Latina

Tra un mese il voto sul Cafta: «Siamo formiche, ma possiamo vincere»

Trattati di libero commercio, la sfida del Costarica agli Stati Uniti

Parla Gerardo Cerdas Vega, coordinatore di "Grito de los Excluidos/as" uno dei comitati per il No al referendum. Il Paese è l'unico a non aver aderito al patto di libero scambio. Contrari partiti, associazioni, «ma soprattutto cittadini»
5 settembre 2007
Luca Martinelli (autore di http://icoloridelmais.blogspot.com)
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Il 7 ottobre la popolazione del Costa Rica sarà chiamata a decidere, con un referendum, se ratificare o meno il trattato di libero commercio tra il proprio Paese e gli Stati Uniti d'America. Firmato nel 2005, il Cafta, Central America Free Trade Agreement, è già in vigore in tutti gli altri Paesi centroamericani.
Il Governo del presidente Arias Sanchez e il Tribunale supremo elettorale (Tse) portano avanti una campagna a favore del Sì sostenuti dall'ambasciata Usa. Tra le ultime decisioni prese dal Tribunale, c'è quella di impedire alle università di divulgare studi che evidenzino l'impatto economico e sociale del trattato.
Per il No, c'è l'ampia coalizione del Movimiento Patriótico No al Tlc, con la sua rete di comitati formati da migliaia di volontari. «È la strategia delle formiche contro gli elefanti - racconta Gerardo Cerdas Vega, giovane sociologo che coordina il "Grito de los Excluidos/as", parte attiva del fronte del "No". Dovunque vada nel Paese trovo mobilitati tutti i settori sociali, e ogni giorno ci sono programmi alla radio, eventi o incontri per dibattere del Cafta. Adesso che il referendum si avvicina, c'è davvero molto da fare. Queste quattro settimane saranno fondamentali».

Il Costa Rica è l'unico Paese dell'America Centrale a non aver ancora ratificato il Cafta. Come avete ottenuto questo risultato?
Nel gennaio del 2003, quando iniziarono i negoziati, ci trovammo in parte già organizzati: l'anno prima avevamo prodotto materiale informativo sull'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), perché il Costa Rica partecipava ai due negoziati.
Da questo nucleo è nato il movimento cittadino anti-Cafta, che oggi si è esteso a tutta la società ed è presente in modo trasversale in tutte le classi sociali. In 5 anni abbiamo lavorato casa per casa, quartiere per quartiere, sindacato per sindacato, scuola dopo scuola… quello che si chiama "un lavoro da formiche", ossia un lavoro lento e apparentemente insignificante ma con un enorme potere sociale. Nel movimento progressivamente sono confluite le organizzazioni popolari del Paese, le vere pioniere di questa lotta.
Vorrei mettere in luce la creatività del movimento per quel che riguarda la produzione di materiali e le forme di espressione, dal tradizionale "volantino" ai video (molti sono su YouTube, ndr ), l'uso di internet (ci sono numerosi blog, ndr ) e quello del teatro e della musica come strumenti del messaggio politico.

Qual è, a tuo avviso, l'aspetto più importante del movimento che si oppone al Trattato di libero commercio?
L'obiettivo comune, e questo unisce molto più che le leadership, che di fatto sono molto diverse. Credo di poter affermare che tutti i movimenti sociali sono schierati contro il Cafta. E che ciascuna organizzazione è importante come le altre, indipendentemente dalla sua misura, perché ognuna agisce a livelli diversi (da quelle in grado di farsi sentire sui mezzi di comunicazione a quelle che lavorano solo nel proprio quartiere). Ci sono sindacati importanti come quello degli elettrici, organizzazioni contadine, ma l'aspetto più significativo è senz'altro il sorgere di espressioni organizzative nuove, nei quartieri, tra i giovani.
Sono realtà che rompono gli schemi organizzativi tradizionali, e questo costituisce una ricchezza politica fondamentale per questo movimento, perché lo rende flessibile e difficile da cooptare.
Esiste anche un Frente Nacional de Apoyo a la Lucha contra el Tlc, di cui fanno parte personalità accademiche e politiche. E anche alcuni partiti politici, come il Frente Amplio e Acción Ciudadana, hanno svolto un ruolo importante nell'invitare la cittadinanza a opporsi al Cafta. Ma la cosa più rilevante è senza dubbio che la società intera si è mobilitata, e questo fa sì che il "fuoco" della resistenza non siano le organizzazioni, più funzionano soprattutto da vettori della mobilitazione.

Prima di ratificare il Cafta, l'assemblea legislativa deve approvare 13 progetti di legge, parte inseparabile del Trattato di libero commercio. Che temi riguardano? È vero che alcuni di questi provvedimenti sarebbero incostituzionali?
Alcuni progetti di legge in discussione, la cosiddetta "agenda di implementazione del Cafta", sono indispensabili affinché il Tlc abbia piena effettività giuridica. I più controversi sono quelli che riguardano il "rafforzamento" dell'Instituto Costarricense de Electricidad (Ice), che a dispetto del nome debilita la più efficiente azienda pubblica del Centro America, per renderla facile preda delle multinazionali (le spagnole Union Fenosa, Iberdrola e Endesa sono già presenti in tutta la regione, ndr ), la legge sulla liberalizzazione delle assicurazioni e delle risorse idriche, l'approvazione di un accordo per la protezione dei brevetti sui vegetali e l'approvazione del Trattato di Budapest (ancora una misura relativa ai brevetti, ndr).
Per finire, un prestito di 220 milioni di dollari da parte della Banca interamericana di sviluppo (Bid), a cui si aggiungono 135 milioni di dollari di fondi pubblici, per sviluppare progetti come «sostegno alla competitività delle piccole e medie imprese, sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento sostenibili e rafforzamento dell'educazione rurale», senza che esista alcun progetto concreto. Un gruppo di lavoro formato da giuristi dell'Università del Costa Rica hanno analizzato il testo del Trattato, segnalando almeno 50 incostituzionalità. Ma la Corte suprema ha dichiarato che il Trattato di libero commercio rispetta la Costituzione.

