Ultima scommessa di Marcos
«Non è la prima scommessa mortale del subcomandante. Ma forse è l'ultima». Quando ho letto queste parole finali del pezzo di Roberto Zanini da Città del Messico ho cercato qualcosa di ferro da strofinare. Già il certificato di morte stilato da Anna Maria Merlo per gli «altermondialistes» francesi, dopo le divisioni all'assemblea nazionale di Attac, mi aveva turbato. Quindi, se i miei amici Roberto e Anna Maria consentono, vorrei discutere le loro frettolose - secondo me - conclusioni, specialmente quella a carico dell'Ezln. Approfondire fa bene, visto che il problema, in Messico, in Francia e in Italia, è il medesimo, sebbene in climi sociali e sistemi politici differenti. Questo problema è così enunciabile: in epoca di globalizzazione, cioè in un contesto assai diverso dal Novecento degli Stati-nazione, qual è la via per cambiare le cose? Solo la via elettorale, l'azione sociale, o l'una e l'altra cosa insieme?
Gli zapatisti, nel loro paese, si sono dati questa risposta: la via elettorale non serve pressoché a niente, perché le istituzioni sono profondamente corrotte dai settant'anni del Pri e dalla successiva invasione liberista (da Salinas de Gortari a Vicente Fox). Per ricostruire la nazione e la sua sovranità, hanno concluso gli zapatisti, bisogna ricostruire, con l'Altra campagna, una forma di collegamento o organizzazione originale, «dal basso», che sia già una forma di auto-governo, tra gli esclusi della polarizzazione sociale messicana, che è paragonabile solo a quella brasiliana. Basti dire che oltre la metà dei messicani sono, dal punto di vista dell'economia formale (quella del Pil), semplicemente inesistenti.
A chi ora accusa gli zapatisti di aver contribuito alla sconfitta (per altro dubbia) di Lòpez Obrador, si potrebbe rispondere che il «colpo di Stato tecnico» (come lo ha definito Luis Hernàndez Navarro su La Jornada) grazie al quale presidente sarebbe Felipe Calderòn, dimostra appunto che il sistema è marcio e che le elezioni sono puro teatro. Ma la domanda vera, a proposito del Messico, è un'altra: quale effettiva possibilità c'è di cambiare le cose dal di fuori del sistema politico? O in altre parole: l'Altra campagna ha effettivamente gettato le basi per un'organizzazione politica, e non elettorale, che riunisca e metta in condizione di agire los de abajo?
Non c'è dubbio che la scommessa di Marcos e degli indigeni ribelli del Chiapas sia, come dice Roberto, «mortale». Ma non solo per le sorti dell'Ezln e dei municipi autonomi, bensì per quella metà del paese. Quel che accadrà da ora in poi, darà una risposta. Ma a noi, qui, conviene sperare che la risposta sia positiva.
Conviene, a noi europei e italiani, perché siamo lontani dal Messico ma anche piuttosto vicini. In Francia ci si chiede come mettere a frutto anni di movimenti e dibattiti «altermondialisti», e il «no» al referendumsulla Costituzione europea, e sono i dubbi su come muoversi, e che tipo di rapporto avere con la politica, a spiegare l' impassedi Attac Francia, che poi si traduce in sgradevoli scontri tra persone. E in Italia ci chiediamo, dopo aver fatto il tifo per l'Unione, non se il nuovo governo rappresenta la leva per cambiare il paese - sappiamo che non è così - ma se una società civile autonoma e attiva saprà sfruttare quella che Paolo Ferrero, ministro, definisce (in molto ampia conversazione che pubblichiamo sul settimanale Carta sabato prossimo) la «permeabilità» del centrosinistra, Ciò che, dice Paolo, potrebbe avviare un «circolo virtuoso» tra società e politica. Noi che simpatizziamo con gli zapatisti, siamo meno ottimisti, però almeno bisogna tentare. Fino a prova contraria.
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