Latina

Cile, un anno di “governo dei cittadini”

Un anno fa, nell’atteso discorso d'insediamento Michelle lanciava l’idea del “gobierno ciudadano”, il governo dei cittadini, di tutti i cittadini e per tutti i cittadini.
28 maggio 2007

È trascorso un anno da quando Michelle è diventata la prima presidente donna del Cile e da quell’ormai incredibilmente lontano 11 marzo 2006 il paese ne ha vissuto di cotte e di crude.
Terra di importanti sperimentazioni sociali come il poder popular di Allende e di selvagge politiche neoliberali soprattutto durante gli anni della dittatura ma anche in seguito, il “peperoncino” latinoamericano ha presto assunto l’aspetto di un giaguaro primeggiando nello “sviluppo” economico e lasciandosi indietro il resto dei paesi del continente.
Ma quel giaguaro che oggigiorno guarda sempre agli Stati Uniti ed all’Europa, senza disdegnare però la relativa vicinanza alla Cina, ha cambiato volto. O meglio, è chi sta sotto i suoi artigli che ha cominciato a cambiar volto, espressione. “Con la democrazia è cambiato molto – mi ricordava Hernán Báez, ormai ex presidente del Sindacato dei Cantori Urbani del Cile – Per i primi 7, 8 anni la gente che prendeva l’autobus si distingueva per due face: una di chi si beveva il racconto dei “giaguari”, e l’altra era l’impersonificazione della povertà. Ogni giorno sul volto delle persone si rifletteva ciò che stava succedendo nella società, come gruppo ma anche come insieme di individui […] oggi la faccia più comune è quella di una persona che ha paura di perdere il lavoro... l’altra è quella di chi ha paura per la propria messa in guardia da mezzi di comunicazione che non fanno altro che venderti una realtà fatta di omicidi, furti, incidenti”.
E di questi cambiamenti la Concertación, la coalizione di centro sinistra che governa in Cile dal 1990, sembra essersene accorta proprio un anno fa, tanto che nell’atteso discorso di insediamento Michelle lanciava l’idea del “gobierno ciudadano”, il governo dei cittadini, di tutti i cittadini e per tutti i cittadini. L’idea però lasciava perplessi molti componenti della sua stessa coalizione, che fino all’ultimo tentarono di metterla da parte, presentando addirittura altri sei possibili candidati. Ma la scelta dei cittadini cominciò a farsi sentire e la figura di una ex torturata ed esiliata riempiva i cuori e le speranze della gente, quella gente da lei stessa chiamata a cambiare le sorti del paese.
Certo che all’inizio la presidente non pensava che l’avrebbero presa tanto sul serio, ma col tempo dovette arrendersi ai fatti.
Soltanto un mese dopo l’insediamento, le 1800 famiglie della toma di Peñalolen (la più grande baraccopoli di tutti i tempi in Cile) vedono realizzarsi un sogno, o meglio un diritto: quello alla casa. Un diritto per il quale dal 1999, da quando iniziò l’occupazione di una zona inutilizzata di 24 ettari nel quartiere di Peñalolen, hanno lottato tutti: anziani, donne, uomini e bambini, cileni, boliviani, peruviani, argentini, accomunati da un’esigenza propria e naturale dell’uomo, quella di vivere dignitosamente al ripario dalle intemperie. “Qui puoi trovare il vero giaguaro dell’America Latina, è il Chile Chico che lavora e costruisce piano piano la sua dignitosa dimora”, sono le parole di Ana Puebla, ex presidente del Comité Esperanza II uno dei tanti comitati nei quali venivano rappresentate le 14.000 persone che vivevano nella toma. “Ce ne andremo solo quando questo terreno diventerà il polmone verde del quartiere: il Parque de Peñalolen”, gridavano con forza Ana e gli altri abitanti della baraccopoli, e dopo anni di lotte e dialoghi con le amministrazioni locali l’accordo è stato preso. Le nuove case, che purtroppo lasciando ancora molto a desiderare, sono state costruite e le famiglie si sono già insediate e per quanto riguarda il parco l’accordo è già stato firmato. Ora bisogna soltanto aspettare che i lavori portino a termine un grande progetto cittadino, pensato, disegnato e sudato soprattutto dai cittadini. Il 12 aprile 2006 le 1800 famiglie lasciarono la toma.
