Nicaragua - Bananeros nuovamente a Managua
Inizia così un'ennesima tappa di questa storia che sembra non avere fine e dagli esisti ancora più incerti rispetto al passato. Il settore degli ammalati a causa del pesticida Nemagón è sempre più diviso in varie fazioni e gruppi e sono in molti a dubitare dell'opportunità di questa nuova marcia, che inciderà inevitabilmente sulla salute di migliaia di persone. Nel frattempo è cambiato il governo ed è purtroppo facile prevedere che i contrasti politici e le rotture personali tra i dirigenti di Asotraexdan e la struttura del Frente Sandinista, trascinino questo tema prettamente sociale ed ambientale verso un ambito politico, che rende difficile prevedere gli esiti di questa nuova protesta.
Di questo e molto altro la Lista Informativa "Nicaragua y más" ha discusso in esclusiva con il presidente di Asotraexdan, Victorino Espinales. Di seguito l'intervista.
È trascorso un anno e mezzo da quando è finita la "Marcha sin Retorno" del 2005. Perché questa nuova marcia?
La Marcha sin Retorno non era finita e stavamo aspettando che il governo e la Asamblea Nacional riprendessero le negoziazioni per rispettare gli accordi firmati in maggio ed agosto del 2005.
Al presidente Ortega abbiamo inviato tre lettere sollecitando che si costituisse nuovamente la Commissione Interistituzionale, ma fino a questo momento non abbiamo ricevuto nessuna risposta. In marzo ci siamo anche riuniti con la Commissione Lavoro della Asamblea Nacional per vedere a che punto erano gli accordi firmati con i deputati. Abbiamo inviato una lettera a tutti i ministeri che erano coinvolti nella Commissione Interistituzionale, ma nessuno ci ha risposto. La goccia che però ha fatto traboccare il vaso è stato l'annuncio della Ministra della sanità il giorno in cui è venuta a Chinandega. In pratica ha ignorato gli accordi del 2005 ed ha escluso la nostra dirigenza, che è quella che li ha firmati, includendo al nostro posto la dirigenza di altro gruppi legati alla ATC e CST. Di fatto ha concesso a loro i benefici derivanti dal budget previsto per il 2006 e 2007 e cioè circa 57 milioni di córdobas (3,16 milioni di dollari). Di fronte all'intransigenza delle autorità abbiamo deciso di marciare nuovamente.
Si tratterebbe, quindi, di riprendere i punti degli accordi del 2005?
Non è solo questo. Siamo in possesso dei risultati di una ricerca scientifica in cui si evidenzia la presenza di DBCP e di altri prodotti chimici nelle acque della zona occidentale del paese. Presenteremo inoltre, sette nuove richieste che si aggiungono a quelle presentate nel 2005.
Di che cosa si tratta?
Stiamo chiedendo che, per ragioni di sicurezza e di salute pubblica, si dichiari con carattere di urgenza lo stato d'emergenza nei Dipartimenti di León e Chinandega. Chiediamo anche che si crei una commissione tecnico-medico-scientifica, affinché proceda immediatamente a raccogliere tutte le prove già esistenti relazionate con l'inquinamento ambientale e gli effetti sulle persone. Questa sarebbe la base per poter pianificare e sistematizzare l'assistenza per tutte le persone colpite dagli effetti dei pesticidi. Altri punti hanno a che vedere con la creazione di un ministero o istituto che si dedichi esclusivamente al caso delle vittime dei pesticidi, l'approvazione di un budget specifico di 1.200 milioni di córdobas (66.3 milioni di dollari) per l'assistenza specializzata e di una pensione vitalizia di 200 dollari mensili.
Rispetto al Ministero della sanità (MINSA), la ministra ha smentito le accuse di Asotraexdan ed ha dichiarato che ora i fondi verranno usati per tutte le vittime del Nemagón ed IRC e non solo per voi. È in questo senso, quindi, che non riconosce gli accordi del 2005, cioè concedendo a tutti gli ammalati i benefici di quegli stessi accordi…
Rispettiamo questa aspirazione della ministra, ma le risorse disponibili non bastano per tutti. Qui abbiamo una borsa con più di 4 mila ricette e le consegneremo al presidente affinché si renda conto che non è vero che si stanno dando le medicine.
