Latina

Uno statunitense racconta il suo viaggio in Venezuela: la terra della speranza

Dieci giorni in Venezuela, una visita nella terra della speranza

28 luglio 2006
Kim Scipes
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Tradotto per peacelink da Alessia Ferrigno - 28 luglio 2006

Ritornare dal Venezuela negli Stati Uniti è una strana esperienza.
Trascorrere del tempo con persone con pochi mezzi e speranzose circa il
loro futuro e quello dei figli è un’esperienza entusiasmante come non ne
ho mai avute nella mia lunga permanenza negli Stati Uniti.
Ho trascorso 10 giorni in Venezuela, partecipando a un tour sponsorizzato
dalla Marin Interfaith Task force (MITF), di Mill Valley, California. Ho
tanto da dire e cercare di trasmettere di quest’esperienza, anche se
questo è solo uno scorcio “impressionistico” poiché non parlo spagnolo,
nonostante abbia avuto eccellenti traduttori a disposizione. In
precedenza non sono mai stato tanto a sud dei confini messicani, né ho
ricevuto una formazione su studi dell’’America Latina,. Non dico che non
so nulla dell’America Latina, dato che ne ho appreso tanto con gli anni,
ma è per mettere al corrente i lettori circa i miei limiti così che
possano valutare meglio ciò che devo dire.
Nonostante questi limiti, sono già stato in paese”in via di sviluppo”: sei
volte nelle Filippine, tra il 1986 e il 1994, per essere esatti. Posseggo
anche un Master in studi sull’evoluzione dell’Istituto di Studi Sociali di
La Hague, dove il 90% degli studenti provenivano da paesi in via di
sviluppo. Attualmente insegno sociologia dei paesi in via di sviluppo in
un campus regionale della Purdue University, Indiana.. Cosicché sono a
conoscenza della situazione, seppur in modo limitato.
Con tale background e totalmente conscio dei miei limiti, voglio
condividere le mie impressioni di questo veloce viaggio. Ero in un gruppo
di 16 nord-americani di Washington, DC e del nord e sud California e con
due studenti del centro nord di Purdue che avevano appena ultimato il
corso da me tenuto in primavera sui paesi in via di sviluppo. Era con noi
una guida eccellente, Lisa Sullivan. Sullivan è una ex missionaria laica
del Marynoll???, che ha vissuto più di vent’anni in America Latina,
principalmente in Venezuela. Siamo stati un paio di giorni a Caracas, la
capitale, e abbiamo visitato gli Stati di Lara e Miranda, in special modo
la regione Barlovento, dove risiede una maggioranza di popolazione
afro-venezuelana.
Sebbene i principali media americani non fanno altro che sbraitare fino
alla nausea e senza tregua accuse sul Presidente Hugo Chavez, ritendendolo
un dittatore, ciò è incredibilmente assurdo: il Venezuela è una
democrazia- con un governo che ha più legittimità democratica tra la sua
gente di quanto ne abbia l’attuale regime in USA- posso sottolineare - e
la società è aperta e spontanea. In pochi minuti di ascolto del principale
media, che odia Chavez, si sentirà clamore di dittatura. Persino Caracas,
la capitale turbolenta e senza regole—non presentava atteggiamenti di
repressione: poca presenza della polizia- ci sono più poliziotti per le
strade in un solo giorno nella mia città di adozione Chicago di quanti ne
abbia visti in 10 giorni di viaggio nel Venezuela- e non sembrava esserci
alcuna tensione tra la gente per strada e la polizia lì presente. Le
persone erano tranquille, e alquanto amichevoli. Sì c’è criminalità e
bisogna esserne consapevoli, ma, di nuovo, non ho visto niente che
suggerisse tensione più di quqnta possa essercene a Chicago. A confronto
con Manila durante il regime di Marcos, e posso testimoniare, la
differenza è sorprendente.
Bisogna poi aggiungere che il governo Chavez ha impegnato massicce risorse
nel sistema sanitario e scolastico a favore delle persone meno abbienti.
In qualche modo, il Presidente Chavez ha prodotto la malsana idea che la
gente comune di un paese ricco di petrolio dovrebbe beneficiare dell’utilizzo
delle proprie risorse naturali. Che idea- pensare che questo fatto lo
