Latina

10 dicembre. Diritti umani, morte, processi e una birra

12 dicembre 2007
Flaviano Bianchini

Circa un anno fa. Il 10 dicembre del 2006 ero in Guatemala. A Cobán. Insieme al mio Amico e Collega Filo. Dovevamo andare verso Chinajá dove la compagnia petrolifera francese Perenco amministra dei pozzi petroliferi che hanno inquinato l’aria così tanto che nei bambini della zona l’incidenza di malattie polmonari è 14 volte la media nazionale.
In un alberghetto di terza categoria nel centro di Cobán la sveglia suonò alle 4.30. Bisognava partire presto per poter fare tutte le analisi e prelevare tutti i campioni in giornata. Ma alle 4.30 non è facile svegliarsi. Per aiutare i nostri occhi ad aprirsi il Filo accese la radio ed udimmo la notizia del giorno. Di quelle notizie con la N maiuscola. Augusto Pinochet era morto. Il Filo, che quando i vari dittatori del Guatemala lottavano per estirpare il cancro del terrorismo se l’era vista brutta solo per aver disegnato qualche vignetta satirica a chi non sapeva neanche prendersi in giro, saltò giù dal letto come un fulmine ed uscì dalla stanza.
Qualche minuto dopo, mezzo rintontito, mi alzai anche io e vidi il mio Amico entrare nella stanza con due birre. Le stappò, me ne diede una e disse:
- Un figlio di puttana in meno al mondo! Salute! Oggi è una bella giornata!-
- Ma quale bella giornata?! Quel gran bastardo ha smesso di soffrire!- fu la mia risposta.
Bevemmo le nostre birre e partimmo per il nostro lavoro. Ma io rimasi della mia idea. Per me quella non era una buona notizia. Anzi, era quasi beffarda a pensare che Pinochet aveva smesso di soffrire proprio nell’anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani…
Tempo dopo lessi un articolo di un Grande Scrittore. Luís Sepúlveda che più o meno alla stessa ora, dall’altra parte del mondo, nelle Asturie, brindava allo stesso modo con un calice sul quale è inciso il nome di un altro Grande Uomo: Vittorio Gassman. Avrebbero dovuto brindare insieme ma i piccoli uomini durano sempre più a lungo dei Grandi Uomini…
Io restai della mia idea. Quella non era una notizia a cui brindare.

Abbiamo tutti aspettato un anno e qualche giorno per veder arrivare un’altra notizia con la N maiuscola. Alberto Fujimori è finalmente finito alla sbarra degli imputati. Con l’accusa di violazione dei diritti umani.
Davanti ad un giudice che gli ricorda “qui comando io” Fujimori si lascia prendere da uno scatto isterico e ricorda che lui “prese” il Paese tormentato dal cancro del terrorismo. Terrorismo che lui, grande statista, estirpò in solo 10 anni, e che lasciò il paese in uno stato di “totale rispetto dei diritti umani”.
Quanto durerà questo processo? Come finirà?
La risposta mi sembra scontata. Il tutto finirà come sempre.
Finirà come è finita per Pinochet, per Videla, per Massera, per Rios Montt, per Cristiani e per tutti gli altri…
E mi rendo conto di quello che sentono Filo e Sepúlveda e altri che, come loro hanno sofferto in prima persona le grandi opere di questi grandi statisti.
E mi rendo conto che nell’impossibilità di avere giustizia l’unica speranza è che la morte arrivi anche per loro…
Mi ci è voluto un anno ma ora sì, sono convinto che quella notizia di un anno fa fu davvero una buona notizia.
E se ci ripenso sento ancora in bocca il sapore amaro della birra…

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