Latina

Pinochet: cronaca di un delirio

C’è chi pensa che la morte sia stata più veloce della giustizia, chi (la maggioranza) avrebbe voluto vederlo sul banco degli imputati ascoltare una sentenza e chi semplicemente preferisce pensare che la morte non guarda in faccia a nessuno.
16 gennaio 2007
Fonte: www.direonline.it
"DireOnline", Rivista del Dipartimento di Ricerche Europee dell'Università di Genova.

Era il 10 dicembre del 1948: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”. È il 10 dicembre 2006, ormai riconosciuto a livello mondiale como il “Giorno Internazionale per i Diritti Umani”.
In Cile alle due del pomeriggio muore Augusto Pinochet. In alcune basi militari, senza aspettar alcun ordine da parte del governo si innalzano le bandiere a lutto. Per le strade del paese, lacrime e champagne scorrono e si scontrano con i gas e l’acqua dei blindati. Anche oggi centinaia di arresti.
Il 29 giugno del 1973, una parte dell’esercito capeggiata dal colonnello Souper attaccò la Moneda, ma venne respinta dall’esercito fedele al generale Prats: fu il cosiddetto Tanquetazo, i carri armati raggiunsero il palazzo presidenziale ma la risposta di Prats e Pinochet fu forte.
Proprio così, tra coloro che difesero le istituzioni vi era proprio Augusto Pinochet che già in quell’anno stava partecipando alle riunioni preparatorie del colpo di stato che lo avrebbe portato al potere nel mese di settembre. Nel pieno dell’inverno australe scoppia lo sciopero dei camionisti, cui seguì quello degli autobus e dei tassisti. Per un paese che si estende solo in lunghezza significò letteralmente la paralisi.
Per le opposizioni era facile addossare le colpe al governo di Allende e per gli Stati Uniti lo sciopero rappresentava la mossa vincente per mettere in ginocchio il paese. Dopo la richiesta delle sue dimissioni da parte delle opposizioni, Allende alla fine di agosto del ‘73 chiamò al governo altri quattro ministri militari: rispettivamente i comandanti dell’esercito, della marina, dell’aviazione e dei Carabineros. Pinochet prese il posto di Prats come Ministro della Guerra, mentre questi, proprio nello stesso giorno (23 Agosto), si dimise da capo dell’esercito e ministro della difesa. Con le dimissioni di Prats usciva di scena l’ultimo ostacolo al golpe.
25 novembre 2006, Pinochet compie 91 anni e la sua amata sposa legge il testamento politico dell’ex dittatore: “Hoy, cerca del final de mis días, quiero manifestar que no guardo rencor a nadie, que amo a mi patria por encima de todo y que asumo la responsabilidad política de todo lo obrado”. Poi accusa i gruppi civili di avere generato la violenza che lo ha spinto al golpe e prosegue affermando che “si después de 30 años, quienes provocaron el caos y el enfrentamiento se ha renovado y reisertado en un Estado de derecho, no cabe reclamar castigos para los que evitaron que se estendiera y profundizara”. Si tratta del famoso “cancro del comunismo”. Quello che molto chiaramente infastidiva Henry Kissinger (Nobel per la Pace) e tutta l’amministrazione statunitense: “I don't see why we need to stand by and watch a country go communist due to the irresponsibility of its people”. Proprio così, per gli Stati Uniti Allende aveva vinto le elezioni a causa dell’irresponabilità del popolo cileno.
Nell’ottobre del 1988 si celebra il referendum tanto atteso: il 55% del popolo cileno vota contro il perdurare della dittatura. Forse ancora per la propria irresponsabilità.
L’11 marzo 1990, Patricio Aylwin (candidato democristiano della Concertación) assume ufficialmente la carica di Presidente. Pinochet continuerà ad essere capo delle Forze Armate fino al marzo del 1998, quando diventerà Senatore a Vita.
Sette mesi dopo si trova a Londra, apparentemente per questioni di salute: Scotland Yard non ci pensa due volte e con la richiesta di arresto firmata dal giudice spagnolo Baltasar Garzón irrompe nella “London Clinic” e arresta il vecchio Pinochet. È il 16 ottobre 1998. Nell’ottobre 2005, il periodico satirico cileno “The Clinic” compie sette anni e li celebra con un bel numero tutto dedicato a “Pinocho” ma anche alle prossime elezioni.
È il dicembre 2005, la Concertación vince il primo turno. Michelle Bachelet, ex-ministro della difesa, è la candidata. Diventerà la prima presidente donna del Cile. Durante gli anni della dittutura le hanno ucciso il padre, il generale dell’areonautica Alberto Bachelet, l’hanno portata con la madre a Villa Grimaldi, il luogo di detenzione più tristemente famoso nella storia cilena e l’hanno poi costretta all’esilio europeo. Oggi il governo Bachelet non renderà omaggio a Pinochet con funerali di Stato. Tutto il mondo appoggia questa posizione ricordando il periodo oscuro della dittatura. Solo una vecchiettina, che si faceva chiamare “la dama di ferro”, esprime la sua tristezza per quell’uomo tutto d’un pezzo che tanto la aiutò in quella guerra assurda contro l’Argentina, per un pugno di isolette piene di pecore e poco più.