rende un “comunista”. So che non possiamo avere roba del genere in USA.
La domanda principale che girava nella mia testa, comunque, era questa:
chi controlla i tanti programmi sociali che ha iniziato il governo Chavez?
Sono controllati dal governo, dall’alto, o a salire da gente comune, dal
basso? Dividendo alcune mie esperienze credo che la risposta diventerà
ovvia.
Abbiamo visitato i dintorni di Caracas, che è una città grande, non molto
lunga, situata in una vallata tra due gruppi di montagne a nord e sud.
Fiino a quel momento ritenevo che fosse sul mare, ma non lo è.
La povera gente che si è mossa verso la città ha costruito edifici in
cemento lungo i costoni delle ripidi catene—a salire dalla valle in su- è
sorprendente quante costruzioni ci siano e che queste non siano state
spazzate via. Questi “barrios” ampiamente si estendono dall’alto sulla
città, case su case accatastate e pressate una vicino all’altra. Le
montagne sono ripide, ed è difficile accedervi se non in jeep.
Abbiamo visitato Barrio Carapita, dove abbiamo incontrato i membri della
comunità. Ci hanno parlato delle nuove scuole, e condiviso l’eccitazione
per le nuove risorse per i loro bambini. La scuola d’infanzia che abbiamo
visitato era abbastanza ben organizzata per i bambini. I membri della
comunità ci hanno detto come si sono organizzati per godere dei benefici
provenienti dalle proposte del governo per sostenere iniziative sull’educazione.
Una cosa interessante che abbiamo scoperto è stata che, sorprendentemente,
sono le donne ad impegnarsi a che le comunità migliorassero. In effetti,
molti uomini vanno a Caracas per cercare qualsiasi genere di lavoro e
quelli che rimangono nel barrio non si occupano del lavoro nella comunità.
Le donne leader ci hanno raccontato che gli uomini hanno smesso di
occuparsi del lavoro nella comunità, e che non vogliono essere seccati. Il
compito maggiore, per loro, è coinvolgere gli uomini nella comunità.
Successivamente, uno dei leader della comunità che ci ha portato in un
altro luogo, decidendo che dovevamo fermarci al Project Guire, uno sforzo
ambientale nella zona fondamentale per ripulire la fonte d’acqua per la
città, il Rio Guire. I venuezelani non sono proprio attenti con i rifiuti
e questi si accumulano in quantità, contaminando sia parti adiacenti che i
corsi d’acqua che l’acqua piovana ingrossa. Ci fermammo e siamo stati
messi al corrente d questa importante iniziativa, e sorridevamo più tardi
con aria di chi sa, quando vedemmo gli autobus cittadini con la cartina
del Project Guire stampato, o gli enormi tabelloni che il governo ha fatto
erigere per informare la popolazione dell’iniziativa. Questo è un’importante
impegno in materia di rifiuti che il governo appoggia.
Dopo pranzo siamo andati presso un ponte, Puente Llaguno, vicino al
palazzo presidenziale di Miraflores. Durante il tentativo di colpo di
Stato, nell’aprile 2002, i principali media mostravano i sostenitori di
Chavez (Chavistas), che sparavano dal ponte alla manifestazione di parte
opposta che si dirigeva al Miraflores. Comunque il film “The Revolution
Will Not be Televised” mostrava cosa realmente accadde: i Chavistas sul
ponte furono sparati dai cecchini – un numero di persone furono colpite
alla testa – e solo nello sforzo di scacciare i cecchini quelli sparavano
per contromossa. Susana Gonzales, che era presente sul ponte durante la
sparatoria, ci portò in giro e spiegò gli sviluppi – incluso il fatto di
sottolineare che la manifestazione di parte opposta cui i Chavistas
stavano evidentemente sparando deliberatamente con pistole, era di fato
lontano dalla portata di tiro.
La mattina seguente il resto della delegazione ricevette una panoramica
della storia venezuelana, incontrando dall’Assistente del Vice Ministro
del Nord America al Ministro degli Esteri Venezuelano. Lisa Sullivan aveva
organizzato per me l’incontro con i leader dei due maggiori centri di
lavoro per quella mattina, così non partecipai all’evento.

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