A ottobre il popolo del Costa Rica voterà "Sì" o "No" alla ratifica del Trattato. A livello mondiale è la prima volta la decisione riguardo a un accordo commerciale si dibatte in una consultazione popolare. Come siete arrivati a questa proposta?
Non abbiamo mai cercato il referendum, perché il nostro obiettivo è sempre stato che il testo del Cafta non fosse nemmeno discusso dall'assemblea legislativa.
L'idea di un referendum è stata lanciata lo scorso anno da un gruppo di cittadini guidati da José Miguel Corrales, ex deputato ed ex candidato alla presidenza del Partido de Liberación Nacional (lo stesso del presidente Oscar Arias). Dopo la marcia del 26 febbraio 2007, a cui hanno partecipato 250 mila persone, il Tribunale supremo elettorale accolse la richiesta di convocare una consultazione popolare. A quel punto, il governo di Oscar Arias decise invece di convocare il referendum e mise la faccia del governo che "ascolta la voce del popolo".
Tutto il processo verso questo referendum, però, è stato pieno di frodi e di arbitrarietà: il governo sta utilizzando i fondi che servono a finanziare i servizi pubblici e progetti sociali per "comprare" le comunità rurali, facendo pressioni perché votino per il "Sì". La pubblicità stupida e ingannevole diffusa dal fronte governativo attraverso i mezzi di comunicazione confonde i cittadini, ai quali non sono mai offerti argomenti validi contro il "No". Ricorrono, addirittura, al vecchio metodo maccartista della "minaccia comunista".
Perciò, anche se è logico che agli occhi della comunità internazionale questo referendum appaia come un momento storico, non dobbiamo perdere di vista le criticità delle condizioni in cui verrà celebrato: il 99,7 per cento della pubblicità sugli organi d'informazione è comprata dal fronte del "Sì" (imprenditori, governo) e appena lo 0,3 per cento dal "No".
La differenza è abissale, ma il Tribunale elettorale non si è preoccupato di garantire equità nell'accesso ai mezzi di comunicazione, nemmeno a quelli pubblici. Ciò non nega, però, l'importanza fondamentale della consultazione del 7 ottobre, e stiamo facendo tutto il possibile perché il "No" vinca.

Come vi siete organizzati per sensibilizzare la popolazione?
Come ho spiegato prima, la nostra è un'organizzazione molto decentrata, basata sull'attivismo di tutti i giorni. In questo contesto, le attività educative sono fondamentali, e passano per la produzione e distribuzione (quasi sempre gratuita) di materiali e bandiere o adesivi, le visite alle comunità contadine e indigene, programmi alle radio, radio comunitarie, e attività artistiche.
C'è stato, però, anche uno sforzo enorme da parte di alcuni partiti politici rappresentanti nell'assemblea legislativa per formare scrutatori e osservatori per il giorno del voto.

Cosa accadrà in caso di vittoria del fronte del "No"? Quale pensi che possa essere la relazione della classe politica? Cosa ti aspetti dagli Stati Uniti d'America?
Se dovessimo vincere sarebbe uno shock per gli Stati Uniti e per tutta la nostra classe politica. Credo che non se lo aspettino e che siano pronti a commettere frodi per impedirlo. Nel caso perdessero, c'è la possibilità che non accettino il risultato, e che arrivi la repressione. È certo che il governo continuerà a far pressione per ratificare almeno l'"agenda d'implementazione", che sarebbe una sorta di Cafta senza il Cafta. Gli Usa, invece, potrebbero imporre sanzioni commerciali, per dare un castigo esemplare e avvertire gli altri Paesi sui rischi che corre che si oppone alla firma di un Trattato di libero commercio. Potrebbero anche trasferire investimenti verso altri Paesi dell'area, come il Nicaragua o l'Honduras, per penalizzare la popolazione con una perdita di posti di lavoro.
Lo scenario è difficile da prevedere, ma voglio evidenziare un aspetto essenziale: le contraddizioni del Cafta rivelano una situazione più complessa, profonda e strutturale. Che vinca il "Sì" o il "No", questa contraddizione resterà latente come elemento centrale della vita politica del Paese nei prossimi anni. Se vince il "No", il nostro prossimo passo dev'essere quello di approfondire la capacità organizzativa e propositiva del popolo. Il Costa Rica ha bisogno di una profonda trasformazione economica, politica e sociale che equivale a una rifondazione del Paese. Ma la classe politica è corrotta e senza orizzonti. Perciò questa rifondazione dev'essere promossa dalla società mobilitata. Ciò che abbiamo oggi è la voglia di politica, che anche se non basta da sola a creare questa trasformazione è un seme di iniziative, e forze popolari che nel lungo periodo possono incidere in modo effettivo e positivo nella costruzione del Paese a cui tutti e tutte aspiriamo.

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