14 agosto del 2003: con una grande maggioranza il Parlamento argentino dichiara “insanablemente nulas” le leggi “Punto Final” e “Obediencia Debida”. Si apre così la possibilità di giudicare i delitti commessi durante l’ultima dittatura militare, tra il 1976 ed il 1983.
Il Cile, dopo 16 anni di democrazia, sta ancora aspettanto. In spagnolo aspettare si scrive “esperar” che significa anche “sperare”. Non si sa mai...
Nel 1974 Pinochet lanciò l’Operazione Condor, una stretta collaborazione tra le dittature del Cono Sud per estirpare il cancro del marxismo dal continente latinoamericano. Il 30 settembre di quell’anno cade la prima vittima illustre: è il generale Prats, comandante dell’esercito cileno durante il governo di Salvador Allende ed ultimo baluardo della legalità all’interno delle forze armate. Lo uccidono con la moglie a Buenos Aires.
Nel maggio del 2000 Pinochet viene imputato dalla giustizia argentina che richiede la sua estradizione. Era appena tornato da Londra dopo essere rimasto 503 giorni agli arresti nella London Clinic. Nel Regno Unito per il suo ottantatreesimo compleanno ricevette un bel regalo: tre Lords contro due si erano pronunciati contro la sua immunità. Per le strade della capitale scoppia la festa: gli immigrati cileni accompagnati da molti latinoamericani e compagni europei brindano alla notizia. Ma qualcuno volle cercare il pelo nell’uovo e la decisione della Camera dei Lords non viene più presa in considerazione. Pinochet aveva contestato la buona fede di uno dei giudici coinvolti nel caso, Lord Hoffmann, in stretti rapporti con Amnesty International, in prima fila nella campagna per l’incriminazione dell’ex dittatore. Lord Hoffmann si era dimenticato di dichiarare questa sua “vicinanza” alla cuasa dei diritti umani e così, cosa alquanto rara, la Camera dei Lords britannica torna su suoi passi ed istituisce una nuova commissione di cinque magistrati.
È facile capire come finì la storia. Il ministro degli Interni Jack Straw, spinto dalle innumerevoli pressioni cilene ed aiutato dall’indifferenza del governo Aznar, respinge la richiesta del magistrato spagnolo e lascia libero il generale alludendo al fatto che il vecchio col bastone non era in condizioni fisiche e mentali per affrontare un processo. Così per lo meno dichiararono i medici che lo visitarono.
Il due marzo del 2000 Pinochet atterra a Santiago e come per magia si alza dalla sedia a rotelle ed abbraccia con forza gli amici che sono venuti a riceverlo. C’è una gran folla e moltissime telecamere: la camminata del nuovo Lazzaro fa il giro del mondo. Chissà cosa pensò Jack Straw a vedere quel novantenne passeggiare e dimenarsi allegramente.
Per lo meno l’averlo dichiarato in non buone condizioni fisiche e mentali, spinge il guidice cileno Juan Guzmán a chiedere alla Corte d’Appello di Santiago di togliere a Pinochet l’immunità senatoriale. E così avvenne: l’8 agosto del 2000 la Corte Suprema Cilena gli toglie l’immunità. Il procedimento per la cosiddetta «Carovana della Morte» può così iniziare.
La Carovana fu il primo legame diretto di Pinochet con la violazione dei diritti umani durante il suo regime. Lo squadrone militare guidato dal generale Arellano Stark, appena un mese dopo il golpe nell’ottobre del 1973, intraprese un viaggio per diverse regioni del paese alla caccia di oppositori poltici e con licenza di uccidere.
Il 13 ottobre del 1981 Pinochet dichiara: “No se mueve ninguna hoja en este país si no la estoy moviendo yo, que quede claro” (in questo paese non si muove una foglia se non la muovo io, che sia chiaro)... chiarissimo.
Il primo dicembre del 2000 comincia il processo, il 29 gennaio 2001 Juan Guzmán ordina gli arresti domiciliari. L’8 marzo la Corte d’Appello conferma il procedimento ma la parola “autore” viene cambiata con quella di “encubridor”, ossia che Pinochet avrebbe solamente coperto i fatti. Le foglie, quindi, si sarebbero mosse da sole o per opera d’altri. Nel luglio dello stesso anno la Corte Suprema chiude il procedimento adducendo alla “demencia vascular moderada” riscontrata da un altro incredibile pool di medici. Vorrei proprio sapere se esiste al mondo un novantenne al quale non si riscontri una “moderata insufficienza vascolare”... Per fortuna il 27 novembre di quest’anno il giudice Víctor Montiglio ordina gli arresti domiciliari per l’ex dittatore, come presunto autore dei crimini della carovana.
