Latina

La resistenza dei movimenti indigeni colombiani nel paradiso dei narcos e dei paramilitari

Cinquant'anni di repressioni e ruberie non hanno fermato la lotta delle comunità di indios
9 settembre 2007
Giovanna Capelli (Senatrice del gruppo del PRC SE Forum Donne)
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Venticinque anni di resistenze. 25 anni di lotte per la dignità, il territorio, l'autonomia, l'unità e la stessa sopravvivenza. Uno dei movimenti indigeni più importanti dell'America Latina, la ONIC (organizzazione nazionale indigena colombiana), celebra in questi giorni un quarto di secolo di resistenza nel paese più martoriato del continente che prima dell'arrivo dei colonizzatori veniva chiamato Abya Ayala.
Da più di mezzo secolo la Colombia soffre un conflitto interno cha negli ultimi anni ha assunto i contorni di una vera e propria guerra contro la popolazione civile. Due terzi di questa vive nella miseria condannata da uno sfruttamento economico. Un modello imposto direttamente da Washington che ha avuto bisogno di allearsi con gli squadroni della morte, con il narcotraffico internazionale, con i militari, i politici e le oligarchie locali. In un continente in rivolta sospinto dall'onda bolivariana e indigena e scosso dalle lotte dei movimenti sociali, la Colombia assume oggi un valore ancora più importante per gli interessi strategici delle multinazionali e per la sicurezza energetica degli Stati Uniti. In questa chiave si comprende l'intensificarsi delle azioni militari condotte e le privatizzazioni portate avanti. Il Plan Colombia, il Plan Patriota, le basi militari, i TLC (trattati di libero commercio), sono solo alcuni degli strumenti di guerra contro un'intera popolazione. Il fedele vassallo di turno questa volta è stato identificato nel governo di Uribe, famoso non solo per questo ma soprattutto per essere il vero mentore del paramilitarismo e del modello di stato parafascista costruito per portare avanti l'azione neoliberista. Lo scandalo degli ultimi mesi in cui sono emerse pubblicamente le responsabilità di un terzo del parlamento sulle sue appartenenze al paramilitarismo, le connessioni con il narcotraffico, le relazioni con le imprese e la corruzione, inizia appena a dare la dimensione del terrorismo di stato e di come un paese sia stato dapprima smontato e poi ricostruito espressamente sugli interessi del capitale e della mafia, nazionale ed internazionale.
All'interno di questo disegno i movimenti indigeni, sociali, afrocolombiani, sindacali e tutte le organizzazioni che si ribellano a questa prospettiva costituiscono un ostacolo da eliminare. Il paramilitarismo nasce infatti non per combattere le guerriglie delle Farc e delle ELN ma per sterminare gli oppositori sociali e politici e terrorizzare la popolazione civile. Basti pensare alle 65 mila esecuzioni extragiudiziali degli ultimi trenta anni, tra le quali le cinquemila legate alla formazione di sinistra della Union Patriottica ed al Partito Comunista Colombiano, ai quasi tremila sindacalisti uccisi negli ultimi venti anni ed ai quattro milioni di sfollati interni. Cifre che fanno rabbrividire ma che fanno ancor più far riflettere sulla straordinaria capacità di resistenza dei movimenti colombiani a partire proprio da quello indigeno che più di tutti ha pagato in termini storici e sociali.
Solo nei primi otto mesi di questo anno sono quasi trecento gli indigeni assassinati e migliaia le violazioni dei diritti umani, ma nonostante questo "la parola continua a camminare". La resistenza indigena nonostante l'esiguità numerica, visto che rappresenta "solo" un milione e trecentomila dei quarantacinque milioni di colombiani, è impressionante per forza e creatività. I 92 popoli nativi che ancora vivono in Colombia rispondono colpo su colpo alle attività criminali delle multinazionali nei loro territori, violati non solo dalla brutalità della forza ma anche dalla stessa incapacità del diritto internazionale di farsi sentire. La Corte Interamericana per i diritti umani e le Nazioni Unite attraverso l'Alto Commissariato per i Diritti Umani hanno più volte condannato il governo Uribe chiedendogli di modificare la sua politica verso le comunità indigene, ma sino ad oggi niente è servito a cambiare la situazione.
