Colombia, onorevoli col mitra
Altri sei senatori sono finiti ieri nel carcere La Picota della capitale colombiana per paramilitarismo. Tra questi (ammanettato al tavolo di un ristorante italiano di un centro commerciale nella zona nord di Bogotà) c'è Alvaro Araújo, fondatore di "Alas-Equipo Colombia", uno dei movimenti che appoggiano il presidente Uribe, ma soprattutto fratello della ministra degli esteri María Consuelo Araújo. Le brutte notizie per quest'ultima non finiscono qua, visto che la Corte Suprema di Giustizia ha chiesto alla Fiscalìa (la magistratura in-quirente) di iniziare un procedimento giudiziario contro suo padre, Araujo Noguera, ex senatore ed ex ministro dell'Agricoltura, per avere partecipato al sequestro di un candidato di opposizione alla presidenza della regione settentrionale del César. Il crollo di una delle più potenti famiglie oligarchiche colombiane, il cui potere si è consolidato in questi anni grazie alla collaborazione con i mafiosi paramilitari, colpisce direttamente Uribe. Prima di tutto perchè il presidente ha sempre difeso il cancelliere, soprannominata «La Conchi», che più voci assicurano sia anche la sua amante (ma che, da oggi, appare destinata ad essere sacrificata, per un problema etico e d'immagine internazionale della Colombia). E poi perchè. già a dicembre, quando fu per la prima volta accusato formalmente di paramilitarismo, il giovane Alvaro Araújo disse chiaro e tondo che, se fosse finito in galera, pur di salvarsi avrebbe coinvolto tutti i suoi amici, a cominciare dallo stesso Uribe. Con gli arresti di ieri, la Corte Suprema ha dimostrato di voler sfidare non solo il governo, ma anche le cosiddette «forze oscure» che hanno già minacciato di morte uno dei suoi componenti, il giudice Yesid Ramirez.
Lo scandalo della «para-politica», che aveva conosciuto una pausa durante le lunghe vacanze natalizie, è tornato a far tremare non solo il Congresso, dove i paramilitari conterebbero, per loro stessa ammissione, su quasi cento esponenti, ma la stessa Casa Nariño, il palazzo presidenziale. Tutti gli arrestati di ieri fanno infatti parte della coalizione di governo (come Alas-Equipo Colombia, Colombia Viva, Convergencia Ciudadana, Partito Conservatore, o partito della «U»). Mentre Uribe ha preferito non commentare la decisione dei giudici della Corte, il suo grande oppositore, il senatore del Polo Democratico Gustavo Petro, ha definito gli arrestati dei «terroristi in borghese», prevendendo che le prossime elezioni amministrative di ottobre possano alimentare ancora di più «la conquista mafiosa del potere pubblico». Nonostante la reclusione dei maggiori leader delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), i paramilitari (molti dei quali appaiono da mesi raggruppati per lo più sotto la nuova sigla di «Aguilas Negras») continuano a mantenere il controllo di una buona parte delle regioni colombiane, funzionando, oltre che da alleati insostituibili delle Forze Armate colombiane nella loro pratica di «guerra di bassa intensità» ( o più correttamente «sporca»), anche da squadracce al servizio dei vari capi clan politici. E continuano impunemente ad eliminare i principali testimoni dei processi contro i paras. Senza realizzare più i clamorosi massacri che diventarono quasi un'agghiacciante abitudine negli anni Novanta, ma con omicidi selettivi o, meglio ancora, utilizzando il crimine tipicamente latinoamericano della sparizione forzata. Sempre però «alla colombiana», per non dare nell'occhio, con uno stillicidio quotidiano che, secondo i dati ufficiali forniti nei giorni scorsi dalla Commissione colombiana dei giuristi, ha provocato nel 2006 quasi ottomila desaparecidos.
Se dalla parte di Uribe (sia tra i suoi amici in giacca e cravatta, che in quelli in uniforme o tuta mimetica) il quadro non è roseo, altrettanto si può dire riguardo le forze guerrigliere delle Farc e dell'Eln che, in più di una regione, si stanno da mesi combattendo furiosamente con un bilancio ufficioso di varie centinaia di vittime. All'origine di quest'ulteriore bagno di sangue ci sono questioni di egemonia territoriale e di spartizione delle risorse locali (a cominciare dalle tangenti sui traffici di droga), ma anche differenti strategie politiche (l'Eln sta portando avanti una vuota trattativa con il governo, che sembra il preludio di una sua resa). Inutili finora gli appelli al «cessate il fuoco». Come al solito, o come quasi sempre, dalla Colombia non arrivano buone notizie.
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