Latina

cantieri sociali

La Comune di Oaxaca

2 novembre 2006
Pierluigi Sullo
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it) - 02 novembre 2006

Nei mesi scorsi, gli zapatisti e l'Altra campagna - la rete di organizzazioni sociali «in basso a sinistra» nata da una proposta degli zapatisti - sono stati ricoperti di contumelie per non essersi schierati con il candidato del centrosinistra alle elezioni presidenziali messicane, Andrés Manuel Lopez Obrador. Il quale ha perso per una manciata di voti e per i brogli generalizzati. Quella degli zapatisti e del subcomandante Marcos è stata giudicata una scelta settaria e anzi una causa della sconfitta. Poi è successa Oaxaca. La città, capitale dell'omonimo stato della federazione messicana, è stata di fatto occupata da mesi - come ha ben raccontato Gianni Proiettis - da un movimento sociale riunito sotto la sigla Appo (Assemblea popolare dei popoli di Oaxaca), ed è stata infine invasa dalle truppe federali, che con blindati e sparatorie hanno smantellato le centinaia di barricate. La «presa» di Oaxaca, come si leggeva nell'articolo di Luis Hernandez Navarro che il manifesto ha pubblicato, è costata quattro morti e centinaia tra feriti e arrestati. Ma la storia è tutt'altro che finita. Già il giorno dopo l'irruzione militare, migliaia di persone sono riuscite a circondare lo «zocalo», la piazza centrale di Oaxaca, e proteste sono scoppiate in tutto il paese. Dimostrazioni davanti ai consolati e alle ambasciate del Messico si tengono da giorni in tutta Europa, Italia inclusa. Marcos e l'altra campagna hanno annunciato blocchi stradali e altre forme di di solidarietà. E infine anche Lopez Obrador, che fin qui si era limitato a comunicati, ha convocato una dimostrazione pubblica nella capitale.
Ma cos'è che rende speciale la vicenda di Oaxaca? Tutto è cominciato con uno sciopero dei maestri, che si è prolungato per molto tempo. Man mano, centinaia di organizzazioni sociali di ogni tipo hanno ingrossato la protesta, diventando il bersaglio degli squadroni della morte, formati da poliziotti in borghese, che hanno provocato decine di uccisioni: così che il primo obiettivo della Appo è diventato la cacciata del governatore dello stato. Ma nel frattempo la lotta, come ha scritto uno degli indigenisti più importanti del Messico, Gustavo Esteva, è diventata un'altra cosa. Oaxaca è lo stato con la percentuale maggiore di popolazione indigena, oltre il 50 per cento. Ha una grande tradizione comunitaria e capacità organizzativa degli indigeni, dei contadini, dei maestri appunto, e di molte altre categorie, che, all'epoca del regime del Pri, era sia una forma di autonomia sociale che un modo di contrattare gli aiuti clientelari con cui i caciques del Pri (come Ruiz) si mantenevano al potere. Per molte ragioni, tutto questo si è di colpo rotto. Quel che si è visto a Oaxaca negli ultimi mesi è qualcosa che ha indotto osservatori come Esteva o come lo stesso Hernandes (che è uno studioso di movimenti contadini) a parlare di una «Comuna de Oaxaca»: una forma di autogoverno che non aspira a sostituirsi ai governanti e che mette in pratica forme democratiche dirette, si basa sulla comunicazione (molte radio locali erano state «prese» dalla rivolta) e agisce - come ripetono anche in questi giorni i portavoce - in modo pacifico. Ossia: alla crisi ormai terminale del sistema politico messicano, i movimenti sociali reagiscono creando nuove forme di democrazia «dal basso», che prescindono dai linguaggi e dai modi di organizzazione della politica tradizionale. Qualcosa che assomiglia come una goccia d'acqua alla proposta degli zapatisti e dell'Altra campagna. E nel frattempo la protesta contro i brogli, guidata da Lopez Obrador, si è arenata sulle secche della mediazione politica.

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