Latina

Se il destino vorrà sarò presidente La mia forza sono le energie maya. Ci sono bianchi che conoscono benissimo le energie maya e maya che non sanno nulla di quelle energie.

Intervista a Rigoberta Menchú, premio Nobel per la pace e coscienza critica del Guatemala

19 agosto 2006
Gianni Beretta
Fonte: Il Manifesto - 19 agosto 2006

Città del Guatemala
Il mandato di cattura internazionale per crimini contro
l'umanità, emesso dalla giustizia spagnola il mese scorso nei confronti
dell'ex dittatore Efrain Rios Montt (e di altri sei alti ufficiali
dell'esercito) ha avuto un grande impatto in Guatemala. Ne abbiamo parlato
con il Nobel per la pace Rigoberta Menchù, promotrice della denuncia contro
Rios Montt presso le corti spagnole. Rigoberta, assai raffinatasi nelle sue
riflessioni e nei suoi progetti, ci racconta pure del suo ruolo nell'attuale
governo e dei suoi propositi per la formazione di un partito indigeno, in un
paese dove la violenza e l'intimidazione continuano a farla da padrona.
Quella denuncia potrà sortire qualche effetto pratico,
visto che l'ex-generale genocida continua a girare libero e impune nel suo
paese?
Credo che l'ordine di arresto internazionale contro i
responsabili del genocidio costituisca innanzitutto un trionfo per le
vittime e i loro familiari, un riscatto della loro dignità e per la memoria
dei loro morti. E' poi un successo per la giustizia universale, che mette a
prova l'applicazione delle convenzioni internazionali contro i delitti di
lesa umanità. Ma si tratta soprattutto di un test decisivo per l'efficacia
dello stato e della giustizia guatemalteca; una sfida contro l'impunità.
Credo che questo mandato di cattura presto o tardi sarà
eseguito. Ma non sarà facile perché i responsabili del terrorismo di stato,
delle torture e delle mattanze del passato sono ancora molto influenti nella
politica e nelle istituzioni. Non solo: posso affermare senza remore che
questi gruppi sono alla testa della criminalità organizzata, del sistema di
corruzione e del narcotraffico. Dunque perseguirli non significa solo fare i
conti con il fascismo genocida di un tempo ma con enormi interessi
dell'oggi. Che poi significa un grande rischio per l'incolumità dei
testimoni e dei denuncianti di quei crimini. E' per questo che ho preferito
ricevervi nella mia casa, da dove, per motivi di sicurezza, esco solo se
necessario.
Rigoberta, come ti trovi nel ruolo di ambasciatrice di
buona volontà per gli accordi di pace in questo governo della destra
moderata del presidente Oscar Berger?
Fui io a propormi per rilanciare l'applicazione degli
accordi di pace nella loro integralità, che significa salute, istruzione,
terra, nazione multiculturale e plurietnica. Sono ambasciatrice ad honorem;
partecipo alle riunioni di gabinetto (anche se ci sono state molte
resistenze) dove pongo i problemi sul tavolo; ma mantengo tutta la mia
autonomia. Ho un'agenda propria per la costruzione della pace che va al di
là del che fare di questo governo.
Con quali risultati?
Devo riconoscere che questo governo ha ampliato gli spazi
di partecipazione degli indigeni nelle istituzioni dello stato e
nell'esecutivo. Svolgono un ruolo importante la Commissione presidenziale
contro il razzismo e le discriminazioni, l'Accademia delle lingue maya, il
Consiglio nazionale di educazione maya e il Coordinamento interistituzionale
delle organizzazioni maya. Molti di noi ricoprono oggi incarichi di
responsabilità. La battaglia l'abbiamo data. Forse non si vedrà ancora
molto. Ma quando uno è rinchiuso in una gabbia dove ci sono più belve feroci
che docili animali...
Per il resto che opinione hai del presidente Berger?
I miei rapporti con il presidente sono buoni. Il problema
è che questo governo non ha i sufficienti rapporti di forza per far passare
i suoi programmi in parlamento. Faccio un esempio: il Congresso non ha
ancora approvato la legge per combattere il crimine organizzato; il Fronte
repubblicano guatemalteco (il Frg di Rios Montt e di Alfonso Portillo,
precedentemente al governo) vogliono emendarla con la non estradabilità dei
narcotrafficanti cui sono legati. Pensate che tutti sanno chi sono e dove
stanno i capi narcos, ma sono intoccabili: la loro capacità di intimidazione
è più forte di quella repressiva dello stato. Rios Montt e Portillo prima di
andarsene hanno creato per legge entità inquinate e infiltrato gli apparati
dello stato con le mafie del crimine. Così che l'attuale governo avrebbe
pure buoni propositi ma è troppo debole. La situazione in Guatemala è dunque
