"TraSudamerica: un viaggio tra identità e cooperazione in America Latina"
La religione come strumento di potere della Chiesa ufficiale, il ruolo della Teologia della Liberazione, e la "primavera democratica" dell'America Latina sono stati gli argomenti affrontati da Frei Betto e dal docente universitario Antonio Melis nel corso di "Trasudamerica – Un viaggio tra identità e cooperazione in America Latina", l'annuale convegno organizzato a Siena dall'Associazione Amici del Guatemala e da Mani Tese (in collaborazione con l'Assessorato alla Pace e alla Cooperazione Internazionale del Comune) giunto alla quinta edizione.
Frei Betto ha inizialmente parlato del caso Jon Sobrino, il teologo gesuita di El Salvador condannato dal Vaticano e al quale lo stesso Frei Betto ha dedicato un'appassionata difesa nel suo recente articolo significativamente intitolato "Ombre dell'inquisizione".
A questo proposito Frei Betto ha rivendicato il diritto dell'America Latina a veder riconosciuta una propria teologia, quella della liberazione, che trova le sue radici e la sua forza nelle comunità ecclesiali di base composte principalmente dalle fasce sociali più povere del continente centro e sudamericano. In realtà la posizione ufficiale della Chiesa è stata sempre molto ostile alla Teologia della Liberazione, basti pensare alla Conferenza di Puebla del 1979, "quando il cardinal Lopez Trujllo – ricorda Frei Betto –"dichiarò apertamente che era necessario distruggerla: a quei tempi furono Boff e Gutierrez a subire le condanne vaticane, adesso invece è la volta di Sobrino".
Frei Betto coglie l'occasione per chiedere alla Chiesa un cambio di collocazione sociale, specialmente in America Latina, dove invece le ingerenze vaticane, unite a quelle statunitensi, sono ancora molteplici. Parla del continente partendo da una accorata difesa di Cuba, il paese dove maggiormente si cerca di difendere la vita nonostante un embargo ormai anacronistico. "In teoria la democrazia dovrebbe portare la giustizia", spiega Frei Betto, "ma non si può definire democratico un paese solo perché ogni certo numero di anni si vota". E qui il pensiero corre a tanti paesi sudamericani dove in effetti si svolgono libere elezioni, ma nei fatti si perpetua sempre lo stesso sistema di potere senza alcuna speranza di cambiamento. Il titolo dell'incontro, "La vecchia Europa alla scuola dell'America Latina", fornisce a Frei Betto l'assist per sottolineare il diverso concetto di democrazia che abbiamo noi in Europa rispetto alla concezione del termine sviluppatasi in Sudamerica. La democrazia sudamericana secondo Frei Betto passa attraverso la cosiddetta "primavera democratica latinoamericana" condotta dai governi popolari di Lula, Chavez, Correa, Morales, Ortega, Vasquez, Kirchner (pur con tutte le differenze e i distinguo del caso): senza il loro arrivo al governo tramite regolari elezioni probabilmente in molti paesi del continente sarebbe ancora presente la lotta armata, e questo l'Europa stenta talmente a capirlo che i mezzi di informazione e l'opinione pubblica continuano a definire questi presidenti nel migliore dei casi come populisti. Per spiegare meglio questo concetto Frei Betto porta ancora ad esempio Cuba: la rivoluzione cubana è stata principalmente una sollevazione volta a creare le condizioni di una liberazione nazionale, un po' come adesso sta facendo Chavez in Venezuela: in entrambi i casi si tratta di una mobilitazione volta a difendersi dalla teoria statunitense sull'America Latina come il "cortile di casa".
