Latina

Il «mediatore» Chavez riceverà i leader Farc

Accordo con il colombiano Uribe. Presto i leader del gruppo guerrigliero a Caracas. Si punta alla liberazione di 45 ostaggi eccellenti in cambio di decine di prigionieri politici
2 settembre 2007
Giuseppe De Marzo
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Con la visita, appena conclusa, del presidente venezuelano Chavez nella capitale colombiana Bogotà, la pressione sul governo Uribe per raggiungere un accordo umanitario che permetta uno scambio tra i prigionieri in mano alla guerriglia delle Farc ed i guerriglieri nelle mani dello Stato ha raggiunto il suo punto più alto. Forte di un appoggio internazionale sempre più ampio, a partire dal presidente francese Sarkozy, e da un'opinione pubblica colombiana sempre più decisa a spingere il governo all'accordo con le Farc, il mandatario venezuelano ha annunciato ieri che riceverà presto a Caracas un leader delle Farc con l'obiettivo di arrivare a uno storico accordo: la liberazione di 45 ostaggi «eccellenti» delle Farc - tra cui l'ex candidata presidenziale Ingrid Betancourt - e un gran numero di prigionieri politici del gruppo guerrigliero. «Bisogna essere molto prudenti ed avanzare con i piedi di piombo», ha dichiarato Chavez senza tuttavia nascondere un certo ottimismo.
In cambio di un ritorno del Venezuela nella Can, la confederazione che raggruppa i paesi andini abbandonata da Chavez in segno di protesta per la firma del Tlc (trattato di libero commercio) tra Stati Uniti e Colombia, Uribe sarebbe disposto a lasciare andare un comandante delle Farc a Caracas per intavolare la trattativa con la mediazione del governo venezuelano. Sette anni di governo Uribe mostrano un paese in cui milioni sono i colombiani vittime di una situazione drammatica: quattro milioni di sfollati interni, il 65% di popolazione in condizioni di povertà, più di 2500 sindacalisti uccisi negli ultimi dieci anni, migliaia di persone scomparse, migliaia di leader dei movimenti sociali, contadini, indigeni e afrocolombiani uccisi. Lo scandalo della parapolitica che ha coinvolto già 32 deputati ed un numero indefinito di uomini dello stato in tutti i suoi apparati accusati di essere legati al paramilitarismo, non è che la conferma di quello che da decenni viene denunciato come terrorismo di stato.
Mentre Uribe raccontava all'Europa la fine delle ostilità attraverso la legge di «justicia y paz» che garantiva l'impunità a tutti i paramilitari che accettavano la «smobilitazione», gli squadroni della morte di estrema destra cambiavano semplicemente il nome e continuavano ad imporre il terrore su tutta la popolazione. Solo la Corte Suprema di Giustizia ha cercato di mettere un freno alla deriva parafascista del governo in carica.
L'ultima sentenza prevede infatti che chiunque sia vincolato a gruppi paramilitari o di autodifesa «non potrà beneficiare di amnistia, indulto, la sua estradizione sarà consentita e la sua elezione in qualsiasi settore pubblico proibita». Dal canto suo Uribe ha replicato a questa sentenza accusando la Corte Suprema di Giustizia «di avere un atteggiamento ideologico che danneggia i superiori interessi della nazione» e candidando per le prossime elezioni amministrative di ottobre molti di questi criminali nelle file dei partiti che sostengono la sua maggioranza. Ma è sul fronte della politica economica che sono stati compiuti i passi più importanti per smontare lo Stato di diritto. Le privatizzazioni sono state una delle principali preoccupazioni del governo. Lo scorso 27 agosto è stato il turno anche della Ecopetrol, principale impresa di Stato per quanto riguarda la capacità di generare utili (circa il 30%). Nel 2008 sono programmate le privatizzazioni delle imprese idroelettriche, degli acquedotti, delle imprese di liquori, delle imprese di trasporto di energia e di gas.
Ma quello che rende il quadro ancora più inquietante è quanto parzialmente previsto nel «Plan Vision 2019» da poco lanciato. Il governo identifica tra le priorità la continuazione della politica di sicurezza democratica associata alla guerra e alla difesa degli interessi strategici delle grandi multinazionali.
Secondo Iirsa (l'iniziativa per l'integrazione delle infrastrutture sudamericane lanciata da Washington attraverso i soldi della BM e di altri istituzioni finanziarie private), la Colombia deve investire nei prossimi sei anni circa 10 miliardi di dollari per creare le infrastrutture necessarie alle multinazionali per sfruttare le risorse del paese, senza nemmeno includere gli immensi costi previsti per realizzare un canale alternativo a quello di Panama e la costruzione delle sue reti nel nord del Pacifico attraverso il progetto chiamato Archimede.
A questo corrispondono aumenti record delle tariffe dei servizi pubblici, come nel caso dell'acqua arrivata a costare il 250% in più rispetto al 1997, così come denunciato dai comitati per la difesa dell'acqua pubblica impegnati a raccogliere le firme per promuovere un referendum per bloccarne la privatizzazione. Causa sono gli accordi firmati dal governo che legano i prezzi delle tariffe a quelle internazionali così come stabilito proprio negli accordi del Plan Puebla Panamà e Iirsa.
La maggior parte dei soldi ottenuti con le privatizzazioni e la gran parte del bilancio statale sono invece utilizzati per la politica di sicurezza democratica e per il pagamento degli interessi sul debito, in costante ascesa. Dei 125,7 miliardi di pesos colombiani del bilancio stimato per il 2008, il 46% verrà infatti destinato alla difesa ed al debito; come dire altri soldi alle multinazionali delle armi, alla finanza internazionale e soprattutto altra guerra contro i colombiani.
Nella sua relazione annuale il Moody's, l'agenzia di rating internazionale, attraverso la vicepresidente Alecci ha definito pochi giorni fa fondamentale il ruolo della politica di sicurezza democratica imposta da Uribe che ha finalmente dato garanzie agli investitori internazionali che possono investire in Colombia, avendo un rischio paese molto più basso. Il Moody's arriva persino ad esprimere preoccupazione per il 2010 anno in cui Uribe non potrà più essere eletto per un terzo mandato così come previsto dalla Costituzione, augurandosi una continuazione dell'attuale politica.
Sono in molti in Colombia a sostenere che per bloccare l'azione di Uribe serva una forte mobilitazione popolare insieme ad una grande campagna di solidarietà e di denuncia internazionale senza la quale appare difficilissimo contrastare la quantità enorme di interessi economici e politici che si intrecciano nel paese. La strada per la pace passa dunque non solo per la Colombia ma oggi più che mai dipende anche dalla nostra capacità di promuovere una politica estera e di cooperazione volta a sostenere quanti in Colombia stanno giornalmente difendendo la pace, la giustizia sociale e i diritti umani.

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