Nel novembre del 2002 la Corte Suprema Cilena rifiuta la richiesta argentina d’estradizione basandosi sulla “demencia incurable” dell’ex dittatore, aprendo però una nuova investigazione. Ma il pesce d’aprile arrivò puntuale: il 1 aprile del 2005 il caso passa in prescrizione.
Una “demencia incurable”... queste parole mi fanno pensare. “Demencia” in italiano non ha solo il significato che ci si può immaginare a prima lettura, ma rileggendo alcune sue dichiarazioni non posso non sorridere. Il due luglio del 1987 affermava: “Yo los estoy viendo desde arriba porque Dios me puso ahí, la providencia, el destino, como quieran llamarlo, me ha puesto ahí” (Io vi sto guardando dall’alto, perchè Dio mi ha messo lì, la provvidenza, il destino, come volete chiamarlo, mi ha messo lì)... forse la Corte Suprema aveva ragione. Incurabile.
Ogni giovedì sera i familiari ed amici dei desaparecidos del luogo di detenzione e tortura di calle Londres 38, nel pieno centro di Santiago, si riuniscono. Occupano la piccola strada, poco frequentata e ci riportano indietro cogli anni. Anche il numero civico del palazzo torna ad essere quello di un tempo. Il 38 e non il 40 come appare adesso... pessimo tentativo di ristrutturazione urbanistica che cercò di far dimenticare quel luogo.
Si tratta del “collettivo 119”... centodiciannove sono i desaparecidos di questo centro di tortura. Ogni giovedì sera si accendono candele, si ascolta la voce dei più anziani ma anche dei giovani d’oggi. Si ascoltano le note dei cantori del “Sindicato de Cantores Urbanos de Chile” e le testimonianze di chi è ancora vivo e lotta per ricordare chi “forse” non lo è più.
L’ “Operazione Colombo” fu organizzata dalla DINA (Dirección Nacional de Inteligencia) nel 1975 per far credere alla stampa di tutto il mondo che quelle 119 sparizioni (quasi tutti militanti del MIR, Movimiento de Izquierda Revolucionaria) in realtà non era altro che una resa dei conti all’interno dello stesso gruppo. Il 7 febbraio del 2005 il giudice Juán Guazmán processa a due ex ministri degli interni della giunta militare: l’ex generale César Raúl Benavides Escobar e l’ex generale Enrique Montero Marx.
Soltanto un mese prima erano finiti agli arresti domiciliari: i generali in riposo Manuel Contreras e César Manríquez (ex sottosegretario di guerra); i brigadieri Pedro Espinoza e Miguel Krassnoff; il coronnello Marcelo Moren Brito; l’ex gendarme Orlando Manzo Durán; il sottuficiale Basclay Zapata; il colonnello dei Carabinieri Conrado Pacheco Cárdenas; il maggiore in riposo Maximiliano Ferrer Lima e l’agente Osvaldo Romo Mena. Questi si sommarono ad altri 16 agenti processati nel settembre del 2004, sempre da Guzmán per il caso “Colombo”.
Il 6 luglio del 2005 Pinochet, per la quinta volta, perde il privilegio senatoriale e può essere giudicato, ma arriva ancora una brutta notizia. Il 15 settembre dello stesso anno il caso passa in prescrizione. Tuttavia dopo nuovi esami che lo dichiarano “mentalmente adatto per un processo” il caso si riapre per tre delle vittime della stessa operazione. Tuttavia il 9 gennaio 2006 tutto si conclude con la libertà condizionata sotto cauzione.
Proprio nella sera dell’11 settembre del 1973 i comandanti delle tre forze armate ed il comandante dei carabinieri promulgarono il Decreto Legge Nº1 che dava vita alla Giunta di Governo, formata dai generali delle differenti forze armate; in seguito, con il decreto legge Nº527 Pinochet sarebbe diventato Jefe Supremo de la Nación e il 18 dicembre 1974, in conformità al decreto legge Nº 807, Presidente della Repubblica. Il fatto che nello stesso decreto legge si stabilisse “el respeto a la Constitución en la medida en que las circumstancias lo permitan”, chiarisce già come la repressione in Cile sarebbe stata una repressione sistematica e generalizzata, volta a smantellare l’ordine precedentemente stabilito e ad instaurare un nuovo ordine istituzionale. Non a caso lo stato d’emergenza, che di fatto aboliva qualsiasi diritto politico e civile, sarebbe restato in vigore fino alla nuova Costituzione, cioè per ben sette anni.