Nel frattempo si riaccendono le proteste degli indios mapuche: la speranza di una riforma agraria promessa da Allende per le terre del Bio-Bio, svanì ben presto sotto le ali del condor. E con essa svanirono le poche possibilità di riconoscere ai mapuche quei diritti che in teoria vengono riconosciuti a tutti i cileni. Del resto c’è chi continuerà ad affermare che “in Cile non ci sono indios, ma solo cileni”. Il 28 aprile 2006 l’allora ministro degli interni Zaldivar Larrain promise che la Legge Antiterrorista (dettata da Pinochet, nel 1984 per rispondere ai gruppi politici armati di sinistra) non sarebbe più stata applicata contro la popolazione mapuche. Rodolfo Stavenhagen, Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e le libertà fondamentali dei popoli indigeni, chiese al Governo Cileno ed alla Presidente Michelle Bachelet di cercare un accordo aprendo un dialogo che una volta per tutte dia risposta alle legittime rivendicazioni del popolo mapuche. Un appello che è arrivato anche dal Presidente Boliviano Evo Morales che, un giorno prima dell’insediamento della Bachelet durante l’incontro con i movimenti sociali cileni ed i movimenti indegeni aymara e mapuche, aveva richiamato l’attenzione della stampa internazionale presente su un problema spesso dimenticato ma molto importante: “Perchè ci sono dirigenti indigeni detenuti? tutti abbiamo il diritto di lottare per la nostra libertà e la nostra indipendenza […] Io ho molta fiducia, chi libererà l’America Latina saranno i movimenti sociali ed i movimenti indigeni, insieme agli intellettuali, i professionisti, gli operai, gli studenti e le donne”. In Bolivia il cambio è avvenuto ed i lineamenti dello stesso presidente lo dimostrano: ed è un cambio che ha visto come protagonisti soprattutto i popoli indigeni originari, “proprietari assoluti della nostra nobile terra”, ma storicamente emarginati, esclusi, umiliati, odiati, disprezzati, condannati all’estinzione ed addirittura, dopo l’11 settembre del 2001, accusati di terrorismo, da parte “di quella che chiamano Casa Bianca”.
La situazione cilena è completamente differente, non c’è una presenza di indigeni tale da favorire un decisivo protagonismo delle loro comunità nel cambiamento politico e sociale dell’intera società cilena, ma non c’è dubbio che un “gobierno ciudadano” non può non rispondere alle loro richieste. Mentre invece, pur continuando gli scioperi della fame dei detenuti mapuche, il governo Bachelet ha finora taciuto, preferendo non disturbare gli interessi delle grandi imprese forestali.
Arriva il primo maggio e con esso i primi scontri tra carabineros e encapuchados, soprattutto giovani, cresciuti in un sistema apparentemente democratico che in nome della transizione pacifica ha lasciato intendere che autorganizzarsi non era più necessario, che la libertà e la giustizia erano ormai giunte, anche in Cile. Ma non era proprio così…
Passa una settimana ed un altro importante attore sociale si sveglia, o forse sarebbe meglio dire si risveglia: lo studente secondario, il cittadino del futuro, ma ormai in Cile sicuramente del presente.
Dopo le manifestazioni degli anni ottanta, grazie alle quali gli studenti hanno spronato tutta la società nella lotta contro il dittatore, il gran movimento nato l’anno scorso ha saputo richiamare l’attenzione di tutti i cittadini sull’educazione nel paese con l’obiettivo generale di cambiare un sistema educativo che, come quello economico, non ha fatto altro che aumentare estremamente le enormi disuguaglianze sociali già ben presenti ed evidenti. Il Cile continua ad essere il paese numero 13 nel mondo per divario tra ricchi e poveri. In America Latina lo precedono solo Bolivia (7), Haiti (8), Colombia (9), Brasile (10) e Paraguay (12).
La presidente non solo si è vista obbligata ad aumentare considerevolmente (ma viste le ricchezze del paese non ancora abbastanza) il budget per l’educazione, risolvendo in questo modo almeno in parte le richieste contingenti per gli studenti più poveri del paese, ma ha dovuto anche rispondere all’esigenza di cambio politico che studenti, professori e genitori richiedevano a gran voce.
Il progetto che stabilisce la “Legge Generale sull’Educazione”, presentato dal Governo il 9 aprile del 2007, risponde a questa esigenza cittadina. Pur rimanendo un progetto ancora molto incompleto, costituisce senz’altro un passo in avanti: “il primo requisito – si afferma – per alzare la qualità dell’educazione nazionale è risolvere il grave problema di mancanza di equità, il problema delle discriminazioni arbitrarie e la segmentazione che sopravvivevano all’interno del sistema educativo”.
Come un passo in avanti è senza dubbio quello che sostituisce la parola “insegnamento” con “educazione”, sottolineando la centralità ed il valore dell’educazione che Pinochet riuscì a eliminare con la LOCE, Legge Organica Costituzionale dell’Insegnamento, che privilegiando la libertà d’insegnamento sul diritto ad un’educazione di qualità, trasformò l’educazione in un qualsiasi settore dell’economia cilena. Aprire una scuola era diventato come aprire un’impresa, ed un posto in classe uno dei tanti prodotti da vendere al popolo cileno.
