Latina

Lettera Aperta a Ernesto Che Guevara

17 luglio 2007
Frei Betto

Caro Che,

sono già passati quarant’anni da quando la CIA ti ha assassinato nella giungla boliviana, l’8 ottobre del 1967. Allora avevi 39 anni. I tuoi assassini pensavano che sparandoti addosso, dopo averti catturato vivo, avrebbero cancellato la tua memoria. Non sapevano, che al contrario di quello che capita agli egoisti, gli altruisti non muoiono mai. I sogni libertari non rimangono chiusi in gabbia come uccelli domestici. La stella del tuo basco ora brilla più forte, la forza dei tuoi occhi guida generazioni per le vie della giustizia, il tuo aspetto sereno e fermo ispira fiducia a chi combatte per la libertà. Il tuo spirito supera le frontiere dell’Argentina, di Cuba e della Bolivia, come una fiamma ardente avvolge ancora oggi il cuore di molti rivoluzionari

In questi quarant’anni ci sono stati cambiamenti radicali. E’ caduto il muro di Berlino, ed ha sepolto il socialismo europeo. Molti di noi capiscono solo ora il tuo osar segnalare, nel 1962 in Algeria, le crepe nelle mura del Cremlino, che ci sembravano così solide.
La storia è un fiume rapido che non vuole ostacoli. Il socialismo europeo ha cercato di fermare le acque di quel fiume con il burocraticismo, l’autoritarismo, l’incapacità di portare nella vita quotidiana lo sviluppo tecnologico derivato dalla corsa allo spazio, e soprattutto, si era rivestito di una razionalità economicista che non affondava le sue radici nell’educazione soggettiva dei soggetti storici: i lavoratori.

Chissà se la storia del socialismo non sarebbe stata diversa se avessimo ascoltato le tue parole:

“A volte lo Stato si sbaglia. Quando capita uno di questi equivoci si percepisce una diminuzione dell’entusiasmo collettivo, dovuto ad una riduzione quantitativa di ciascuno degli elementi che lo formano, ed il lavoro si paralizza fino a diventare di volume insignificante: è il momento di rettificare”.

Che, moli dei tuoi dubbi si sono confermati nel corso di questi anni ed hanno contribuito alla sconfitta dei nostri movimenti di liberazione. Non ti abbiamo ascoltato abbastanza. Nel 1965, dall’Africa, scrivesti a Carlos Quijano, del quotidiano Marcha di Montevideo:

"Lasci che le dica, anche a costo di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da sentimenti d’amore. E’ impossibile pensare ad un autentico rivoluzionario senza queste qualità”.

Questa nota coincide con quello che l’apostolo Giovanni, esiliato nell’isola di Patmos, scrisse nell’Apocalisse quasi duemila anni fa, nel nome del Signore alla chiesa di Efeso:

“Conosco la tua condotta, lo sforzo e la perseveranza. So che non sopporti i malvagi. Vennero alcuni dicendo di essere apostoli.Tu li hai scoperti e smascherati. Erano menzogneri. Siete stati perseveranti. Avete sofferto a causa del mio nome e non vi siete lasciati perdere d’animo. Eppure, c’è qualcosa che disapprovo, l’aver lasciato il primo amore.” (2, 2-4).Alcuni di noi, Che, hanno perduto l’amore per i poveri, che oggi nella Patria Grande latinoamericana e nel mondo, si sono moltiplicati. Hanno smesso di lasciarsi guidare dai grandi sentimenti d’amore per sterili dispute partitiche e, a volte, fanno degli amici, nemici, e dei veri nemici, alleati. Corrotti dalla vanità e dalla disputa per spazi politici, non hanno più il cuore acceso da ideali di giustizia.

Sono rimasti sordi ai clamori del popolo, hanno perso l’umiltà del lavoro di base ed ora cambiano utopie in cambio di voti.

Quando l’amore si raffredda l’entusiasmo si spegne, e la dedizione finisce.

La causa come passione sparisce, come il romanzo in una coppia che non si ama più.

Ciò che era “nostro” risuona come ”mio” e le seduzioni del capitalismo blandiscono i principi, cambiano i valori. E se proseguiamo nella lotta è perché l’estetica del potere esercita maggio fascino che l’etica del servizio.

Il tuo cuore, Che, batte al ritmo di tutti i popoli oppressi e spogliati.

Hai pellegrinato dall’Argentina al Guatemala, dal Guatemala al Messico, dal Messico a Cuba, da Cuba al Congo, dal Congo alla Bolivia. Per tutto questo tempo sei uscito da te stesso, acceso d’amore, che nella tua vita si traduceva in liberazione. Perciò potevi affermare con autorità che “bisogna avere una grande carica d’umanità, di senso di giustizia e di verità, per non cadere in estremismi dogmatici, in freddi scolasticismi, in isolamento dalle masse. Bisogna lottare tutti i giorni perché questo amore per l’umanità viva si trasformi in fatti concreti, in gesti che servano da esempio, da mobilitazione”.
Quante volte, Che, la nostra dose di umanità si prosciugata, calcinata dai dogmatismi che ci avevano riempiti di certezze e ci hanno lasciati vuoti di sensibilità per i condannati della Terra.

