Latina

«Il movimento latino ha radici lontane ora serve la rappresentanza politica»

Oscar Chacòn, dell’Alleanza Nazionale delle Comunità latinoamericane e caraibiche. «La stretta di questi mesi ha origine con la pubblicazione del censimento nel 2001»
6 settembre 2006
Alessandro Fioroni
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Dopo aver dibattuto per varie settimane dello spinoso tema della riforma della legge sull’immigrazione, il Senato degli Stati Uniti ha approvato giovedì 25 maggio 2006 l’«atto di riforma comprensiva per l’immigrazione». Sostanzialmente la proposta prevede un ampliamento significativo del potere discrezionale del Dipartimento di Sicurezza Nazionale; un programma di legalizzazione che divide la popolazione straniera illegale in tre categorie e contiene una serie di condizioni che effettivamente riducono il numero di persone che potrebbero usufruire di questo programma; la costruzione di quasi 400 miglia di muro alla frontiera sud degli Stati Uniti; un sistema elettronico di verifica del lavoro degli stranieri. Inoltre verrà ampliato il numero annuale dei visti per lavoratori temporanei e rafforzerà l’applicazione rigorosa della legge nelle zone frontaliere. In realtà si tratta di una proposta di legge di modifica di quella approvata dal Congresso nel dicembre 2005, che partiva dal presupposto che gli immigrati sono una minaccia per gli Stati Uniti. Quell’impostazione ha avuto un impatto fortissimo sulle comunità immigrate dando luogo alle mobilitazioni che hanno animato gli Usa in primavera. Ne abbiamo parlato con Oscar Chacòn, direttore di Enlaces América, progetto dell’Heartland Alliance for Human Needs & Human Rights di Chicago, membro del Comitato Esecutivo della Alleanza Nazionale delle Comunità Latinoamericane e dei Caraibi (Nalacc). Come prima cosa chiediamo a Chacòn che spiegazione si è dato della grande capacità di mobilitazione dei latinos? «Quello che è successo a febbraio e poi a maggio ha catturato l’immaginazione di tutto il mondo: sono state le mobilitazioni sociali più grandi della storia degli Stati Uniti, maggiori di quelle avvenute durante il periodo della lotta per i diritti civili della popolazione nera. In uno spazio di tempo brevissimo si sono mobilitate circa 5 milioni di persone in diverse città, dai piccoli centri dell’Arkansas, del Wyoming, dell’Yowa, fino alle metropoli di Los Angeles, Chicago, New York con più di un milione di persone in piazza. Queste manifestazioni sono riuscite grazie ad un insieme di fattori, a partire dal peggioramento dei diritti dei migranti nei singoli stati. L’esempio più lampante è quello della California che negli ultimi 25 anni ha rappresentato un laboratorio di quello che stanno diventando gli Stati Uniti.

La mobilitazione ha dunque radici molto più lontane?

In California il vero cambiamento demografico è cominciato a fine anni ’70, già in quel periodo c’erano città della dove il 20-25% della popolazione era di origine ispano-americana. Alcuni settori razzisti videro in quello che stava succedendo l’avverarsi della profezia di come sarebbero divenuti gli Stati Uniti, così cominciarono a porre degli ostacoli. Nel 1973 venne approvato un referendum per ridurre la tassa che lo stato poteva imporre per finanziare l’educazione con l’intento di ridurre i finanziamenti per la scuola pubblica alla quale avrebbero avuto accesso gli stranieri. Un ulteriore passaggio si ebbe nel 1994, quando il governatore della California Pete Wilson - che correva il rischio di perdere le elezioni - decise di fare degli stranieri il tema principale della sua rielezione. Articolò la campagna intorno a quella che fu chiamata “proposizione 187” la cui logica era quella di bloccare lo sviluppo per la popolazione immigrata. Questa politica si concretizzò nell’impedire l’accesso agli stranieri ai servizi pubblici. Risultò che la maggioranza della popolazione della California, considerato uno stato liberal, approvava la Proposition 187 anche se la Corte Suprema degli Stati Uniti invalidò la maggior parte della proposta di Wilson. Quasi accidentalmente il partito repubblicano, ed in particolar modo l’ala più a destra, si rese conto del potere emozionale che suscitava il tema dell’immigrazione. Così la proposition 187, sebbene depotenziata, venne utilizzata come bandiera per una campagna a livello federale che produsse, nel 1996, una mutazione drastica delle leggi federali sull’immigrazione. Di fatto quello approvato nel settembre del 1996 viene considerato come il cambiamento più restrittivo del secolo. Le legge si chiamava «Contro l’immigrazione illegale e la responsabilità degli immigrati».

