DOLE vende la "pelle dell'orso prima di averlo ucciso"
La prima sentenza nel caso denominato "Téllez" ha favorito sei dei dodici querelanti, riconoscendo il loro stato di sterilità causato dal contatto diretto con questo prodotto. Le due multinazionali nordamericane (una terza, la AMVAC Chemical Corporation, ha preferito un accordo extragiudiziale con gli avvocati dei querelanti) sono state condannate a pagare una quantità di 3,3 milioni di dollari per danni fisici. In una seconda storica sentenza, la Dole è anche stata condannata a pagare ulteriori 2,5 milioni di dollari a cinque dei sei querelanti per danni punitivi o esemplari. I giurati, infatti, hanno riconosciuto che la stessa impresa multinazionale aveva agito in malafede, in quanto era al corrente dei rischi provenienti da un contatto diretto del prodotto con l'essere umano e che il Nemagón era già stato proibito negli Stati Uniti.
Di fronte a questo sconfitta legale, le imprese nordamericane erano ricorse in appello contro le due sentenze, mentre lo studio legale statunitense di Juan José Domínguez (avvocato dei bananeros) aveva fatto lo stesso per i lavoratori che non erano stati beneficiati dalla sentenza.
La situazione ha però avuto una svolta imprevista lo scorso 7 marzo 2008, quando la giudice Victoria Gerrard Chaney ha deciso di imporre la propria autorità e cambiare la seconda sentenza emessa dai giurati, la quale condannava l'impresa Dole Fruit Company Inc. per danni punitivi.
Tale decisione è stata presa in quanto "qualunque pena punitiva per danni sarebbe così arbitraria che potrebbe considerarsi grossolanamente eccessiva e, pertanto, violatrice della Clausola del Giusto Processo stabilita dal XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti¹... se si analizza l'evidenza dal punto di vista più favorevole per i querelanti, si impone il dettato di un verdetto a beneficio della [Dole] come questione di diritto", si legge testualmente in una nota emessa dalla compagnia nordamericana e che cita la sentenza della giudice Cheney.
In base a questa decisione, l'importo totale dei verdetti originari contro Dole che ascendeva a oltre 5 milioni di dollari, è sceso a 1,58 milioni.
Il tribunale ha quindi emesso una sentenza favorevole alla Dole contro sette dei dodici querelanti ed ha accolto la mozione dell'impresa di effettuare nuovamente il processo nel caso di uno di essi. Delle sentenze iniziali, quindi, restano solamente confermati i verdetti per danni fisici a favore di quattro querelanti, per i quali la Dole ha già fatto ricorso in appello.
Secondo quanto espresso da Michael Carter, vicepresidente esecutivo ed assessore legale generale della Dole, "abbiamo sempre sostenuto che in casi come questi l'applicazione di pene punitive per danni è inappropriata e violerebbe i principi costituzionali fondamentali. Il ragionamento soggiacente alla decisione della giudice Chaney sembra impedire chiaramente che si possano imporre alla Dole pene punitive per danni, in qualsiasi delle altre cause promosse in California, indipendentemente che i querelanti siano del Nicaragua o di qualunque altro paese straniero".
Se da una parte questo atteggiamento di voler cambiare la decisione di una giuria lascia sconcertati, soprattutto pensando alle migliaia di persone che continuano a soffrire gli effetti del Nemagón e di fronte alle indiscutibili prove che hanno accertato che la Dole era a conoscenza degli effetti di questo prodotto sulla salute umana, dall'altra bisogna ricordare che tanto le prime sentenze favorevoli agli ex lavoratori quanto quest'ultima a favore della Dole hanno già avuto un ricorso in appello. L'esagerato trionfalismo espresso dalla Dole nel suo comunicato sembra pertanto essere più che altro un ennesimo tentativo di voler "vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso", per creare un clima di delusione ed abbattimento tra i legali, i querelanti e gli ammalati del Nemagón in generale.
Secondo l'avvocato nicaraguense Antonio Hernández Ordeñana, che insieme allo studio legale di Juan José Domínguez hanno presentato la denuncia presso la Corte Superiore di Los Angeles, "bisogna chiarire che questa sentenza della giudice Chaney non ha niente a che vedere con gli appelli, ma è una decisione della giudice che passa sopra a quella dei dodici membri di una giuria che hanno riconosciuto la malafede della Dole. Il sistema giudiziale nordamericano lo permette. Questo sistema - ha continuato Hernandez nel suo dialogo con la Lista Informativa "Nicaragua y más" - lavora in base a sentenze del passato, le quali hanno creato un precedente. Uno dei problemi che si sono presentati è che questo caso non ha precedenti giuridici, né sentenze anteriori che servano da fondamento per le decisioni di una giuria. Quello che ora stiamo facendo è ricorrere in appello per tutte le decisioni prese dalla giudice Cheney e che sia un tribunale di seconda istanza e di maggiore gerarchia quello che decida.
È come essere in un ring e ci stiamo dando dei colpi. Quello che comunque sta accadendo in questo processo è storico e sapevamo già che non sarebbe stato facile".
Hernández ha anche aggiunto che "il comunicato della Dole è troppo sensazionalista e di parte, in quanto non si può dire che questa sentenza della giudice sia un precedente, quando la sentenza non è definitiva e c'è ancora di mezzo l'appello. Si sta cercando di tergiversare la verità", ha concluso l'avvocato nicaraguense.
© (Testo Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )
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