Quante volte il nostro senso di verità si è cristallizzato nell’esercizio di autorità, senza che rispondessimo agli aneliti di quelli che sognano con un pezzo di pane, di terra e di allegria.

Un giorno tu ci hai insegnato che “l’essere umano è l’Attore di questo strano e appassionante dramma che è la costruzione del socialismo, nella sua doppia esistenza di essere unico e membro della comunità. Ma questo non è un prodotto finito. I difetti del passato si spostano nel presente, nella coscienza individuale, e bisogna fare un continuo lavoro per sradicarli”.

Forse ci è mancato di insistere con più enfasi sui valori morali, le emulazioni soggettive, gli aneliti spirituali. Col tuo acuto senso critico ti sei preso cura di avvertirci che “il socialismo è giovane e fa errori. I rivoluzionari sono spesso carenti di conoscenze e dell’audacia intellettuale necessaria per affrontare il compito dello sviluppo dell’uomo nuovo con nuovi metodi, diversi da quelli convenzionali, soffrono l’influenza della società che li ha creati”.

Nonostante tante sconfitte ed errori, in questi quarant’anni abbiamo raggiunto conquiste importanti.

I movimenti popolari sono comparsi in tutto il Continente. Oggi in molti paesi i contadini, le donne, gli operai, gli indios sono meglio organizzati. Tra i cristiani, una parte significativa ha scelto di stare dalla parte dei poveri.ed ha abbracciato la Teologia della Liberazione. Abbiamo ricevuto molte lezioni dalle guerriglie urbane degli anni 60’; dalla breve gestione popolare di Salvador Allende; dal governo democratico di Maurice Bishop a Grenada, massacrato dalle truppe degli Stati Uniti; dall’ascesa e dalla caduta della Rivoluzione Sandinista; dalla lotta del popolo di El Salvador.

In Messico gli zapatisti del Chiapas mettono a nudo la politica neoliberale e in America Latina si propaga la primavera democratica, con gli elettori che ripudiano la vecchie oligarchie ed eleggono quelli che sono a loro immagine e somiglianza: Lula, Chavez, Morales, Correa, Ortega, ecc.

Resta molto da fare, caro Che. Ma conserviamo con affetto le tue eredità più grandi: lo spirito internazionalista e la rivoluzione cubana. L’una e l’altra si presentano oggi come un simbolo unico.. Guidata da Fidel, la Rivoluzione Cubana resiste all’embargo imperialista, alla caduta dell’Unione Sovietica, alla carenza di petrolio, ai media che pretendono di demonizzarla. Resiste con tutta la sua ricchezza d’amore e di humor, salsa e merengue, difesa della patria e valorizzazione della vita.

Attenta ai tuoi insegnamenti, realizza un processo di rettificazione, cosciente degli errori commessi, e nonostante le attuali difficoltà, è impegnata nel rendere possibile il sogno di una società in cui la libertà di uno sia la condizione di giustizia dell’atro.

Là dove ti trovi, o Che, benedicici tutti noi che condividiamo le tue idee e le tue speranze. Benedici anche quelli che si sono stancati, si sono imborghesiti o hanno fatto della lotta una professione a proprio beneficio. Benedici quelli che si vergognano di professarsi di sinistra e di dichiararsi socialisti. Benedici i dirigenti politici che, una volta investiti di un’autorità, non sono mai più stati in una favela, né hanno appoggiato una manifestazione. Benedici le donne che, a casa, hanno scoperto che i loro compagni erano il contrario di ciò che ostentavano fuori, ed anche gli uomini che lottano per vincere il machismo che li domina. Benedici tutti noi che sappiamo che di fronte a tanta miseria che falcia vite umane, sappiamo che non abbiamo altra vocazione che quella di convertire cuori e menti, rivoluzionare società e continenti. Soprattutto, benedicici affinché noi si possa essere motivati tutti i giorni da grandi sentimenti d’amore, e si possa cogliere così il frutto dell’uomo e della donna nuovi.

Le citazioni sono tratte dal testo « Il socialismo e l’uomo a Cuba”, pubblicato in "Ernesto Che Guevara, scritti e discorsi", Edizioni Scienze Sociali, La Habana, 1977, pp.253-272

Chi è Frei Betto

Lo scrittore brasiliano Frei Betto è un frate domenicano, internazionalmente noto come teologo della liberazione.Autore di 53 libri di generi letterari diversissimi: novelle, saggi, polizieschi, memoriali, per l’infanzia ed i giovani, religiosi. In due occasioni (nel 1985 e nel 2005) è stato premiato col Jabuti, il premio letterario più importante del paese. Nel 1986 è stato eletto Intellettuale dell’Anno dall’Unione Brasiliana degli Scrittori.

Rappresentante dei movimenti sociali, come la Comunità Ecclesiale di Base e il Movimento dei Lavoratori Rurali senza Terra, negli ultimi 45 anni partecipa attivamente alla vita politica del Brasile. Nel 2003 e 2004 è stato Funzionario Speciale del Presidente Luiz Inácio Lula da Silva e coordinatore della Mobilitazione Sociale del Programma Fame Zero.

Note: Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura della redazione del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


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