Latina

Evo va avanti, l'opposizione si «venezuelizza»

Riuscito solo in parte lo sciopero anti-Morales: indigeni in piazza per difendere costituzione e presidente. Foto hard: cacciato il ministro «di sinistra» Mamani
29 novembre 2007
Pablo Stefanoni
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il presidente boliviano Evo Morales sembra deciso a tenere fermo l'obiettivo di piegare l'opposizione di destra e per questo fa appello alla sua base sociale più leale: i campesinos e gli indigeni. Nonostante le critiche dell'opposizione, la notte di martedì il Congresso ha approvato «il salario dignità», introito generalizzato per tutti quelli con più di 60 anni finanziato con un taglio delle risorse dei dipartimenti, nonostante le prevedibili resistenze dei governatori.
E, approfittando dell'assenza dell'opposizione, spaventata dalla presenza massiccia dei campesinos, il Mas, partito di governo, ha approvato di sorpresa una modifica della legge di convocazione dell'assemblea costituente che le consente di riunirsi lontano da Sucre. In questo modo si cerca di bypassare il clima ostile creatosi in questa città che esige di essere la «capitale piena» della Bolivia e non solo simbolica come finora. «Entro il 14 dicembre i boliviani avranno una nuova costituzione e diranno se la vogliono o no attraverso un referendum», ha detto ieri il vicepresidente Alvaro Garcia Linera non curandosi dei tentativi dell'opposizione e di vari dipartimenti di disconoscere «un testo scritto con il sangue dei boliviani».
Lo scorso finesettimana, la costituente, riunita in un liceo militare a Sucre e senza la presenza dell'opposizione di destra, ha approvato «in blocco» la nuova costituzione che prevede l'impossibilità di future privatizzazioni, misure in favore degli indigeni e la possibilità di rielezione illimitata del presidente, oltre al referendum revocatorio (come in Venezuela).
Ieri, in un contesto di crescente polarizzazione, 6 dei 9 governatori e i comitati civico-imprenditoriali sono riusciti a paralizzare parzialmente i rispettivi dipartimenti sull'onda del rifiuto della nuova costituzione e del taglio dei budget. «E' uno sciopero forte e pacifico», ha detto il presidente del Comité Civico di Santa Cruz, Branko Marinkovic, annunciando che «la resistenza civile contro un governo anti-democratico continuerà». Tuttavia, come in precedenti occasioni, militanti della Union Juvenil Cruceñista - un gruppo d'urto con forti connotati razzisti del movimento autonomista - sono poi usciti per le strade per scontrarsi con chi allo sciopero non voleva partecipare, in genere i venditori ambulanti quasi sempre provenienti dall'occidente andino del paese. In un clima tesissimo, a partire da lunedì diversi giornalisti e sedi di giornali sono stati aggrediti e Sucre è rimasta completamente paralizzata nel rifiuto delle violenze dello scorso fine settimana, mentre il ministero degli interni ha ordinato il ritorno in città alla polizia nazionale che si era ritirata dopo il saccheggio delle sue caserme e il furto dei suoi armamenti. Ieri numerosi detenuti, dopo la fuga di molti fuggiti approfittando degli scontri, sono restati all'interno del carcere per loro volontà.
Nonostante tutto, il successo dello sciopero è stato solo parziale. A Santa Cruz e Tarija l'adesione è stata massiccia, sfidata tuttavia da settori di campesinos e abitanti dei barrios popolari. A Cochabamba, la polizia ha impedito che gli scontri fra seguaci e oppositori di Evo Morales uscissero di controllo. Nelle radio di La Paz diversi ascoltatori ricordavano come, negli anni '90, gli imprenditori di Santa Cruz rifiutavano gli scioperi e i blocchi stradali organizzati dalle organizzazioni popolari in nome della produzione. Oggi è il governo di sinistra che chiede la pace sociale e la destra, con i suoi fuoristrada, a paralizzare città e bloccare strade.
Paradossalmente, con l'ossessione di Chavez, l'opposizione boliviana si è «venezuelizzata» più dello stesso governo e ha fatto propria la strategia del ritiro e della destabilizzazione. Così, gli oppositori di Morales si sono ritirati dalla costituente e martedì si sono rifiutati di partecipare alle sedute del Congresso. E, come gli anti-chavisti fino al golpe del 2002, l'ala dura dell'opposizione conservatrice sogna di cacciare Evo prima del tempo: l'ex-presidente Jorge Quiroga ha lamentato la virtuale «chiusura» del senato (controllato dall'opposizione) da parte del governo, per mano dei campesinos che, ha detto, avevano le foto dei senatori dell'opposizione «per identificarli e linciarli».
Nonostante tutto, con una popolarità del 60%, Evo Morales è deciso a portare il suo progetto di nuova costituzione al referendum, consapevole del forte discredito di un'opposizione ancora legata alle disastrose politiche neo-liberiste degli anni '90. E confida anche che la maggioranza dei boliviani inchiodi la destra - «che non tollera un indio alla testa della Bolivia» - per i morti di Sucre.
Ma la guerra sucia è aperta, come dimostra il caso di Abel Mamani, ministro senza portafoglio dell'acqua, licenziato ieri da Evo Morales dopo l'apparizione di alcune foto che lo ritraggono, semisvenuto, con una signorina disinibita. Mamani ha parlato di un ricatto che andava avanti da tempo.

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