Con l’elezione di George W. Bush e lo strapotere politico dei repubblicani cosa è cambiato?

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, Bush Jr. proviene da settori conservatori ma non estremisti. Era governatore dello stato del Texas dove il dibattito sull’immigrazione non era quello californiano. Quando vinse, Bush suscitò enormi aspettative tra i latinos, non a caso il suo primo atto fu una visita ufficiale in Messico. Poi venne la pubblicazione dei dati dai quali usciva che la popolazione ispanica era la seconda degli Stati Uniti e superava per la prima volta quella nera. Il settimanale Time, nel maggio 2001, pubblicò un numero con una copertina che recitava “Bienvenido a Mexica”, dove la bandiera statunitense era graficamente combinata con quella messicana. Fu questo il momento nel quale cominciò la campagna dei settori più razzisti, xenofobi ed estremisti del partito repubblicano. Già prima dell’11 settembre 2001 il gruppo più conservatore cominciò a lavorare per frenare i contatti con il Messico e la riforma delle leggi sull’immigrazione. Il risultato fu che il 5 settembre, a New York, Bush si incontrò con il presidente messicano Fox e gli comunicò che non era possibile raggiungere un accordo sull’immigrazione. A chiudere definitivamente la partita arrivò l’11 settembre, quando i diritti degli immigrati conobbero la fase peggiore della loro storia.

Quali sono stati i passaggi successivi?

Nel 2004 quando Bush fece un annuncio a sorpresa; disse che gli immigrati erano necessari e che gli Stati Uniti non sarebbero quello che sono senza di essi. Conseguentemente affermò che la legge vigente era un fiasco e che bisognava cambiarla. Propose la creazione di un programma massiccio di impieghi temporanei. Fu così che il tema tornò ad essere centrale nella politica nazionale. Ancora una volta la Camera dei Rappresentanti si mise al lavoro per frenare le intenzioni di Bush e nel dicembre del 2005 si arrivò alla riforma della legge che il Senato vuole modificare. Quel testo prevede la criminalizzazione dell’immigrazione non autorizzata, qualsiasi straniero trovato senza permesso è passibile di arresto da qualsiasi autorità e può essere espulso in qualsiasi momento. Viene anche proibito il reingresso negli Stati uniti per chiunque si trovi in questa condizione e inoltre anche chi aiuta un immigrato illegale è considerato un criminale. E’ stato calcolato che se questa legge venisse approvata in via definitiva e applicata con rigore si aprirebbero le porte del carcere per almeno 50 milioni di persone. Le organizzazioni degli immigrati non sono riuscite a capire cosa stesse succedendo fino a gennaio ed è in quel momento che si è avuta laa reazione. Ad agire sono stati i migranti ma anche alcuni settori economici per cui il lavoro immigrato è determinante. La capacità degli Stati Uniti di assorbire tanta mano d’opera straniera risponde infatti al modello economico perseguito negli ultimi vent’anni, un modello che ha accresciuto il bisogno di lavoratori a basso costo e nel quale gli immigrati, soprattutto quelli di origine latinoamericana e del Caribe, hanno giocato un ruolo centrale.

Qual è il valore reale degli immigrati di origine latina negli Stati Uniti?

