Quando la musica si innamora del Chiapas
Una tanica piena di poca acqua potabile trasformata in batteria. Suoni acquosi, tonfi da stagno, gorgoglii della foresta. E' una delle immagini impresse nelle teste della Bandabardò che ha partecipato a una carovana di Ya Basta Genova nella zona Altos e Nord del Chiapas. «È stata un'esperienza così forte che va ancora digerita - dice Enrico Greppi, in arte Erriquez, voce e chitarra acustica (di solito) della Banda - L'aspetto musicale è stato pazzesco, casse ammonticchiate qua e là, interventi acustici, a volte una cassa che andava e l'altra no e una partecipazione calda che ti arrivava sul palco con quei messicani bendati che facevano il trenino come fossimo al Club Mediteraneè e altre volte persone molto distanti specie nell'ultimo caracol, a Roberto Barrios».
Un Chiapas sconosciuto sino a poco tempo fa. Una prima assoluta per la Banda: «Siamo andati con l'idea di trovare un fenomeno militare di estrema sinistra come risposta alle pressioni di un governo centrale e invece di militare non c'è niente - dice sempre Erriquez - Prima di tutto ho scoperto, e sono uno dei più scioccati, che gli zapatisti ci tengono alla loro messicanità. Di quel Messico che li ha stuprati, allontanati dai loro cari e dalle loro terre, questi ti cantano l'inno all'inizio della giornata e con la mano sul cuore, come la pazienza fosse l'arma migliore, in questo sono davvero un popolo antico. E tu gli dici: "come mai non tirate fuori le unghie?". E quelli ti rispondono siamo noi che facciamo la vita giusta, sono gli altri che sbagliano».
Come il cantante reggae Generale, il cantante dei Gardenhouse El V o i Bomba Bomba (leggete Alias di sabato scorso pagina 11-13), anche Bandabardò è entrata nella rivoluzione testarda degli indigeni del Chiapas. Rivoluzione sempre alla prova: «La novità di questi mesi sono i gruppi paramilitari di indigeni che tentano di minare le basi d'appoggio alla rivolta zapatista - raccontano Simone e Chiara di Ya Basta Genova che seguono da anni le evoluzioni in Chiapas - Poi ci sono delle organizzazioni con nomi subdoli come Unione regionale contadina indigena o Organizzazione per la difesa dei diritti degli indigeni e dei contadini che si fanno assegnare le terre. Intanto continuano gli espropri delle proprietà collettive zapatiste, case bruciate, terreni occupati che vengono rivenduti alle multinazionali che ne sfrutteranno l'acqua, il legno, la biodiversità o ne faranno delle riserve turistiche».
La carovana in due settimane ha visitato le scuole zapatiste organizzate dalla Giunta del buon governo e sostenute dal progetto Semillita del sol di Ya Basta e ha visitato i caracoles di Oventic, Roberto Barrios e il campo profughi di Polhò, passando dallo tzotzil al chol e utilizzando nelle more l'itagnolo, un mix di italiano e spagnolo.
I sei della Banda (oltre a Erriquez c'erano anche Cantax, Nuto, Orla, Donbachi e Finaz) hanno imparato a leggere negli occhi e nei corpi la gioia o le emozioni provocate da una Bella ciao tradotta in castigliano. Una delle emozioni più forti a Ciol do Tumbalà, un terreno strappato al latifondo e rioccupato recentemente dagli zapatisti: «Una donna ci ha portato una coperta su cui aveva ricamato: "l'unico errore che non faremmo se potessimo tornare indietro è il sovradimensionamento mediatico della figura di Marcos"». Per la Bandabardò il Chiapas diventa ora un impegno collettivo e costante: «Vogliamo dedicare un certo tempo al progetto di alfabetizzazione con i nostri concerti e altre iniziative», conclude Erriquez.
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