Narcos contro paramilitari. La violenza soffoca Rio de Janeiro
L e prime parole ufficiali di Sergio Cabral, da lunedì nuovo governatore dello stato di Rio de Janeiro, sono state un grido d'aiuto. Per tirare fuori la testa dal bagno di sangue in cui la città è annegata negli ultimi giorni (almeno 19 morti da giovedì scorso), la nuova amministrazione ha chiesto al presidente Lula l'invio immediato delle truppe federali. Circa 7000 agenti della sicurezza nazionale, il cui arrivo era previsto solo tra qualche mese in occasione dei Giochi panamericani (in programma dal 13 al 29 luglio), andranno a integrare le forze dell'ordine dello stato di Rio. Anche l'esercito è stato messo in allerta.
Il 28 dicembre la colonnina della violenza ha sfondato il termometro. I quartieri di mezza città, comprese quartieri bene come Botafogo, sono stati messi a ferro e fuoco: decine di macchine della polizia prese a colpi di granata e raffiche di mitra, bus dati alle fiamme, tanti poveracci finiti bruciati o uccisi. Era, si è detto, la risposta dei maggiori clan del crimine di fronte all'avanzata delle milicias.
Con il pretesto di spazzar via il narco-traffico, eliminando gli incubi di chi abita nelle zone più marginali di Rio, negli ultimi anni sono sorti infatti gruppi paramilitari. Classificate dai simpatizzanti come Autodefesas comunitárias, queste milizie si sono inserite nella lotta per il controllo del territorio. Ad oggi, le favelas sotto la loro «protezione» sono circa un centinaio. Un fenomeno in crescita esponenziale: una favela occupata ogni 12 giorni negli ultimi 20 mesi.
Le milizie sono composte in gran parte da poliziotti civili e militari (che qui in Brasile sono quelli degli stati dell'Unione), pompieri, agenti penitenziari, che in alcuni casi abitano nelle stesse comunità di cui assumono il controllo. Nelle loro operazioni d'occupazione possono contare sull'appoggio informale delle unità di polizia cui è affidata la sorveglianza dei territori in questione. «Al momento dell'invasione, gli agenti di turno fanno finta di niente - racconta il colonnello Mário Sérgio de Brito Duarte - per poi riprendere servizio dopo che le milizie si sono installate, aiutando così a ostacolare il ritorno dei narco-trafficanti».
Una volta ottenuto il controllo del territorio, i paramilitari bandiscono l'uso e la vendita di droga. E i loro metodi di repressione, al di sopra della legge, risultano molto efficaci: un minore pescato con della maconha (la marijuana), a esempio, riceve immediatamente percosse e minacce di morte. Una garanzia che difficilmente sgarrerà una seconda volta.
Lo sradicamento del consumo e del traffico di droga è l'esca con cui le milizie guadagnano la simpatia iniziale di una parte degli abitanti della favela «liberata». In realtà il loro fine ultimo è esclusivamente il lucro e molto presto la comunità si rende conto di essere passata da un carnefice all'altro.
I paramilitari cominciano riscuotendo una «tassa di protezione» per tenere lontani i trafficanti, di solito 15 reais al mese (più o meno 5 euro) per ciascun abitante. Molto rapidamente però passano a imporre il «pizzo» su un ampia gamma di attività commerciali che hanno vita all'interno della favela. Il prezzo di vendita delle bombole del gas viene maggiorato di 5 reais, mentre chi usufruisce di un allaccio clandestino alla rete elettrica è costretto a pagarne 10. La tassazione è imposta anche sull'installazione irregolare della Tv per abbonamento (pare che la «Tv a gato» a Rio coinvolga 600.000 persone, il doppio degli abbonati regolari) e chi vuole garantirsi il servizio deve essere pronto a sborsare in media 30 reais al mese. Anche i gestori di moto-taxi e piccoli furgoncini, mezzi di trasporti informali molto diffusi nelle favelas, devono corrispondere un pedaggio alle milizie. Come pure le attività commerciali regolari. Ai paramilitari poi deve essere corrisposta una percentuale sul prezzo di vendita o d'affitto degli immobili.