Le cose stanno cambiando ed il merito è proprio dei cittadini, anche i più giovani, che hanno capito l’importanza del loro ruolo nella società. Le lotte dei pinguini continuarono durante tutto l’inverno australe, ed oltre. Nessuno si sarebbe aspettato che le proteste di un piccolo liceo nel sud del paese (che come tutti gli anni con l’arrivo delle piogge si trasformava in un lago d’acqua costringendo gli alunni a sedersi sui banchi e non sulle sedie) avrebbero richiamato l’attenzione di quasi tutti i licei del paese, privati compresi; quelle gocce di pioggia si sarebbero presto convertite in un fiume in piena che costrinse il governo alla prima vera e propria crisi ed al primo rimpasto di governo.
Mentre si avvicina la primavera l’inverno sprigiona un calore sempre vivo: è quello delle organizzazioni dei diritti umani che non dimenticano ed ancora vogliono giustizia. Ed ecco allora che per le strade del centro si ritrovano un migliaio di persone cantanti, danzanti ma con le lacrime agli occhi, perché finalmente è stata smascherata l’identità del torturatore ed assassino di Victor Jara, il più celebre cantautore cileno, al quale furono tagliate la lingua e le dita in segno di disprezzo per la sua musica ribelle.
E non importa se questa “persona” ricopre una carica pubblica al Ministero del Lavoro, donde no hay justicia hay FUNA, dove non arriva la giustizia arriva la Comisión FUNA, che come il movimento dell’escrache argentino, si fa giustizia da sé, rendendo pubblica la faccia di un torturatore, che magari ha lavorato per anni al tuo fianco e non è mai stato accusato di nulla, godendo per anni di una libertà sempre figlia della stessa “transizione pacifica”. Edwin Dimter Bianchi è stato funado, ed ancora una volta sono i cittadini a rendere pubblico il suo nome, e non le autorità.
Arriva la primavera e con essa la data più attesa: l’11 settembre, l’altro undici settembre. Come ogni anno il ricordo è sempre vivo e nelle zone più periferiche della città diventa spesso dolore e rabbia incontenibile. Quest’anno una molotov ha raggiungo anche l’edificio del governo, La Moneda; forse un po’ troppo se pensiamo all’ultima volta che una finestra dell’edificio ha preso fuoco: allora Santiago stava vivendo il primo bombardamento aereo, qualcosa di mai visto in Cile. Un bombardamento aereo che convinse Allende ad ordinare ai suoi fedeli uomini e donne di lasciare l’edificio mentre egli si suicidò senza dare così ad uno dei tanti traditori il sadico piacere di poterlo uccidere.
Alla fine di novembre ritorna il Foro Sociale Cileno, un’ottima realtà nata nel 2005 in concomitanza con il vertice dell’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation): uno spazio aperto, partecipativo e democratico che propone alternative possibili per un Cile migliore, basato su un modello di sviluppo economico ambientalmente e socialmente sostenibile. Uno spazio che, come il Foro Sociale Mondiale o quello Europeo, nasce proprio dalla necessità di partecipazione e protagonismo dei cittadini alle decisione politiche ed economiche del paese, che non possono più essere soggette agli interessi delle grandi multinazionali.
Particolarmente forte è la partecipazione dei movimenti ambientalisti, tra tutti il “Movimento Cittadino NO a Pascua-Lama”, che si oppone ad un progetto di sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo cileno ed argentino, promosso dalle canadesi Barrick Gold e Kinross Gold. Il progetto prevede la scomparsa di alcuni ghiacciai nel nord del paese per poter sfruttare facilmente le riserve di minerali preziosi, distruggendo così l’ecosistema di diverse valli e la vita stessa delle persone di quelle valli. Per il momento le due multinazionali stanno conducendo esplorazioni, iniziando i primi lavori con la più completa segretezza ed il governo sembra proprio aiutare questo modo di agire, scordandosi completamente della volontà dei cittadini, della salvaguardia dell’ambiente ma anche del più semplice diritto dei cittadini ad essere informati sulle conseguenze per la salute delle esplorazioni che già da tempo ormai si stanno svolgendo.
Arriva il mese di dicembre, ed un’altra data che sarà da ricordare: il 10 dicembre 2006 (ironia della sorte nella giornata mondiale dei diritti umani) muore Augusto Pinochet. La gente scende per le strade, per le piazze, così come lo fece nel lontano 5 ottobre 1988, quando al referendum che doveva segnare il perdurare della dittatura, i cittadini cileni risposero con un secco NO. E mentre i militare rendono omaggio al loro generale, il governo non organizzerà funerali di stato. Una scelta decisa, appoggiata da tutti a livello mondiale: solo la “dama di ferro” esprime la sua tristezza per quell’uomo tutto d’un pezzo che tanto la aiutò in quella guerra assurda contro l’Argentina, per un pugno di isolette piene di pecore e poco più.
