Socialisti sì, ma tropical-moderati. Lula getta le basi per il dopo-Lula
Lulista, socialista e tropicale. Il terzo congresso del Partito dei lavoratori brasiliano, tormentato dagli scandali per corruzione e da accese dispute interne, si è concluso domenica serrando le fila dietro al suo leader storico, il presidente Lula Da Silva.
I 931 delegati petisti, che rappresentano quasi un milione di iscritti, hanno accettato digrignando i denti la possibilità che il partito non presenti un proprio candidato per le presidenziali del 2010, come lo stesso Lula aveva chiesto nel suo comizio di sabato davanti all'assemblea plenaria dei petisti. Rinunciare a un candidato proprio sarebbe un passo politico senza precedenti per il Pt, la maggiore forza politica dell'America latina, ma è il prezzo che Lula è disposto a pagare per mantenere l'attuale assetto del governo, una coalizione con il conservatore Pmdb (Partito movimento democratico brtasiliano), che controlla cinque ministeri.
Premuto dai militari, che ancora rivendicano il colpo di stato del 1964, Lula ha consegnato al Pmdb il controllo dello strategico ministero della difesa, in precedenza nelle mani di Waldir Pires, un vecchio militante della sinistra, esiliato negli anni della dittatura. Nello stesso tempo Lula cerca di fare in modo che il variopinto arco di forze che appoggia il suo secondo governo - iniziato nel gennaio dell'anno scorso, in cui coabitano destre e comunisti, evangelici e cattolici - sia la base di sostegno del suo successore a partire dal primo gennaio del 2001. «Vogliamo dare continuità al progetto iniziato nel gennaio del 2003», ripete il presidente ogni volta che gli capita l'occasione.
Dopo cinque anni nel palazzo di Planalto, la sede della presidenza, Lula - a cui la legge impedisce di cercare un'altra rielezione - è diventato meno petista e più pragmatico. Il presidente sa che all'interno della sua alleanza non ci sono quadri con un profilo elettorale pari al suo, e considera azzardato ostinarsi a spingere un candidato petista senza l'appoggio del centro della sua alleanza.
In linea di principio, nel suo discorso di sabato Lula ha di fatto stabilito le grandi linee di quella che sarà l'era post-lulista del partito che egli stesso ha fondato nel 1980 e di cui è stato il candidato presidenziale nelle elezioni del 1989, 1994, 1998, 2002 e 2006.
Martedì scorso, tre giorni prima dell'inizio del congresso che si è celebrato a San Paolo, il tribunale supremo federale aveva dato inizio al processo penale a carico di José Dirceu, l'uomo che ha presieduto il Pt tra il 1995 e il 2003, figura di grande peso personale e ipotetico candidato alla guida dei petisti del dopo-Lula, nel 2010. Dirceu è stato ricevuto calorosamente dalla maggior parte dei tremila militanti che hanno assistito al congresso petista. Dopo lo scandalo del 2005 noto come «mensalao» (un vero e proprio stipendio versato a parlamentari non petisti per assicurarsi il loro voto), scandalo che ha decapitato il vertice esecutivo del partito, la priorità dei leader petisti era che il congresso riuscisse a mantenere l'unità interna del partito. Al termine, il presidente del Pt Ricardo Berzoini ha ammesso che garantire la coesistenza pacifica di correnti come «Costruendo un nuovo Brasile» (quella di Dirceu) e «Messaggio al partito» (quella dell'attuale ministro della giustizia Tarso Genro, referente di un conglomerato di raggruppamenti di sinistra), negli ultimi due anni è stata una vera prodezza. «Il grado di unità che siamo riusciti a mantenere non è poca cosa per un partito eterogeneo come il nostro. Questo è stato un congresso positivo, che ha mostrato la capacità di dialogo delle diverse correnti», ha detto Berzoini, il terzo leader petista dal luglio del 2005.
Ma la fumata bianca che ha segnato la fine delle deliberazioni petiste, in realtà, non è molto più che una tregua temporanea dopo la quale si riapriranno tutti i giochi (e probabilmente tutte le ferite) per le elezioni interne del dicembre prossimo, quando dovrà essere eletta la prossima dirigenza del partito.
Le sei principali correnti interne che hanno preso parte al congresso hanno anche raggiunto un accordo nel difendere il carattere socialista del progetto di paese che il Pt propone al Brasile. L'accordo non è stato altro che una conferma delle tesi già consacrate nei congressi del 1990 e del 1999, ma costituiscono un precedente per la piattaforma che dovrà essere presentata per le elezioni presidenziali dell'ottobre 2010. Il cosiddetto «socialismo petista» è una definizione ambigua, capace di dare spazio a dirigenti di diverso lignaggio ideologico come quelli di sinistra di «Democrazia socialista» del governatore del Rio Grande do Sul Olivio Dutra (mentore del Forum sociale mondiale di Porto Alegre) e quelli neoliberali come l'ex ministro dell'economia Antonio Palocci (l'interlocutore privilegiato del partito con i mercati finanziari). Dutra e Palocci sono due dei possibili candidati alla presidenza del Pt nel dicembre prossimo.
Il «riincontro» con le proprie bandiere socialiste è anche una scommessa del Pt per recuperare lo spazio perduto tra le forze della sinistra nella regione. Dal gennaio del 2005, quando una parte del pubblico fischiò Lula durante il Forum sociale mondiale di Porto Alegre, l'influenza dell'ex dirigente sindacale della sinistra latinoamericana ha sofferto una svalutazione inoccultabile. E mentre il «socialismo tropicale» di Lula e del Pt perdeva terreno, guadagnava invece la sinistra «caraibica», accesamente antimperialista e anche un po cesarista del venezuelano Hugo Chavez, che a quell'incontro del 2005 a Porto Alegre, l'ultimo Forum realizzato in Brasile, aveva riscosso una montagna di applausi. Il congresso del Pt ha annunciato che appoggerà la realizzazione di un nuovo incontro del Forum mondiale nel 2009 a Belem, una delle principali città dell'Amnazzonia brasiliana.
Anche le relazioni tra Lula e Chavez non sono più quelle di un tempo: negli ultimi mesi le divergenze si sono fatte esplicite, come nel caso della polemica sugli agrocombustibili. Lula, che nel marzo scorso ha lanciato una crociata mondiale insieme a Bush, sostiene che l'energia di origine vegetale aprirà il passo a un'era di prosperità in America latina, Africa e Asia. Chavez, insieme a Fidel Castro, ha invece criticato la proposta che, secondo lui, è una strategia del capitale per pagare i suoi peccati contro l'ambiente, trasformando il terzo mondo in una gigantesca prateria produttrice di etanolo e biodiesel, che provocherà il rincaro dei prezzi degli alimenti.
Il Pt: referendum per annullare la «madre delle privatizzazioni»
Il congresso del Partido dos trabalhadores del presidente brasiliano Lula ha approvato la richiesta di un referendum per annullare la privatizzazione di «Vale do Rio Doce», la più grande miniera di ferro a cielo aperto del mondo. Vale do Rio Doce diventò privata durante la presidenza di Fernando Henrique Cardoso, nel 1997, l'epoca d'oro delle grandi smobilitazioni, in cui vennero privatizzate tra l'altro anche le telecomunicazioni - tra gli acquirenti l'italiana Telecom. La compagnia mineraria, che era in attivo, fu venduta per 3 miliardi di dollari: secondo il Pt adesso ne vale almeno 50.
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