ancora molto grave. Io stessa, se fossi la posto del presidente non saprei
bene cosa fare in materia di legalità e sicurezza dei cittadini. L'aiuto
della comunità internazionale è fondamentale.
Ci sono poi i fenomeni dilaganti delle bande giovanili e
dell'assassinio indiscriminato delle donne.
Le maras (bande giovanili) sono nate a Los Angeles e sono
state trapiantate in Centroamerica dai giovani deportati. Sono una nuova
modalità di espressione della violenza che i boss della criminalità usano
come proprio capitale d'investimento. Le modalità della violazione dei
diritti umani in Guatemala oggi sono cambiate; ma per mantenere lo stesso
risultato: la paura, la psicosi del terrore. Le mafie manipolano le maras
che sono organizzate capillarmente nei quartieri dove esigono il pizzo a
chiunque svolga un'attività: persino all'anziana povera signora che vende
zuppe all'angolo della strada. E la polizia, essa stessa intimidita, non
riesce a intervenire. Tantomeno trova testimoni disposti a denunciare. Per
questo capita pure che qualcuno finisca col farsi giustizia da sé. Anche il
numero crescente di assassinii di giovani donne si consuma all'interno delle
bande e delle mafie, con un ritorno prepotente del machismo, legato alla
cultura del terrore. E' urgentissimo lavorare per sostenere le istituzioni
del sistema democratico prima che la sfiducia e la disperazione abbiamo
definitivamente il sopravvento.
Rigoberta, recentemente hai ventilato l'ipotesi di formare
un partito degli indigeni.
Quello dell'organizzazione è uno dei miei nahuales
(energie spirituali) che più mi protegge in questo mondo. Fin da bambina mio
padre mi ha insegnato a organizzare nella comunità. E da quando ho avuto il
Nobel ho pensato a uno strumento politico che rendesse possibile la
partecipazione delle popolazioni indigene al potere. Nel 1993 ci ho provato
insieme ad altri leader conosciuti. Formammo il Kamal-E. Ma non funzionò
perché un gruppo maya che unisse diverse tendenze non piacque all'allora
guerriglia e alla sinistra. Ci disperdemmo nella post-guerra ciascuno
facendo preziosi censimenti del genocidio. Non rilanciai quell'idea per non
dar corda a coloro che mi accusavano di voler figurare alla testa di ogni
iniziativa senza avere una vera base sociale. Ho riflettuto molto su quelle
critiche giungendo alla conclusione che non si trattava altro che dei soliti
argomenti di chi imbraccia gli strumenti dell'oppressione e del razzismo.
Volevano condizionarmi; arrivai in effetti a chiedermi persino se il
progetto di un partito non avesse macchiato lo stesso premio Nobel. Ora quei
condizionamenti li ho lasciati alle spalle. Sono una dirigente politica che
ha ricevuto una missione dai miei avi; e la devo compiere fino in fondo.
Dunque, anche se non per le elezioni dell'anno prossimo, fonderò un partito
indigeno. Qualcuno dice che voglio essere presidente della repubblica; se il
destino lo vorrà sarò presidente del Guatemala.
Pensi a un percorso come quello di Evo Morales in Bolivia;
una sorta di riscatto dopo cinque secoli di sottomissione?
Non basterà un mandato per Evo Morales per cambiare
istituzioni escludenti e per mostrare miglioramenti decisivi nella vita dei
boliviani. E' un lungo processo del quale lui deve gettare le fondamenta, ma
che i fratelli indigeni boliviani devono sostenere preparandosi per essere
in grado di condurre le redini del paese. Io appoggiai molto l'avvento al
governo di Lucio Gutierrez in Ecuador, eletto grazie al voto indigeno. Ma
poi è risultato che non avevamo sufficiente gente preparata per gestire lo
stato e l'economia; e tutto è caduto. Dobbiamo essere prudenti altrimenti
cresciamo come un vulcano in eruzione. Mentre i soliti reazionari ci
aspettano al varco per dire: lo vedete che gli indigeni non sono cambiati e
non sono buoni a nulla?
Anche il peruviano Alejandro Toledo, prima di assumere la
fascia presidenziale, andò a Machu Picchu a invocare i buoni auspici delle
divinità ancestrali...
Non mi interessa se un presidente è indigeno o no. Così
come non giudico il presidente Berger in quanto ladino. Mi importa solo che
sia un buon amministratore, trasparente, democratico, partecipativo,
pluriculturale. Certo ci vuole anche tanta spiritualità. Le aspirazioni
materiali devono essere in equilibrio con quelle spirituali. Ma posso
affermare che ci sono fior di europei che conoscono le energie maya da
diventarne guide spirituali; e indigeni maya che di queste energie non sanno
proprio niente. Sono argomenti profondi che non si può banalizzare con
luoghi comuni.

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