Latina

Scalata a Unión Fenosa?

Mosse e contromosse del Governo mentre si accentua la crisi in Parlamento e per i petrodollari venezuelani
1 maggio 2008
Giorgio Trucchi

Manifestazione contro Unión Fenosa (© Foto G. Trucchi - Archivio)

La confusione politico-istituzionale in Nicaragua sembra aver messo radici profonde e si manifesta nuovamente in questi giorni, che sono di estrema tensione per il rischio di nuovi razionamenti energetici, per le relazioni sempre più complicate con Unión Fenosa, per la crisi alimentaria che sta investendo il continente latinoamericano, per l'ennesima paralisi dei lavori parlamentari e per il velo di silenzio che è stato steso dal governo sull'utilizzo delle centinaia di milioni di petrodollari derivanti dalla cooperazione con il Venezuela.

Tanti temi, ma poche e difficili risposte

I lavori parlamentari sono nuovamente bloccati da alcune settimane a causa dello scontro in atto tra i gruppi dell'opposizione ed i deputati del FSLN.
La decisione del Consejo Supremo Electoral (CSE) di rinviare di sei mesi le elezioni municipali in tre municipi della Costa Atlantica Nord (RAAN), ha sollevato un enorme polverone e polemiche da parte dell'opposizione al governo Ortega e delle principali organizzazioni della cosiddetta società civile.
L'opposizione parlamentare (PLC, ALN, Bancada Democratica Nicaraguense e MRS) è alla fine riuscita a superare l'ostruzionismo sandinista ed ha approvato un decreto legislativo in cui si disconosce la risoluzione del CSE, inviando anche a commissione una richiesta di interpretazione autentica della Legge Elettorale, per verificare se effettivamente il CSE ha il potere di rinviare le elezioni. Resta comunque aperta la discussione se per poter fare un'interpretazione autentica di una legge di rango costituzionale, come in questo caso la Legge Elettorale, sia sufficiente una maggioranza semplice o ci sia invece bisogno di una maggioranza qualificata (56 voti). In quest'ultimo caso l'opposizione non avrebbe i voti necessari.
La Alianza MRS, intanto, ha addirittura presentato un progetto di legge in cui si prevedono pene che arrivano fino alla reclusione per quei funzionari pubblici che decidono di posticipare il diritto al voto degli elettori.

La nuova crisi parlamentare ed istituzionale, purtroppo una delle tante degli ultimi anni, sta di fatto impedendo l'approvazione di leggi di estrema importanza, come la denominata "Legge Antifrode Energetica", voluta fortemente dal governo, dal FMI e da Unión Fenosa, per poter sanzionare anche penalmente i grandi consumatori (oltre 500 kw al mese) che vengono sorpresi a sottrarre illegalmente energia elettrica.
Questo progetto di legge, energicamente criticato dall'opposizione, prevede anche l'obbligo per Unión Fenosa di presentare piani annuali d'investimento nel settore e controlli approfonditi da parte delle autorità dell'Istituto Nicaraguense d'Energia (INE).
La Legge Antifrode Energetica è una delle condizioni poste dal FMI per poter continuare il programma triennale che questo organismo finanziario ha firmato con il governo nicaraguense.
In pericolo sono anche la Legge delle Coste, che regolerebbe finalmente l'uso delle coste in Nicaragua ed una serie di fondi derivanti dalla cooperazione internazionale, che sono vincolati all'esistenza di un programma economico con il FMI.

Se da una parte l'opposizione è per ora riuscita a formare un unico blocco contro la decisione del CSE e del FSLN di rinviare le elezioni nella RAAN, dall'altra è evidente che una serie di scadenze improrogabili, come la nomina di otto magistrati della Corte Suprema di Giustizia (CSJ), potrebbero far scattare nuovamente l'intendimento pragmatico tra PLC e FSLN, riaprendo contraddizioni mai sopite all'interno del liberalismo.
A soli sei mesi dalle elezioni municipali, è quanto mai probabile che qualsiasi incrinatura della recente ritrovata unità della destra nicaraguense venga usata dal FSLN, sia come elemento di "scambio" all'interno del Parlamento, sia come strumento per cercare di disperdere il voto liberale.

I petrodollari di Chávez

In mezzo a questi, a volte poco decifrabili giochi politici, s'inserisce il tema del petrolio venezuelano.
Dopo che l'impresa Clayton Service Financial Corporation (Glencore), che aveva un contratto d'affitto per utilizzare le strutture di Petroleos de Nicaragua (PETRONIC).sparse sul territorio (pompe di benzina, serbatoi di immagazzinamento, mezzi di trasporto, etc), ha nuovamente ceduto più del 50 per cento delle azioni, lo Stato nicaraguense ha ripreso il controllo dell'impresa.

