Latina

Sequestri, la Colombia in piazza

Gli ostaggi smuovono, i morti no

Nel sud-ovest del territorio controllato dalle Farc l'esercito avanza e l'aviazione bombarda, nelle città forse milioni di persone manifestano contro i rapimenti
7 luglio 2007
Guido Piccoli
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Chi, anche recentemente, ha coltivato illusioni di pace per la Colombia è servito. A volare sopra il suo cielo non sono le colombe della pace, ma gli avvoltoi insieme con centinaia di elicotteri blindati e bombardieri. La parola è ancora alle armi e alla propaganda di guerra. Mentre nel sud-occidente l'esercito ha l'ordine di avanzare in un territorio da sempre dominato dalle Farc e l'aviazione scarica bombe come non ha mai fatto, ieri l'altro centinaia di migliaia di cittadini, forse milioni, hanno marciato contro il sequestro, un delitto crudele prerogativa soprattutto delle Farc. Il messaggio dei promotori della mobilitazione era semplice: il governo agisce, il popolo l'appoggia, la comunità internazionale ne tenga conto.
Il tema del sequestro (unico delitto capace di commuovere la borghesia colombiana, indifferente ai massacri, alle esecuzioni mirate o alle sparizioni forzate che colpiscono colombiani di serie B come i contadini, i sindacalisti e gli oppositori politici) è salito alla ribalta da un mese. Cioè da quando Alvaro Uribe autorizzò, a sorpresa, la liberazione di quasi trecento guerriglieri, come «segnale di buona volontà» verso le Farc. Il mondo s'illuse che presto sarebbe stata liberata, dopo cinque anni dal suo rapimento, anche la leader ecologista Ingrid Betancourt. La mossa di Uribe era una farsa. Ad oggi, l'unico detenuto che ha acquistato la libertà è il cosiddetto vice ministro degli esteri del gruppo ribelle, Rodrigo Granda, che è anche l'unico ad essere riconosciuto come guerrigliero dalla Comandancia (gli altri sono stati considerati disertori o semplici civili). Una farsa maldestra, perchè Granda, dopo essersi rifiutato di far da mediatore con i suoi capi come richiesto da Uribe, ha riparato tranquillamente all'Avana. Dalle parti del Palacio Nariño, non alberga però solo la schizofrenia di un presidente, frastornato dallo scandalo della «para-politica», che ha decimato la cerchia dei suoi fedelissimi. Ma anche l'illusione di mantenere la promessa, fatta durante la campagna elettorale del 2002, di eliminare la guerriglia «in pochi mesi». O almeno di uccidere o catturare qualche pezzo da novanta delle Farc, o di liberare manu militari qualcuno dei 57 sequestrati eccellenti, tra politici e ufficiali di diverso grado, che la guerriglia detiene da tempo (alcuni persino da dieci anni). Non però con i sistemi tradizionali, tipo i blitz dell'esercito, risultati avventati e inutili, ma utilizzando dei commandos speciali misti (di militari e civili, ovvero paramilitari) addestrati dai consiglieri Usa alla sopravvivenza nella selva e al combattimento corpo a corpo, capaci d'infiltrarsi tra la popolazione contadina. Il 18 giugno scorso un commando di questo tipo, secondo quanto annunciato trionfalmente da un ammiraglio, distrusse due accampamenti delle Farc, eliminando alcuni ribelli, tra i quali un certo Milton Serra. Dopo una settimana, è arrivata un'altra versione, più tragica di quell'attacco: con un comunicato il Blocco Occidentale delle Farc ha informato dell'uccisione, nel corso di uno scontro con un gruppo armato «non identificato», di undici dei dodici deputati regionali, che la guerriglia aveva rapito con una spettacolare azione in pieno centro di Cali nell'aprile 2002. Vittime «del fuoco incrociato» o «della fredda fucilazione da parte dei guerriglieri», pur di impedire il successo del blitz? Nella barbarie colombiana tutto è possibile. Un indizio comunque esiste: Uribe ha tuonato contro quattro paesi europei (assente l'Italia), che hanno proposto una commissione d'inchiesta indipendente sull'episodio. E ha ordinato di aumentare gli attacchi in zona, impedendo di fatto la riconsegna dei cadaveri, come promesso dalle Farc. Un'autopsia sui cadaveri potrebbe forse creargli qualche imbarazzo? Uribe e le Farc rimangono rigidi sulle loro posizioni (anche sul come fare lo scambio dei prigionieri, con o senza la smilitarizzazione di una zona). Ne paga le conseguenze un popolo stanco di guerra e diviso su come raggiungere la pace. Mentre una parte dei manifestanti di giovedì chiedeva «mano dura contro la guerriglia», l'altra urlava contro i blitz che fanno terra bruciata.

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