La speranza di raggiungere pace e giustizia in America Latina passa attraverso un cammino alternativo a quello neoliberista, che non ha funzionato ma tenta comunque di mantenere la vecchia oligarchia al governo (si pensi, solo per citare due esempi, all'alternanza in Venezuela tra socialisti e democristiani prima dell'avvento di Chavez, o al Pri per 70 anni al potere in Messico). Inoltre, rileva con amarezza Betto, i popoli latinoamericani non hanno mai ricevuto la solidarietà e l'appoggio dei paesi più ricchi del mondo, e il recente viaggio di Bush in Sudamerica aveva principalmente lo scopo di imporre un chiaro indirizzo ai paesi visitati, cioè l'immediato allontanamento dal contagio bolivariano e venezuelano.
In America Latina, prosegue ancora Frei Betto, è presente una forma di schiavitù moderna, ed è quella dei campesinos espulsi dalle loro terre, oppure costretti a lavorare in situazioni disumane nelle piantagioni delle grandi imprese multinazionali. Nonostante il governo Lula sia riuscito lo scorso anno a liberare settemila contadini dalla condizione di schiavitù, le enormi disuguaglianze sociali permangono in tutto il continente: solo in Brasile ci sono 120 milioni di persone che vivono sotto il livello di povertà, mentre l'altra faccia della medaglia è la stabilità economica creata dal neoliberismo soltanto per il 20% della popolazione mondiale, che abita in Europa, Canada e Stati Uniti.
"Il sogno del neoliberismo è quello di chiudere gli orizzonti di speranza in un altro mondo possibile", rileva Frei Betto, "e inculcare nelle menti della gente l'idea che il mondo sarà sempre così senza alcuna possibilità di cambiamento, e che quindi non vale la pena lottare, ma ciascuno deve riuscire a ritagliarsi il suo posto al sole e di cambiare questo modello criminale in Europa non se ne parla".
La riflessione di Frei Betto sul Sudamerica non può non affrontare il suo Brasile e la delusione, diffusa sia tra i movimenti popolari latinoamericani che tra quelli europei, per l'andamento del governo Lula. "Nonostante il presidente Lula abbia maturato un'esperienza sindacale e sociale lunga trent'anni, in occasione della sua candidatura aveva garantito che avrebbe rispettato gli impegni presi con gli Stati Uniti, il Fondo Monetario e la finanza internazionale: molti pensavano che fossero dichiarazioni tattiche volte a conquistare il ceto medio e a vincere le elezioni, invece ha effettivamente seguito questa strada", sottolinea Frei Betto, che durante il primo periodo del mandato iniziale di Lula si era occupato per conto del Governo del Programma Fame Zero.
Il primo mandato di Lula, prosegue Frei Betto, è stato per certi versi schizofrenico: da un lato ha condotto una politica economica neoliberale, dall'altro una politica sociale progressista.
Anche sulla politica sociale però Frei Betto puntualizza il suo pensiero, facendo notare come nessun governo fino a quel momento si era interessato seriamente di welfare, e quindi facendo un paragone sembra che il governo Lula abbia fatto dei passi da gigante. In realtà Frei Betto motiva così le sue perplessità verso il Programma Bolsa Familha: è vero che molte famiglie ne hanno tratto beneficio, ma secondo lui sarebbe meglio che prima o poi potessero raggiungere l'indipendenza dal potere pubblico, e per questo giudica la politica sociale di Lula principalmente assistenzialista.
Nonostante il governo non sia intenzionato a promuovere la riforma agraria, Frei Betto è comunque convinto che il Brasile sia senza dubbio migliore con Lula che senza. Questo però non significa che sia troppo ottimista sul futuro del suo paese: Frei Betto prevede che in questo secondo mandato Lula avrà le mani ancor più legate che nel primo, soprattutto per il suo timore verso le politiche della Casa Bianca. "E' stato eletto per portare a termine dei cambiamenti strutturali, ma gli manca una visione strategica del paese per cui non è chiaro che tipo di Brasile vuole", è il principale appunto rivolto in conclusione di conferenza da Frei Betto al presidente, ma non manca però di sottolineare la sua disponibilità al dialogo con i movimenti popolari, quasi sconosciuta sotto i governi precedenti che non avevano scrupoli nell'utilizzare in modo massiccio la polizia contro di loro.
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