Il 9 febbraio del 1991 la Commissione Nazionale di Verità e Riconciliazione, creata il 25 aprile dell’anno precedente, rende pubblico il cosiddetto “Rapporto Rettig” dal nome del presidente della commissione il giurista Raúl Rettig Guissen: il rapporto descrive dettagliatamente 2.279 casi di violenza, 164 casi classificati come violenza politica e 2.115 come violazioni dei diritti umani.
In totale in Cile, nel periodo 1973-1990 sono state accertate 3.197 morti, 2.774 per violazioni dei diritti umani e 423 per vilenza politica. È incredibile pensare che ancora nel 1990 siano morte cinque persone.
Secondo delle registrazioni delle comunicazioni militari captate durante il giorno del colpo di stato, lo stesso Pinochet disse, riferendosi a prigionieri: “La opinión mía es que estos caballeros se toman y se mandan por avión a cualquier parte, e incluso por el camino los van tirando abajo”...
La sala della memoria all’interno della Villa Grimaldi, ora Parco della Memoria, racchiude vari oggetti e foto raccolti dai familiari di diversi desaparecidos, come Marta Ugarte Román. Questa ragazza, come tutti i cadaveri dei prigionieri della villa, venne gettata a mare, ma il suo corpo, per strane forze della natura, si slegò dal peso delle pietre e dai pezzi di binari utilizzati per affondarlo. Tornato a galla, venne rinvenuto su una spiaggia da alcuni pescatori che normalmente ne dichiararono il ritrovamento ai carabinieri. Perfino dopo questo ritrovamento il suo corpo scomparve. Scomparso due volte. Dopo questo caso i voli della morte si spinsero molto più al largo e non ai due o tre chilometri dalla costa come fu inizialmente. Quanto ancora al largo si possono spingere l’inciviltà e la barbarie umane?
Mi piacerebbe scambiare due chiacchiere oggi con Rodrigo del Valle, presidente della Coorporación Villa Grimaldi… anche lui rimase desaparecido, per ben 56 giorni, ma poi riuscì a salvarsi. Quando lo conobbi, mi chiesi come potesse lavorare tra quelle mura che per due settimane l’hanno visto soffrire e magari sperare nella più rapida delle morti.
Il 30 ottobre 2006 Pinochet è agli arresti domiciliari per i sequestri, le sparizioni, le torture e un omicidio nel quadro dei crimini commessi nella Villa Grimaldi. L’8 novembre la Corte d’Appello concede la libertà provvisoria, ma conferma una settimana dopo il processo a Pinochet come “autore” dei suddetti crimini.
Nel frattempo, come ogni commedia che si rispetti, arriva il finale alla “Capone”: nel luglio del 2004 una sottocommissione del Senato degli Stati Uniti rivela che il banco statunitense Riggs aiutò la famiglia Pinochet a nascondere dai 4 agli 8 milioni di dollari. Il giudice Sergio Muñoz comincia subito le indagini. Il 27 gennaio 2005 il banco Riggs è dichiarato colpevole d’aver occultato 10 milioni di dollari.
23 gennaio 2006: la sposa, quattro dei cinque figli ed una nuora vengono processati per “delitto tributario” e messi agli arresti domiciliari per un’evasione fiscale di più di 3.500 milioni di pesos. Torneranno in libertà dopo il pagamento della cauzione. Il diciotto agosto di quest’anno ancora una volta gli viene tolto il privilegio senatoriale per essere processato dopo la scoperta di ingenti conti segreti all’estero, soprattutto Hong Kong e Svizzera. Il 25 ottobre il governo annuncia che ci sono più di novemila kili d’oro (160 milioni di dollari, 127 milioni di euro) in un banco di Hong Kong, che appartengono a Pinochet, anche se le autorità della banca smentiscono. Nel delirio più totale, il suo avvocato difensore afferma che l’unico oro di proprietà dell’ex dittatore è la fede nuziale.
Adesso si capisce quali erano le reali intenzioni della sua permanenza a Londra: traffici. Il 14 novembre di quest’anno Pinochet non risponde all’interrogatorio del giudice spagnolo Garzón che sta investigando i movimenti di denaro effettuati durante la sua detenzione a Londra.
La cronaca potrebbe essere molto più dettagliata, il delirio molto più profondo, ma non credo che servirebbe a molto. C’è chi pensa che la morte sia stata più veloce della giustizia, chi (la maggioranza) avrebbe voluto vederlo sul banco degli imputati ascoltare una sentenza e chi semplicemente preferisce pensare che la morte non guarda in faccia a nessuno.
A me piace pensare ai compagni cileni che come nell’ormai lontano 5 ottobre 1988, sono scesi per le strade per manifestare la propria gioia: si è chiusa definitivamente un’era, “esperamos” che si chiudano molti altri capitoli lasciati aperti della giunta e che ancora sopravvivono in questa ormai diciasettenne democrazia.

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