Tuttavia anche dopo la morte di Pinochet molti capitoli rimangono ancora aperti: ed ecco allora che il Colectivo 119 non ha paura di riprendersi ancora una volta la piccola stradina calle Londres, dove al numero 38 (l’attuale 40) si trovava ai tempi della dittatura uno dei luoghi di tortura più tristemente famosi: il centro Yucatán. La struttura ospita oggi l’Istituto O’Higginiano ed è diretta da Washington Carrasco, ex ministro della Difesa della giunta militare. I familiari ed amici dei 119 desaparecidos di questo centro si incontrano tutti i giovedì sera. Tutti i giovedì sera si accendono 119 candele e si rivendica il diritto al ricordo, alla speranza ma soprattutto alla giustizia. Anche le Madres de Plaza de Mayo argentine s’incontrano di giovedì, un legame non solo temporale per questi giovedì sudamericani lontani solo geograficamente.
Tra sondaggi che vedono calare i consensi della “mamma”, le manifestazioni dei mineros nel nord del paese (dei quali in campagna elettorale la Bachelet aveva promesso di non dimenticarsi), un nuovo rimpasto di governo e gli scontri durante la Giornata del Giovane Combattente (che il 29 marzo ricorda l’uccisione dei fratelli Vergara nel 1985), siamo nel mese di marzo del 2007, ma le facce che girano per le sale del potere sembrano essere sempre le stesse: una fra tutte quella dell’ex Presidente Lagos, il papà dalle maniere forti al quale i cileni si erano ben abituati, dal quale ci si aspettava tanto come primo presidente socialista, ma che alla fine non fece altro che ripetere quello che era stato fatto dai governi della Democrazia Cristiana. E sembra che questo ripetersi stia caratterizzando anche l’attuale governo.
C’è bisogno di un forte cambio, un cambio che miri a smantellare il sistema neoliberale sul quale si basa la vita del paese. Ma i mezzi di comunicazione distolgono l’attenzione verso un altro problema che identificano subito con una nuova legge elettorale: l’attuale sistema binominale, altra pesante eredità della dittatura inventata per proteggere la destra che sapeva che con il ritorno alla democrazia sarebbe diventata minoritaria, ha ormai giocato le sue carte e non ha più senso di esistere. Tuttavia il processo verso questo cambiamento appare molto difficile, ed ecco che il governo si butta su altre riforme più facili ed “alla portata dei cittadini”.
Alla fine del primo anno Bachelet, mentre i mezzi pubblici collassano per una mal studiata e precipitosa implementazione del Piano Transantiago, in tanti fanno a gara per stilare la lista de bilancio parziale: riforma del sistema delle pensioni ed aggiustamento della pensione minima, un programma di protezione dell’infanzia, gratuità dell’assistenza sanitaria pubblica per gli over 60, quattro nuovi ospedali e 100 centri di salute, nuovo appoggio alle piccole e medie imprese, 118.000 nuovi sussidi per le abitazioni, una nuova legge per i lavoratori sub-contrattati… e poi tutti i cambi nell’educazione e la ferrea volontà di andare avanti in ambito Diritti Umani fino alla ratifica della Convenzione di Roma che crea il Tribunale Penale Internazionale.
Ma forse l’unico vero cambio, quello che più di tutti consegnerebbe ai cittadini il ruolo di attori fondamentali nello sviluppo del paese, che consacrerebbe finalmente l’avvenuta transizione democratica eliminando ogni residuo della dittatura militare, sarebbe scrivere una nuova costituzione, dato che ancora oggi vige quella firmata da Pinochet nel 1980.
E per fare questo bisogna eleggere un’assemblea costituente, un’assemblea di cittadini che lavori per tutti i cittadini alla ricerca di un quadro istituzionale che garantisca una volta per tutte quei diritti civili, politici e sociali dai quali ancora oggi una buona parte della popolazione è esclusa. Sarà in grado la Presidente Bachelet di realizzare veramente il “gobierno ciudadano” al quale si richiama quotidianamente? O sarà costretta alla fine a scusarsi come già più volte ormai è capitato?
Mentre ci penso, il 3 maggio scorso, un giovane lavoratore di 26 anni, Rodrigo Cisternas Fernández, è stato ucciso durante gli scontri tra la polizia e gli operai dell’italo-cilena Celulosa Arauco y Constitución S.A. (Celco), del Gruppo Angelini, che da tempo scioperavano per un aumento salariale ed il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Il Cile è paurosamente diviso in due: quello degli interessi economici e quello dei cittadini. Non sarà facile coniugarli.

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