Un giro d'affari notevole. A esempio, secondo una rilevazione operata dal Gabinetto militare del muncipio, le milizie che occupano la favela di Rio das Pedras (poco più di 12000 abitanti) arrivano a guadagnare un milione di reais al mese soltanto con 3 «servizi»: sicurezza, gas e Tv via cavo. Calcolate che un euro vale circa 2.8 reais e fate i vostri conti
Agli abitanti che si rifiutano di pagare viene tagliato il rifornimento di gas e luce. Se la situazione non cambia, le milizie passano a minacce e torture, fino ad arrivare in alcuni casi ad assassini mirati. A Parque Boa Esperança, una delle comunità più carenti della Zona ovest, non riuscendo a spremere a sufficienza i 400 abitanti, le milizie hanno scelto di abbandonare il territorio che era stato invaso all'inizio dello scorso mese. Il 25 novembre, poche ore dopo la loro ritirata, i trafficanti espulsi hanno ripreso il controllo della favela, uccidendo il leader della comunità reo di aver appoggiato l'occupazione dei paramilitari.
Dove sono maggiormente radicate, le milizie arrivano a controllare programmi statali d'assistenza come Bolsa-Familia (sussidio) e Vale-Gas (fornitura gratuita di bombole di gas). In alcuni casi viene imposto anche il coprifuoco: ad esclusione del sabato gli abitanti sono tenuti a non uscire di casa dopo le 22. Ai più giovani viene inoltre impedito di frequentare i bailes organizzati nelle altre favelas. In questo modo le dinamiche di controllo e sfruttamento imposte dai paramilitari risultano ancora più severe di quelle adottate dai trafficanti. La frustrazione degli abitanti è poi esasperata dalla presenza di membri effettivi delle forze della Polizia militare e civile tra le fila delle milizie: persone che ricevono un salario dallo Stato perché dovrebbero garantire il rispetto della legge.
Le invasioni dei paramilitari finora si erano concentrate nelle periferie della megalopoli, in particolare nella Zona ovest e a Jacarepaguá, dove delle 48 favelas disseminate nell'area soltanto la famosa Cidade de Deus non è ancora stata occupata dalle milizie. Sono in molti però a indicarla come prossimo obiettivo di conquista.
Proprio per scoraggiare l'avanzata verso quest'ultimo territorio e verso quello della Mangueira, alcuni tra i principali clan di narcos si sono riuniti, un evento senza precedenti nella cronaca degli ultimi anni, e hanno deciso di dare un segnale forte. Il bilancio parla di oltre 20 morti e decine di feriti, in gran parte civili.
Le vittime delle guerre per il controllo delle favelas e del traffico di droga sono soprattutto le nuove generazioni. In Brasile, secondo i dati diffusi dal Núcleo de Estudos da Violencia (Nev) dell'università di San Paolo, nel 87.6% dei casi di omicidio la vittima ha tra 15 e 19 anni. Teatro degli assassini sono essenzialmente le comunità più marginali del paese.
Un altro studio, del sociologo Waiselfisz, dimostra che le cause principali di morte dei giovani tra 15 e 24 anni sono ormai «cause esterne»: omicidi per il 39.7% e incidenti stradali per il 17.1%. Nella stessa fascia di età, il tasso di mortalità per arma da fuoco è di 43.1 per ogni 100000 giovani. Nell'ultima decade, il numero di omicidi è cresciuto del 5% annuo e il tasso più alto di crescita si è registrato proprio nella fascia di età compresa tra 14 e 16 anni. Con un tasso di 27 omicidi per ogni 100mila abitanti, il Brasile divide il podio nella classifica mondiale con Venezuela, Russia e Colombia. Considerando solo le morti tra i giovani il tasso è di 51.7 per ogni 100000, più basso soltanto di quello di Colombia e Venezuela.
Secondo i dati dello Instituto brasileiro de geografia e estatísticas (Ibge), Rio de Janeiro è la città dove vengono uccisi più giovani tra 15 e 24 anni: nel 2005 il tasso era di 227.4 morti per omicidio per ogni 100000 giovani, con una crescita del 1.1% rispetto al 2004 (quando erano 225).
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