Il Vescovo contro Lula per il fiume e la sua gente
Globalizzazione contro sviluppo locale, opere faraoniche contro gestione partecipata, esercito contro contadini indigeni, fucili contro digiuni. Non stiamo parlando della lotta contro le grandi dighe nella valle del Narmada ma del Brasile di Lula dove un vescovo, don Frei Luis Flávio Cappio, è entrato nella sua prima settimana di "digiuno di preghiera" come ha definito lui stesso la sua forma di protesta per rassicurare la Santa Sede che l'aveva invitato a desistere. Il problema è che al vescovo francescano di Barra (nello stato di Bahia) è restato solo lo sciopero della fame per impedire che il governo di Brasilia modifichi il corso del Rio Sao Francisco al fine di irrigare l'arido Nord-Est del paese. Nella diocesi di Cabrobó, dove secondo l'agenzia Misna monsignor Cappio si è ritirato, stanno arrivando i rappresentanti dei numerosi popoli nativi insieme agli ambientalisti e ai vescovi dalle diocesi vicine, tutti molto solidali con la lotta del francescano. Perfino la Commissione episcopale brasiliana ha inviato una lettera al presidente Lula invitandolo a cancellare il progetto di deviazione del fiume Sao Francisco. Il Brasile come l'India appunto, con due modelli di sviluppo messi a confronto e due governi di centro-sinistra che, tradendo il mandato elettorale, decidono di continuare sulle orme dei propri predecessori anche in presenza di valide alternative.
Per usare le parole del vescovo tratte dalla sua Lettera al Popolo del Nord-Est «credevo sinceramente che il governo federale avrebbe mantenuto la parola circa l'accordo che avevamo firmato, che prevedeva un ampio, trasparente e partecipativo dibattito nazionale sullo sviluppo del Semi-arido e del Bacino del Sao Francisco. Eravamo sicuri che, se si fosse svolto un autentico dibattito, sarebbero emerse le reali necessità del Semi-arido e sarebbe risultato evidente che la deviazione non serviva, né al popolo né al fiume».
E' la seconda volta infatti che monsignor Cappio si sottopone a un duro sciopero della fame per sventare i progetti governativi sul fiume Sao Francisco. Nell'ottobre 2005 il vescovo (61 anni) aveva digiunato per 11 giorni e si era fermato soltanto dopo un ricovero e un colloquio col presidente Lula, al termine del quale era stato firmato un accordo. Nel 2006, con le elezioni in arrivo, la deviazione del fiume sembrava definitivamente uscita dall'agenda governativa ma, dopo la riconferma, Lula ha inserito l'opera nella lista dei Progetti del Programma di Accelerazione della Crescita annunciato il 22 gennaio 2007. Quale sia il tipo di crescita che Brasilia ha deciso d'imboccare a passo di corsa è presto detto: si tratta di costruire 720 chilometri di canali artificiali di cui dovrebbero beneficiare 12 milioni di persone grazie all'irrigazione (300 mila ettari) e alla creazione di posti di lavoro (il solito milione) al costo di circa 2,5 miliardi di euro. In realtà, come denunciato dal vescovo, dalle comunità indigene locali e da alcuni ricercatori, le cose rischiano di andare in modo molto diverso.
Le prime critiche al progetto derivano dagli studi di Joao Abner dell'Università Federale del Rio Grande del Nord, dai quali risulta, prima di tutto, che tra i 12 milioni di nordestini "beneficiati" dal progetto sono inclusi gli abitanti delle maggiori città della regione (Recife, Fortaleza, Joao Pessoa, Campina Grande, ecc.), il 40% dei quali non vive nel semi-arido. Dato che, secondo le previsioni, l'85% dei costi dell'opera che servirà alle industrie per produrre gamberi e prodotti ortofrutticoli da esportare dovrebbe essere finanziato con le bollette, i "beneficiati" si troverebbero a pagare una bolletta da 5 a 7 volte più alta di quella che pagano ora. In realtà solo il 4% dell'acqua sarà destinato alla popolazione: il 26% andrà all'uso urbano e industriale e il 70% all'irrigazione delle colture destinate all'esportazione mentre almeno il 30% andrà perduto con l'evaporazione. Oltretutto la realizzazione del progetto, oltre ad impoverire ulteriormente l'attuale corso del Rio (che negli ultimi 40 anni ha già perso il 40% del suo volume d'acqua, con conseguenze negative per i piccoli agricoltori e i pescatori della zona) potrebbe indurre delle importanti mutazioni negli ecosistemi dei bacini ricettori.
Purtroppo però le critiche dei ricercatori e degli ambientalisti, così come le proteste delle popolazioni locali, non sono bastate. Alla fine di giugno la polizia ha sgombrato un accampamento di 1.600 indigeni nel comune di Cabrobò dove il governo, in attesa di appaltare i lavori, aveva inviato l'esercito per cominciare la deforestazione. Per protestare, il 19 agosto è partita da Belo Horizonte una carovana nazionale alla quale ha partecipato anche il vescovo francescano. Poi, dopo l'espulsione di migliaia di famiglie di piccoli agricoltori, il 4 ottobre scorso don Cappio ha scritto a Lula, accusandolo di non aver onorato la parola data e annunciando la ripresa del "digiuno di preghiera" fino al ritiro dell'esercito e all'archiviazione definitiva del progetto.
«Da molte generazioni» scrive il vescovo «sostengono che solo la grande opera della deviazione "risolve" la siccità. Tra i maggiori interessati ad essa ci sono persone che conoscete bene, dato che sono le stesse che da molti anni dominano e sfruttano la regione, usando la paura della siccità per deviare denaro pubblico e vincere elezioni. Ma la siccità non è un problema che si risolve con le grandi opere». Ci sono infatti progetti alternativi come le opere dell'Atlas Nordest per le città oltre alle esperienze di ASA (Articolazione del Semi-Arido) che puntano alla costruzione di un milione di cisterne per raccogliere l'acqua piovana. Nel Nord-Est sono stati costruiti ben 70 mila laghi artificiali ma ancora mancano i raccordi per convogliare l'acqua a chi ne ha davvero bisogno. Don Cappio ricorda infatti che «molte di queste opere sono ferme, come la riforma agraria che non va avanti» mentre progetti ben più costosi vengono accelerati senza tanti complimenti. Ma alla fine sarà «il popolo, principalmente quello delle città, a finanziare gli usi economici dell'acqua, come l'irrigazione della frutta pregiata, l'allevamento di gamberi e la produzione di acciaio» mentre ai piccoli contadini e ai pescatori, privati di ogni forma di sostentamento, non resterà che imboccare la strada delle favelas.
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