunciò che la OMC era un'organizzazione responsabile delle grandi tragedie sociali che si producono nel mondo.
A partire da quel momento cominciarono proteste in tutto il mondo contro la globalizzazione e le società cominciarono a ribellarsi.
A Cochabamba, l'impresa multinazionale che aveva comprato la distribuzione dell'acqua e che aveva cominciato ad aumentare il suo prezzo dovette affrontare l'ira della gente e dovette andare via.
Ad Arica, Perù, si era privatizzata l'elettricità con il conseguente aumento delle tariffe. La gente cominciò forti proteste e l'impresa dovette abbassare i prezzi. In Costa Rica protestarono ed ostacolarono le privatizzazioni.
Poi si cominciò a pensare che non si dovesse solo protestare, ma che si dovesse passare ad una nuova tappa e riunirsi in un posto a livello del mondo per cercare e proporre, insieme, soluzioni alternative alla globalizzazione
Nel 2001 decidemmo di farlo in una città del Brasile e si fece in Portoalegre ed arrivarono 15 mila persone. In questo primo incontro mondiale si rifletté e si cercarono alternative ed ognuno le diffuse nei propri paesi.
Nel 2002 arrivarono 70 mila persone e si sommarono altri movimenti ed organizzazioni.
I globalizzati incominciava a produrre teorie sulla globalizzazione per vedere come si potesse passare ad un altro sistema.
In questa occasione ci fu una gran partecipazione degli argentini, perché nel dicembre del 2001, l'Argentina aveva vissuto un'insurrezione popolare molto importante, si ribellò di fronte alle politiche devastatrici del presidente Ménem, che aveva venduto il paese ed il prodotto della vendita se l'era messo nella tasca.
Le società cominciarono a respingere le politiche neoliberiste, come in Ecuador, in Perù ed in Venezuela. In questo paese aveva preso il potere Hugo Chávez e cominciò lentamente ad ispirarsi al Movimento Antiglobalizzazione. Sorse il motto che "Un altro mondo è possibile" e Chávez cominciò una serie di riforme molto importanti come le campagne di alfabetizzazione e l'Unesco dichiarò il Venezuela libero da analfabetismo, la ridistribuzione della terra, il recupero del petrolio e la ridistribuzione del guadagno che produceva, inoltre contribuì a togliere Cuba dal suo isolamento.
Ora abbiamo un panorama ampio di governi che presentano programmi contro le politiche neoliberiste, come in Brasile, Uruguay, Argentina, Cile, Venezuela, Panama e forse Perù e Messico.
L'idea non è quella di scartare i meccanismi che hanno permesso gli scambi tra società, bensì respingere gli atteggiamenti della globalizzazione che consistono in mantenere le società in una situazione di regressione sociale e di sfruttamento.
Globalizziamo la società, l'educazione, la sanità, la produzione, ma non con accordi o trattati dove uno domina e sfrutta l'altro, ma in parità. Esiste l'esperienza di un'internazionalizzazione delle risorse tra Venezuela, Cuba e Bolivia che è l'ALBA. L'ALBA permette accordi in cui ogni paese può avvantaggiarsi dagli scambi commerciali e non che uno vince sempre e l'altro perde.
Oramai non si possono fermare tutti questi cambiamenti, perché con tante persone che non riescono a sopravvivere e che stanno morendo di fame, non possono continuare ad applicare ricette economiche che ogni giorno stanno creando più poveri. Favoriamo lo scambio, ma con altri metodi e con un modello differente di società che risponda ai bisogni della gente.
Esiste oggi in America Latina una luce di fronte alle stragi sociali prodotte dalla globalizzazione ed una speranza che sia possibile un altro tipo di economia. Un'economia più umana, più solidale, che metta al centro del suo agire la persona umana e non la ricchezza e l'egoismo.
Credo che oggi un governo che pretenda realizzare cambiamenti sociali importanti o restituire alla società la ricchezza che le è stata rubata per secoli, per permettere che la gente possa vivere con dignità, con lavoro, educazione, sanità, abitazioni, deve essere molto modesto. Non può pensare che il governo, come si pensò in un'altra epoca, abbia tutte le soluzioni, che arrivi con un programma e pensi di potere fare tutto calando e imponendo le misure dall'alto.
Quello che deve fare è ascoltare la società, che cos'è quello che la società sta chiedendo come cambiamento, che tipo di soluzione sta cercando nei diversi ambiti sociali, quale è la migliore soluzione che collettivamente la società vuole trovare in materia di produzione, organizzazione, nel sociale.
È indispensabile che il movimento sociale partecipi alle soluzioni ed è quello che il Subcomandante Marcos riassume in una frase, "che il Governo deve comandare ubbidendo", non comandare con superbia e deve farlo indipendentemente dal tipo di potere politico che si presenti.
È quello che ha fatto Evo Morales con la nazionalizzazione degli idrocarburi e c'è bisogno di molto coraggio per sopportare le critiche. E non l'ha fatto perché fosse un capriccio, bensì perché era la società che lo aveva eletto che glielo chiedeva e che voleva che la ricchezza della Bolivia ritornasse alla Bolivia e la stessa cosa sarà con la riforma agraria.
Ma contemporaneamente, i movimenti sociali devono organizzarsi e lavorare a livello di base e non aspettare che tutto cali dall'alto. Questa è decisamente la cosa più importante, affinché la nostra società latinoamericana possa continuare a sperare e sognare che un altro tipo di mondo sia realmente possibile.
Note: elaborazione di Giorgio Trucchi Ass. Italia-Nicaragua - gtrucchi@itanica.org
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