Latina

l'opinione

Quante menzogne sul Venezuela di Chavez

23 agosto 2007
Gianni Minà
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Se fra qualche mese i delegati del Partito democratico nordamericano sceglieranno Hilary Clinton come candidata alle prossime elezioni presidenziali, risulterà che negli ultimi vent'anni, due sole famiglie hanno avuto in mano il governo e il potere degli Stati uniti: i Bush e i Clinton. Anzi, se si considera che l'ex capo della Cia Bush padre è stato anche l'influente vicepresidente di Ronald Reagan, diventa un trentennio la stagione in cui il governo di Washington è stato sotto tutela di due soli clan familiari. Un particolare che potrebbe sollevare qualche dubbio sulla qualità della democrazia nordamericana sempre sbandierata come la migliore. E specie in un'epoca dove un presidente, Bush junior, fa approvare una legge che autorizza la tortura e un'altra che abolisce l'istituto dell'Habeas corpus, diritto fondamentale della difesa di un essere umano. Oltre tutto Chavez, come ha fatto già in una dozzina di volte negli ultimi dieci anni, dovrà prima essere ancora una volta giudicato e votato dal suo popolo. Sempre che le elezioni non valgano solo quando vincono quelli su cui noi puntiamo.
Non so però se Pierluigi Battista, sempre più inconsolabile per essere stato comunista, abbia tenuto presente questa realtà indiscutibile quando sabato 18 agosto, in un articolo di prima pagina sul Corriere della Sera, si strappava le vesti per l'eventualità che il ritocco annunciato alla Costituzione venezuelana potesse aprire la possibilità a Hugo Chavez di rimanere presidente di quel paese praticamente a vita.
Ma Pierluigi Battista, incorrettamente, ha omesso il fatto che fra le modifiche proposte non c'era quella di abolire l'articolo (unico al mondo) che consente al popolo venezuelano, con un referendum, di dimettere il presidente in carica. Una possibilità già tentata nel 2004 dalla rissosa e «golpista» opposizione del paese e però fallita miseramente per il voto di un elettorato che aveva chiesto, quasi plebiscitariamente, la conferma di Chavez. Quel referendum era venuto, fra l'altro, due anni dopo un tentativo di colpo di stato, quasi farsesco messo in atto dalla stessa impresentabile opposizione e benedetto dal governo di Washington e da quello spagnolo di Aznar, come ebbe a rivelare in parlamento Miguel Angel Moratinos, l'attuale ministro degli Esteri del governo Zapatero. Un tentativo grottesco durato lo spazio di un giorno che vide coinvolti anche un paio di alti prelati e che pretendeva di sostituire il presidente democraticamente eletto col presidente della Confindustria venezuelana Carmona-Estanga ora rifugiato in Colombia.
Per questi accadimenti non ricordo un corsivo sdegnato analogo a quello scritto sabato scorso sul Corriere della Sera da Pierluigi Battista né interventi azzardati di politici come il sottosegretario agli Esteri Vernetti (ma non era Di Santo il viceministro con delega sull'America latina?) che, fra l'altro, segnalavano, come ha scritto Matteuzzi, una conoscenza falsa e scorretta dell'America latina.
Un'informazione che sembrava fotocopiata da quella sistematicamente messa in circolazione dal Ned, l'agenzia di propaganda della Cia, che è fra i sostenitori dei Reporter sans frontieres e che Wayne Smith, il diplomatico nordamericano responsabile dell'Ufficio di interessi degli Stati uniti all'Havana, durante la presidenza di Jmmy Carter, ha spiegato essere «un ente che influenza e cerca di condizionare per conto del governo di Washington stampa, media, partiti politici e organizzazioni sindacali in azioni non allineate agli interessi economici e strategici degli Stati uniti. Un organismo che sarebbe ora di consegnare alla pattumiera della storia».
Ma c'è di più. Bruce Jackson, docente di cultura americana alla State University of New York di Bufalo, in un saggio per Latinoamerica, dove riprendeva il capitolo «Trojan Horse: the National Endowment for democracy» tratto dal libro di William Blum Rogue State. A Guide to the World's Only Superpower, ricordava che il Ned aveva sostenuto con 877 mila dollari i gruppi che nel 2002 organizzarono il fallito golpe contro il presidente Chavez.
Queste realtà sono da tempo di dominio pubblico fra chi affronta, con onestà intellettuale, gli accadimenti latinoamericani e le politiche degli Stati uniti in quell'area di mondo. Come è possibile allora che, ciclicamente, si montino ancora questi teatrini grotteschi su Cuba piuttosto che sul Cile di Allende, sulla Bolivia o, più recentemente sul Venezuela? E perché c'è ancora qualcuno che fa finta di crederci? Chavez non è certo un personaggio facile, contenuto. Ama la retorica, talvolta rischia la demagogia, ma il Venezuela che ha ereditato dal democristiano Calderas e dal presunto socialista Carlos Andrès Peres (i presidenti che magari Pierluigi Battista e Vernetti avrebbero definito «democratici», malgrado si fossero ufficialmente spartiti le ricchezze del paese) era una nazione con 15 milioni di poveri su 23 milioni di abitanti dove i figli dei diseredati dei ranchitos non andavano a scuola perché come i padri non erano nemmeno registrati a una anagrafe, erano «invisibili». E questo malgrado il Venezuela sia, come tutti sappiamo, uno dei primi cinque produttori di petrolio al mondo.
Questo quadro in dieci anni, come ribadiscono i dati degli organismi internazionali, è radicalmente cambiato dal punto di vista educativo, del riscatto sociale, dello sfruttamento equo delle risorse per il bene di tutti.
Gli invisibili, «los animales» come li definiva l'oligarchia predatrice, ora esistono e i loro 5milioni di voti hanno cambiato gli equilibri politici del paese e influenzato le scelte di altre nazioni del continente. Gli Stati uniti di Bush junior ne hanno preso atto, ma non sono disposti a accettare questo stato delle cose. E così ripetono lo stesso errore commesso per mezzo secolo nei riguardi di Cuba: mettere in marcia una strategia della tensione che ponga in cattiva luce il Venezuela, lo costringa a sbagliare e lo isoli. Ma l'operazione è perdente perché la terra di Chavez è ricca, molto ricca. E, in America latina, tira adesso un vento molto forte di indipendenza e di resistenza alle politiche di saccheggio delle multinazionali Usa e non. Eppure c'è chi vuole essere connivente di questo ennesimo tentativo di manipolazione della storia.
Che tristezza.

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