Latina

La corsa all'oro continua ad uccidere nel Paese centroamericano

Guatemala. Altre vite spezzate dall’oro

24 ottobre 2007

Conobbi Fedelino Lopéz e Emilio García più di un anno fa. Entrambi facevano parte dell’associazione delle comunità per lo sviluppo integrale dell’area Chortí: COMUNDICH. I Chortí sono una delle 22 etnie Maya del Guatemala. Vivono nel sud-est. Vicino alla frontiera con l’Honduras, in una delle zone più povere del Paese. L’area Chortí è conosciuta solo per il clima caratterizzato da un caldo torrido d’inverno e da un caldo ancora più torrido d’estate. La terra da quelle parti non rende tanto. Per farle produrre un po’ di mais bisogna lavorarla a lungo ed escogitare i più svariati sistemi di irrigazione per sfruttare al massimo l’acqua che scende dalle montagne della Sierra de las Minas.
Qualche anno fa, però, arrivarono dei signori eleganti a promettere un futuro di prosperità all’area Chortí. Avevano scoperto giacimenti d’oro sotto le loro terre. Al principio la cosa appariva promettente ma ben presto rivelò la sua indole subdola. Le miniere d’oro sono in mano a grandi multinazionali straniere e solo una minuscola, infinitesimale parte dei guadagni resta in Guatemala. Di questa una parte ancora più piccola resta alle comunità interessate. Un quasi nulla. In compenso nell’area Chortí arrivarono le voci di paesi senza acqua e senza vita per colpa delle miniere d’oro a cielo aperto.
Io stesso fui da quelle parti insieme a Carlos Amador a raccontare il caso della Valle de Siria in Honduras dove la miniera San Martín, ora finalmente costretta a chiudere i battenti, in soli 7 anni prosciugò l’acqua di 19 dei 24 fiumi dell’intera vallata. E a portare la testimonianza di Nuova Palo Ralo (sempre nella Valle de Siria, in Honduras) dove 8 bambini su 10 muoiono prima di compiere un anno. E quella di El Pedernal dove il 98% della popolazione ha sofferto di malattie alla pelle nel 2004, e dove l’osteoporosi infantile rappresenta ormai una malattia “endemica”. O il caso di Sipakapa, nell’occidente del Guatemala, dove la miniera Marlin consuma ogni giorno l’acqua che consumerebbero 200.000 guatemaltechi in una zona dove non ne vivono neanche 50.000.
E fu così che nacque COMUNDICH. Un gruppo di indigeni Chortí, tra cui Fedelino Lopéz ed Emilio García, si riunirono e diedero vita a questa associazione che prevedeva lo sviluppo integrale dell’area Chortí. Cioè uno sviluppo rispettoso dell’ambiente e della natura. Uno sviluppo che non porti necessariamente al prosciugamento di tutte le fonti acquifere già scarse in quella zona. COMUNDICH è nata da indigeni Chortí. Da gente che per tutta la vita ha dovuto fare i conti con la scarsezza di acqua. Gente che chiude il rubinetto quando si lava i denti non per virtù, ma per necessità. Gente che, per necessità, ha imparato a rispettare ed amare l’acqua come un siberiano ama il sole. E pertanto gente disposta a tutto per evitare che un’impresa straniera usasse la “loro” acqua per estrarre un po’ di “quell’inutile metallo giallo che rende pazzi gli uomini bianchi.”
Gente disposta a tutto. A sacrificare la loro vita per salvare i “loro” fiumi e la “loro” acqua e la “loro” gente. Ed è proprio quello che è successo. Lo scorso 16 settembre Fedelino Lopéz ed Emilio García hanno pagato con la loro vita il loro sogno di una regione Chortí basata sullo sviluppo integrale. Sicari armati al soldo dalle multinazionali dell’oro sono entrati in casa loro e li hanno uccisi con un colpo alla nuca. Perché i vigliacchi non hanno avuto neanche il coraggio di guardarli negli occhi mentre li uccidevano.
E tutto questo in piena campagna elettorale per il secondo turno, dove la sfida tra il Generale Otto Perez Molina e Alvaro Colón gira intorno alle concessioni minerarie e al tema sicurezza.
Quello di Fedelino Lopéz ed Emilio García non è un caso isolato. Dall’inizio dell’anno Amnesty International ha segnalato oltre 180 casi di attacchi contro attivisti dei diritti umani con un’ impennata negli ultimi caldi mesi di campagna elettorale. E gran parte di questi attacchi ha colpito organizzazioni e persone che hanno a che vedere con il tema minerario.
Proprio mentre Fedelino Lopéz ed Emilio García venivano codardamente giustiziati iniziava il processo per diffamazione contro l’organizzazione MadreSelva e contro il sottoscritto per aver dimostrato con prove scientifiche la contaminazione provocata dalla miniera Marlin a Sipakapa, nell’occidente del Paese. Durante la stessa settimana veniva ucciso un leader del sindacato di Izabal anche lui contrario all’attività mineraria e riceveva minacce un associazione femminista del lago di Atitlán anch’essa in opposizione col settore minerario. Per non considerare poi l’ennesima distruzione delle antenne di Radio Nuevo Mundo, il furto ai danni di una associazione che assiste i malati di AIDS/HIV e addirittura le minacce a chi si occupa degli aiuti post-uragano Stan.
Il mio ricordo di Fedelino Lopéz ed Emilio García è quello di due ragazzi giovani e semplici. Due attivisti intelligenti e determinati. Due persone fantastiche che litigavano per pagare la cena con i loro pochi e sudati risparmi ad un ricco attivista italiano.
E ora quello che resta sono solo sette bambini orfani da aggiungere ad un elenco già lunghissimo…

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