Da quando siamo ritornati nel 2005 sono morte 196 persone, per un totale di quasi 1700 da quando abbiamo iniziato a marciare nel 1999. Quest'anno, inoltre, almeno 1600 persone non potranno partecipare alla protesta perché stanno molto male. È quindi probabile che ci sarà meno gente che negli anni scorsi. Siamo partiti in 300 da Chinandega e si sono aggiunte persone durante il tragitto. Alla fine potremmo essere quasi 2 mila persone e molta gente ci stava già aspettando nel terreno di fronte alla Asamblea Nacional, la "Ciudadela del Nemagón".
Ci sono altri gruppi di ammalati che non sono d'accordo con questa nuova marcia, in quanto si mette in pericolo la vita delle persone. Che cosa ne pensa?
Non vogliamo avere a che fare con questa gente, perché in mezzo ci sono gli interessi economici degli avvocati. Questo caso non può più essere gestito da avvocati e vogliamo che venga dichiarato come una questione di Stato ed affrontato con un accordo nazionale.
È però inevitabile riconoscere che una nuova marcia avrà effetti devastanti sulla salute delle persone malate. Non c'era un altro strumento di lotta che fosse meno pericoloso per la gente?
Certo! Dovremmo sparare addosso al governo, perché è l'unica alternativa che ci rimane. Ma qui stiamo cercando di continuare a lottare in modo civile e non possiamo rimanercene tranquillamente a casa. Per non peggiorare la situazione abbiamo deciso di non portare la gente molto malata e di continuare a lottare, perché è meglio morire qui che a casa.
Un punto su cui si è molto discusso è quello delle negoziazioni dirette con la multinazionale Dole. Sono iniziate e non si è saputo più nulla. Non crede che questa decisione e mancanza di informazioni possa delegittimare l'immagine della dirigenza di Asotraexdan e la marcia stessa?
Non credo. Nessuno può obbligarci a negoziare attraverso gli avvocati, perché non ci fidiamo di loro. Molti continuano a farlo e non si rendono conto di quello che sta succedendo. Noi sono ormai tre anni che abbiamo rotto i rapporti con gli avvocati e continuiamo ad essere dell'idea di negoziare direttamente con l'impresa. Questo non vuole però dire che accettiamo le briciole, altrimenti avremmo già concluso le negoziazioni.
La "Marcha sin retorno" ha inaugurato un nuovo concetto di lotta, unendo differenti settori che si sostenevano reciprocamente nella ricerca di risposte concrete alle loro rivendicazioni. Questa nuova marcia ha la stessa caratteristica?
Abbiamo marciato tutti uniti, ma senza i cañeros di ANAIRC (ammalati di Insufficienza Renale Cronica n.d.r.), con i quali ci siamo trovati in disaccordo in quanto molto indisciplinati. Stiamo anche conversando con altri settori, come i minatori ed i lavoratori dei cementifici e può essere che si uniscano alla protesta.
Un altro elemento che ha caratterizzato la scorsa marcia è stata la partecipazione diretta della società civile a sostegno della vostra lotta. All'interno di alcune di queste organizzazioni esiste un certo dissenso rispetto a come si è sviluppato il rapporto e il lavoro comune con Asotraexdan.
Che tipo di relazione sarà questa volta?
Ci piacerebbe poter continuare a lavorare con la società civile come nel passato, tuttavia devono capire che il problema che si vive nelle nostre zone è molto complicato. Non è la stessa cosa vedere le problematiche da dietro una scrivania che viverci in contatto diretto. Spero che lo capiscano, perché il problema della contaminazione non è una cosa che colpisce solo noi. Siamo gente che vive in zone rurali e non abbiamo i mezzi per comunicare come quelli che hanno queste organizzazioni. Credo comunque che si debbano riprendere i contatti e concretizzare la proposta di creare una Commissione Coordinatrice per facilitare la comunicazione. Se ci sono stati errori sono stati da entrambe le parti, ma ora è il momento di guardare avanti perché questa lotta è molto più grande di quella del 2005.
Una delle critiche è che, col passare del tempo, non abbiate più preso in considerazione la relazione con la società civile e che si sia smesso di lavorare in modo unito e consensuale come all'inizio della marcia del 2005…
Non la vedo così. Nel nostro caso affrontiamo tappe più o meno dinamiche e la collaborazione non si può misurare solo in base agli aiuti economici o alimentari, bensì alla collaborazione per risolvere un problema che è enorme. Credo che la società civile abbia fatto meno di quello che avrebbe dovuto fare. Noi, ad esempio, abbiamo bisogno che con le loro conoscenze e risorse convochino scienziati per studiare il tema e realizzare ricerche scientifiche.
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