Sono 18 i popoli indigeni che rischiano l'estinzione a causa del conflitto e delle attività delle multinazionali, tutte compiute in totale violazione del diritto e delle convenzioni internazionale. «Sino ad oggi solo la nostra resistenza e la solidarietà internazionale dal basso ci hanno consentito di continuare ad esistere in quanto indigeni. I governi continuano a disconoscere tutti i nostri diritti, mentre le istituzioni multilaterali sono incapaci di far applicare ciò che esse stesse dicono e la grande cooperazione internazionale ha solo avuto un ruolo negativo o di divisione delle nostre lotte», dice Luis Evelis Andrade presidente della ONIC. In questo senso anche il nostro paese viene chiamato in causa. Ci appare davvero incomprensibile come si possa continuare a non denunciare sul piano internazionale un governo parafascista come quello di Uribe mentre nello stesso tempo si "dimostra preoccupazione" per i governi venezuelano, boliviano ed ecuadoriano. Ridistribuire equamente le ricchezze, nazionalizzare le proprie risorse garantendo comunque margini di grandi profitti ai privati, sradicare l'analfabetismo ed investire nel sociale invece che nelle guerre fa storcere il naso e infastidisce la "democratica" Europa, mentre la rende muta tutto ciò che avviene quotidianamente in Colombia. Dovremmo allora con franchezza parlare di collusione o di incapacità da parte dell'Ue di articolare una politica indipendente dagli interessi del governo di Washington e delle grandi transnazionali. Bisognerebbe quindi che qualcuno ci dica da questo punto di vista da che parte sta il governo italiano, mentre sicuramente i movimenti del nostro paese hanno già dimostrato di scegliere la pace e la giustizia sociale rispetto allo sfruttamento e le guerre.
Per appoggiare il movimento indigeno colombiano in questi anni A Sud, canalizzando il sostegno di piccole realtà di base e di alcune istituzioni locali, ha rafforzato il sistema informativo indigeno realizzando 36 radio comunitarie, costituito un osservatorio legale, appoggiato ed accompagnato sul campo i processi di resistenza di alcune delle lotte simboliche contro lo sfruttamento petrolifero, iniziato la campagna per la "liberazione della Madre Terra" e per il riconoscimento del "debito ecologico", sostenuto le attività per il ritorno nei territori delle comunità sfollate.
Dopo la mozione presentata dal gruppo al Senato dal Prc in sostegno al movimento indigeno colombiano in seguito alla visita della ONIC e delle rappresentanti delle donne Wayùu organizzata da A Sud nell'ottobre del 2006 qualcosa si è mosso. Lo scorso cinque settembre durante una Missione internazionale di verifica dei diritti dei popoli nativi organizzata proprio da A Sud e dal gruppo al Senato del PRC si è vissuta una delle tappe più intense di questo percorso fatto di reciprocità e di comuni ideali: l'inaugurazione della casa delle donne Wayùu. La concretizzazione di una prima fase di un progetto di cooperazione dal basso che parte dal sostegno alle lotte delle donne per l'affermazione dei loro diritti e contro l'impunità del paramilitarismo che negli ultimi anni ha massacrato e violato centinaia di loro. Questo straordinario popolo matrilineare fatto di donne guerriere che vive da millenni nella regione della Guajira al nord della Colombia, ha visto il proprio territorio trasformato nell'epicentro degli interessi del narcotraffico e di nove megaprogetti, tra i quali la più grande miniera di carbone a cielo aperto, un gasdotto, un porto multifunzionale e persino un progetto di ecoturismo, che ha causato lo sfollamento di molti Wayùu dai loro territori, costretti adesso a vivere in condizioni inumane. Tutto viene rubato da questa terra, mentre ai suoi legittimi figli non rimane nulla se non il dolore per le morti subite. Per continuare a resistere e per continuare a formare ed informare tante di loro, le donne Wayùu hanno chiesto ad A Sud che venisse comprata una casa in uno dei punti strategici della Guajira in cui si incrociano molti di questi interessi: cautros vias. Una casa realizzata anche grazie all'appoggio del Comitato Piazza Carlo Giuliani e che è stata dedicata proprio al nostro Carlo, legando simbolicamente il suo nome ai quei morti Wayùu che in questi anni si sono battuti per gli stessi valori in cui lui credeva e per i quali è stato ammazzato. Un'azione dal basso che avvicina i nostri popoli, che rafforza le nostre lotte e che dimostra come sia possibile costruire un altro modo di fare politica.

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