L'Accordo Energetico dell'ALBA, sottoscritto nel 2007 da Ortega e Chávez, stabilisce che il Venezuela somministrerà petrolio, prodotti raffinati e gas liquido al Nicaragua, per una quantità di circa 10 milioni di barili all'anno, equivalenti all'intero fabbisogno nicaraguense.
Stabilisce inoltre che il 50 per cento della fattura verrà pagata a 90 giorni con l'interesse del 2%, mentre il restante 50 per cento si pagherà a 23 anni, con due anni di grazia, allo stesso tasso d'interesse. Di questo secondo 50 per cento finanziato, il 25 per cento verrà assunto da un'impresa mista (ALBA-Caruna) ed i guadagni della vendita confluiranno nel Fondo ALBA per opere sociali. Il restante 25 per cento verrò assunto dalla Repubblica del Nicaragua. A gestire i prodotti del petrolio venezuelano sarà ALBANISA, una società mista nicaraguense-venezuelana in cui PETRONIC e quindi lo Stato nicaraguense, ha il 40 % del pacchetto azionario.
Un giro vorticoso di petrodollari (si parla di circa 300 milioni all'anno) che secondo il governo serviranno per una serie infinita di progetti, come il finanziamento della tariffa pubblica dei trasporti pubblici, i programmi Hambre Cero, Usura Cero, Calles para el Pueblo, il funzionamento delle centrali pubbliche di generazione elettrica che funzionano con petrolio.
Per completare l'informazione, bisogna anche ricordare che il conflitto originatosi mesi fa con la multinazionale ESSO si è concluso con l'affitto e la futura vendita di un settore del centro d'immagazzinamento allo Stato, accordo che permetterà il flusso ininterrotto del petrolio venezuelano in Nicaragua (la struttura di PETRONIC non era infatti in grado di ricevere l'enorme quantità di petrolio proveniente dal paese sudamericano).
La ESSO, intanto, si farà carico della raffinazione di questo stesso petrolio.

Per l'opposizione, invece, il fatto che l'enorme giro d'affari derivante dalla vendita del petrolio venezuelano venga totalmente gestito da imprese miste e non venga riportato all'interno del Bilancio Generale della Repubblica, costituisce un ennesimo esempio della politica di "secretismo" del governo e una quantità enorme di fondi che possono essere utilizzati in modo discrezionale dal governo, oltreché costituire un indebitamento per lo Stato che avrebbe già creato forti tensioni con il FMI.
È proprio per questo che i partiti dell'opposizione e numerose organizzazioni della società civile hanno chiesto alla Contraloría de la República (Corte dei Conti) di iniziare una revisione approfondita dei bilanci di PETRONIC e delle compagnie miste sorte con l'Accordo Energetico dell'ALBA.

Stato azionista di Unión Fenosa?

Ancora più confuso è l'accordo che apparentemente permetterà allo Stato di entrare in possesso del 16 per cento (o comunque di una percentuale tra il 10 e il 20 per cento) del pacchetto azionario di Unión Fenosa, la multinazionale spagnola che controlla la distribuzione dell'energia in Nicaragua e che nel mese di maggio verrà ufficialmente condannata dal Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), durante la sua sessione in Perù.

Secondo l'accordo raggiunto tra le parti lo scorso anno a Madrid, che aveva permesso una progressiva diminuzione dei razionamenti energetici nel paese e l'accordo per la creazione della Legge Antifrode Energetica, lo Stato nicaraguense avrebbe avuto la possibilità di acquisire parte delle azioni dell'impresa spagnola.
La violenta crisi energetica provocata dall'inaspettata esplosione del prezzo del petrolio a livello mondiale, è stata in parte tamponata dall'arrivo nel paese delle centrali elettriche donate o finanziate dal Venezuela e da Cuba all'interno degli accordi dell'ALBA e dall'importazione del petrolio venezuelano.
Nulla però è ancora stato fatto per contenere l'aumento del prezzo di vendita dei combustibili ai privati.
Secondo il presidente Ortega e la stessa Unión Fenosa, l'impresa spagnola avrebbe un debito di circa 70 milioni di dollari con le imprese pubbliche di generazione elettrica, mentre lo Stato sarebbe debitore di circa 50-60 milioni di dollari per energia non pagata. Il saldo finale, di circa 10-11 milioni di dollari, verrebbe ora "pagato" dall'impresa spagnola tramite la consegna di una percentuale del proprio pacchetto azionario allo Stato nicaraguense e l'inserimento di un rappresentante del governo all'interno del consiglio d'amministrazione.

Come forma di pressione per raggiungere un accordo definitivo, è poi sopraggiunta nelle ultime settimane la decisione della Empresa Nacional de Acueductos y Alcantarillados (ENACAL) di chiedere ai tribunali di Managua un sequestro preventivo di beni di Unión Fenosa (immobili e automezzi) per la quantità di circa 1,5 milioni di dollari, per danni provocati dalla mancanza di energia o dalle variazioni improvvise di voltaggio al sistema di pompaggio in varie parti di Managua.

© (Testo e Foto Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )

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