Latina

«Solo Lugo può battere i colorados», e monsignore mise il giubbotto antiproiettile

22 luglio 2007
Pablo Stefanoni
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Un monumento e un'avenida in onore di Chiang Kai Shek in piena Asuncion sono solo alcune delle tracce che portano al Paraguay di Alfredo Stroessner, il dittatore che ha governato col pugno di ferro per 35 anni e che ha ospitato personaggi come il medico nazista Joseph Mengele o il franco-algerino ultradestro George Watin, che attentò alla vita di De Gaulle nel 1962, o il nicaraguense Anastasio Somoza rovesciato dai sandinisti e assassinato a Asunciòn nel 1980. Ma questa isolata nazione sudamericana stava da tempo nel mirino di altri fanatici: già nel secolo XIX Bernhard Foster, cognato del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, tentò di costruire una colonia ariana per trasformare in realtà le sue tesi razziste. Con tutto questo, la caduta del dittatore per mano del consuocero, il generale Andrès Rodriguez, diede il via a una transizione democratica che ha cambiato poco.
La democrazia ha lasciato il potere nelle mani degli ex stroessneristi del Partido Colorado, che governa ininterrottamente il Paraguay da 60 anni. Ma questa egemonia ha cominciato a erodersi e, dietro alla calma di Asunciòn, si percepisce il nervosismo degli uni e l'aspettativa degli altri di fronte a questa nuova realtà: i sondaggi dicono che i colorados possono perdere le elezioni del 2008 e che il candidato che può concretizzare questa impresa è Fernando Lugo, ex «vescovo dei poveri» della regione contadina di San Pedro, che lasciò la tonaca nel dicembre del 2006 per passare all'arena politica. «Solo Lugo potrà sconfiggere il Partido Colorado», ha riassunto un editoriale del qutidiano Abc Color, il più influente del Paraguay. E, per la cronaca, il candidato emergente ha cominciato a usare il giubbotto antiproiettile.
La dittatura di Strossner ha lasciato un'eredità di clientelismo, corruzione, paura del dibattito ideologico, opportunismo e violenza politica. L'assassinio del vicepresidente Josè Maria Argana nel 1999 ha meso in chiaro che le battaglie politiche si possono risolvere con una pallottola. E oggi, anche se sono molti quelli che vogliono che «questa isola circondata dalla terra» - come definì il Paraguay lo scrittore Augusto Roa Bastos - faccia una virata, non sono pochi quelli che preferiscono il «male noto», per continuare con gli affari illegali o per conservare un impiego dello stato, principale datore di lavoro della seconda nazione più povera del Sudamerica dopo la Bolivia.
Per la prima volta i colorados ammettono pubblicamente la possibilità di una sconfitta e alimentano ogni tipo di fantasma e guerra sporca. Il più audace è stato il presidente Nicador Duarte Frutos, che ha avvertito nel giugno scorso: «Se l'opposizione arriva al potere nel 2008 si inizierà la più grande caccia alle streghe della storia paraguayana. I colorados saranno perseguitati come gli ebrei al tempo di Hitler». Mostrando un pragmatismo a prova di bomba, quest'anno il Partido Colorado si è autodefinito «socialista umanista». Nello stesso tempo Duarte Frutos dichiarava che «in Venezuela c'è un eccesso di democrazia». L'obiettivo: guadagnarsi la fiducia di Hugo Chavez.
«La gente vuole un cambio, 60 anni di Partido Colorado sono troppi. Ma non sarà facile perchè loro controllano lo stato e la gente è abituata al clientelismo», dice Veronica Invernizi, dirigente contadina e consigliere della sinistra nel dipartimento di San Pedro. Una delle debolezze di Lugo è la mancanza di strutture, derivante da una certa ambiguità ideologica. Queste alcune delle sue dichiarazioni più recenti: «Non credo né nello statalismo né nella privatizzazione totale», «sto al centro esatto, come l'apertura del poncho», o «nel nuovo Paraguay tutti devono contribuire, anche gli stroessneristi».
L'«Evo paraguayano», come lo chiamano, si trova di fronte a una spada di Damocle. L'appoggio alla sua candidatura del «Partito liberale radicale autentico», tradizionalmente all'opposizione, può essere un salvagente di piombo: lo avvicina al trionfo ma anche al rischio di diventare ostaggio della vecchia politica. D'altra parte, se si candida col suo piccolo partito Tekojoja (Uguaglianza) e con alcuni movimenti sociali e sindacali, non ha nessuna possibiltà di vincere. «Lugo riposa esclusivamente sul suo carisma. Credo che qui possa succedere quello che è successo in Messico con Lòpez Obrador», dice un giornalista che lavora in un organismo internazionale e segue da vicino i luoghi impervi della politica paraguayana. L'ultima carta del governo per frenare l'ex religioso è impugnare la sua candidatura usando l'argomento dell'incompatibilità degli ecclesiastici con la politica, visto che il Vaticano gli aveva ricordato che il sacramento del vescovato è per la vita. Però questo potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Un'altra potenziale mossa colorada è la concessione dell'amnistia al generale populista (e popolarissimo) Lino Oviedo, accusato dell'assassinio di Argana e di un presunto golpe nel 1996.
Il Paraguay è un alleato chiave degli Usa in Sudamerica e nel 2005 ha suscitato un malessere generale l'ampliamento della pista di atterraggio della località di Mariscal Estigarribia, a 250 chilometri della frontiera con la Bolivia. «Siamo condannati a diventare la Colombia del Cono Sud», dice il sociologo Tomàs Palau, e ricorda che negli ultimi anni si sono approfonditi i rapporti tra il Paraguay e la Colombia sull'assunto che entrambe le nazioni affrontano le stesse minacce: narcotraffico e sequestri per estorsione e terrorismo. La cooperazione è più intensa nel campo delle politiche antisequestri, specialmente dopo il brutale sequestro e assassinio di Cecilia Cubas. La tesi ufficiale parla di un'azione concertata tra il gruppo paraguayano Patria libera e le Farc colombiane. «Questo fatto è servito da scusa per criminalizzare le lotte sociali», afferma Raquel Talavera, avvocata delle organizzazioni per i diritti umani. Adesso il governo non perde occasione per denunciare i rapporti di Lugo con alcuni militanti di sinistra del gruppo Patria libera, imputati in questo e altri sequestri.
«La gente vuole un cambio. Si sente il dibattito pubblico e l'influenza della congiuntura regionale, perché Bolivia, Venezuela, Ecuador sì e noi no?», si domanda Ernesto Benitez, nella sede contadina di Asunciòn. E la domanda continua a pizzicare.

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