Negli Stati Uniti esistono almeno tre catene televisive in lingua spagnola senza contare la rete di radio che trasmettono su tutto il territorio nazionale, e poi innumerevoli giornali di ogni sorta. Solamente nell’anno passato la camera di commercio ispano-americana ha calcolato che in totale la popolazione ispanica (immigrati e cittadini Usa) ha consumato circa 970 milioni di dollari. Tra lavoratori immigrati e imprese c’è dunque una convergenza di interessi. C’è poi un altro aspetto importante. Il fatto che la componente demografica latina sia diventata la seconda degli Stati Uniti ha comportato un grande cambiamento a livello elettorale, tanto il partito democratico che quello repubblicano cominciano a capire che l’aumento dell’universo degli elettori comprende una considerevole percentuale di latinos. Cominciano a visualizzare una realtà nella quale i partiti con un carattere fortemente segnato dall’ostilità verso gli immigrati, subirebbero danni elettorali considerevoli. Si realizza così una convergenza che comprende non solo di chi si occupa del tema dal punto di vista dei diritti o da quello commerciale, ma acquista sempre più importanza il fattore politico-elettorale. Tutti questi fattori formano le enormi manifestazioni di febbraio e maggio.

C’è un siginificato nel fatto che una delle mobilitazioni sia stata organizzata il 1° Maggio?

Quella è l’ultima di una serie. Quando fu scelta quella data molti non erano d’accordo, perchè il 1° maggio viene associato alla lotta dei partiti di sinistra. Quindi si tratta di una scelta casuale, anche se non bisogna negare che molti immigrati sapevano benissimo che nei propri paesi questa data rappresenta la festa dei lavoratori, e che molti l’avrebbero intesa in questo senso. Possiamo dire che in realtà il 1° maggio è stato il culmine di un processo di mobilitazione all’interno del quale, in qualche modo, si sta cercando di far crescere un po’ di coscienza di classe condivisa. Per ora l’attacco ai migranti è percepito come un’aggressione alla comunità latina e la sfida più importante è quello di trasformare il movimento nato quasi istintivamente. Bisogna renderlo più cosciente, più coeso, capace di una battaglia di medio-lungo periodo. Ad oggi c’è spesso tensione tra chi fa politica professionalmente e chi ha organizzato le manifestazioni a livello locale.

Il movimento si sta ponendo il problema della rappresentanza politica?

Il dibattito politico era incandescente nel momento in cui, il 17 dicembre dell’anno passato, è stata presentata la proposta di legge della Camera.

All’inizio di quest’anno anche il Senato doveva pronunciarsi circa questa legge e lo ha fatto approvando una versione molto più moderata - ma lontana dal riflettere le attese degli immigrati. Quello che la gente vive nella strada, quello che la gente spera non ha una rappresentanza adeguata a Washington.

A che punto è il dibattito legislativo?

A novembre si terranno le elezioni di medio termine. In queste elezioni una parte del partito repubblicano ha deciso che proprio l’immigrazione rappresenta un elemento centrale del messaggio politico. Si tratta ancora una volta dei settori più conservatori. Purtroppo anche il partito democratico non si caratterizza in maniera nettamente diversa. Un errore che può servire a breve termine ma che rischia di costare quando la porzione di voto latino crescerà (e questo è inevitabile). Da questo l’atteggiamento di Bush che non vuole alienarsi importanti segmenti della società. Questo conflitto tra repubblicani sta portando il dibattito legislativo su un territorio interessante; le due versioni della legge devono essere analizzate da uno strumento del sistema politico-legislativo statunitense e cioè il Comitato di Conferenza. Quest’ultimo cerca un testo condiviso che poi verrà sottoposto di nuovo al Congresso. Per ora prendono tempo, preoccupati delle conseguenze elettorali di novembre.

Quali sono dunque gli obiettivi attuali del movimento?

Dopo le grandi mobilitazioni di maggio, la parte più a destra dei repubblicani spinge per una applicazione integrale della legge in vigore, questo si traduce in un aumento dei controlli di polizia alle case degli immigrati e nell’atteggiamento repressivo degli imprenditori nei confronti dei lavoratori stranieri non in regola. Le comunità degli immigrati, anche se non sono in una condizione organizzativa ottimale, stanno lottando soprattutto per ottenere alcuni diritti basilari e cioè la possibilità di lavorare tranquillamente e di poter tornare senza problemi al proprio paese d’origine. Molti si chiedono che succederà dei diritti sul lavoro o sulla cittadinanza, ma bisogna tenere conto della realtà. Se si chiede a un lavoratore straniero cos’è che desidera maggiormente, risponderà che per prima cosa vuole guadagnarsi da vivere in pace e viaggiare per poter rivedere la propria famiglia.

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