Calderon, un anno da «espurio»
Per celebrare il primo anniversario del suo insediamento, Felipe Calderón, presidente degli Stati uniti messicani, ha dato un gran ricevimento sabato 1º dicembre a Palacio Nacional. L'anno scorso era dovuto entrare quasi di straforo nel Congresso, in mezzo a grandi proteste, per mettersi da solo la fascia presidenziale. Quest'anno, ha festeggiato con più di duecento invitati, membri eccellenti del Pan, il partito della destra cattolica al governo, affaristi e industriali, alti prelati, giudici e ministri, qualche intellettuale.
Nessuno degli invitati si è accorto che nella piazza dello Zócalo, di fronte al palazzo, alcuni manifestanti, che gridavano come sempre «Espurio! Usurpador!», sono stati trascinati via dalla polizia. La folla nella piazza, in realtà, era lì per vedere l'inaugurazione della grande pista da pattinaggio che si sarebbe aperta più tardi: 3.200 metri quadri di ghiaccio in pieno Zócalo, attrezzati e messi a disposizione dei cittadini dal sindaco di centro-sinistra (Prd) Marcelo Ebrard.
Ispirato forse dalle estati romane, questa non è la prima iniziativa indovinata di Ebrard, un governante che continua a non riconoscere la legittimità del presidente Calderón, a differenza della corrente maggioritaria del suo partito, che si è piegata a una certa realpolitik con l'esecutivo, credendo ovviamente di poterne trarre vantaggio.
Ma la ferita delle elezioni fraudolente del 2 luglio 2006, che scipparono la vittoria al candidato della sinistra Andrés Manuel Lopez Obrador, non si è ancora rimarginata. E il paradosso messicano non accenna a chiudersi: un presidente «legale» - Calderón - inseguito da fischi e contestazioni anche all'estero e un presidente «legittimo» - Lopez Obrador - l'unico uomo politico capace di riempire lo Zócalo con un movimento popolare in crescita.
Suonava così assai falsa, nel cortile del Palazzo, l'esortazione di Calderón all'unione di tutti i messicani, dopo che la sua lunghissima propaganda elettorale - «offerta» da Bush e Aznar - non aveva mai smesso di spingere allo scontro e all'odio antipopolare. E addirittura ingenuo - e certamente tardivo - l'avvertimento a politici e funzionari a resistere all'infiltrazione del narcotraffico e della delinquenza organizzata.
L'avrà detto per lavare l'affronto della frase pronunciata pochi giorni fa dal congressista statunitense Tom Tancredo? «Il Messico è di per sé un cartello della droga. E' difficile dire dove finisce il governo e dove comincia il cartello». Un'affermazione che, a parte il tono razzista dell'ultraconservatore, non è poi così campata in aria, visto che le carceri messicane ospitano addirittura generali come Gutierrez Rebollo, ex-zar antidroga amico dei narcos, ed ex-governatori come Mario Villanueva, latitante per due anni e attualmente in processo di estradizione verso gli Usa.
Di fatto, proprio nelle ore della celebrazione del primo anno di presidenza, Calderón si è visto recapitare un imbarazzante regalo di compleanno: una dozzina di esecuzioni in tutto il paese, fra cui quella di un ex-parlamentare che aveva denunciato i legami fra mafia di frontiera e candidati politici.
Il maggiore cavallo di battaglia del neopresidente, la lotta al narcotraffico, esumato nella speranza di guadagnarsi una legittimità che le elezioni non gli avevano dato, non solo non ha prodotto i risultati sperati, ma ha esacerbato l'aggressività delle organizzazioni criminali. Appoggiandosi continuamente all'esercito - e mettendosi, appena possibile, in divisa - Calderón ha finito per deteriorarne gravemente l'immagine, esponendo i militari a gravi violazioni dei diritti umani e usandoli per reprimere il dissenso e le proteste.
Gli unici risultati concreti di una strategia antidroga che consiste nel riversare l'esercito nelle strade, sono stati finora un incremento delle narcoejecuciones - gli omicidi ordinati dai capi della droga al ritmo di una decina al giorno - e l'aumento del prezzo della cocaina, che sul mercato statunitense è passato da 100 a 150 dollari al grammo. E' facile indovinare chi sono i più soddisfatti della nuova situazione.
Nella festa a Palazzo, insomma, non c'è stato poi così tanto da festeggiare. La promessa di nuovi posti di lavoro, che era stata la principale bandiera di campagna di Calderón, si è rivelata una tragica beffa. Nessuno crede nei dati ufficiali sull'aumento dell'occupazione - 950mila posti in più - a meno che non si tratti degli espatriati, perché l'emigrazione illegale verso gli Stati uniti non accenna a diminuire, a dispetto del rafforzamento della frontiera e dei raid antiimmigrati, a cui i gringos si dedicano con passione preelettorale.
Mentre gli agognati investimenti stranieri continuano a farsi aspettare - in attesa del boccone più ambito, la privatizzazione del petrolio - il Banco de México non riesce a occultare che la fuga di capitali ha assunto dimensioni allarmanti: secondo le proiezioni ufficiali sarà di 16 miliardi di dollari alla fine dell'anno, la maggiore dell'ultimo decennio.
Il solo annuncio del prossimo rincaro della benzina ha provocato un aumento dei generi di prima necessità del 35%. La tortilla, base dell'alimentazione popolare, sta diventando un lusso per i ceti più poveri. Le uniche due riforme strutturali passate nel primo anno di governo sono una ristrutturazione del sistema pensionistico secondo i dettami neoliberisti e una nuova legge elettorale che ha perso i denti per strada, sotto i colpi dell'onnipotente duopolio televisivo. Due riforme che stanno suscitando più critiche e proteste che consensi.
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