Guatemala: Condannati cinque ex-paramilitari
Il 29 Maggio 2008 sarà ricordato in Guatemala come una data storica: cinque ex-paramilitari appartenenti alle Patrullas de Autodefensa Civil (Pac) sono stati condannati a 30 anni per ciascuno dei 26 crimini di cui si sono macchiati. Questa sentenza, così significativa, potrebbe costituire un punto di svolta ed una buona iniezione di fiducia sia per i guatemaltechi sia per tutti gli attivisti per i diritti umani impegnati da anni nel paese centroamericano per far luce sugli anni bui della guerra civile e del conflitto armato protrattosi dal 1960 al 1996. Se la condanna è arrivata soltanto per cinque ex-patrulleros, una goccia nel mare di impunità che ancora protegge molti protagonisti degli anni drammatici delle dittature che si sono susseguite in Guatemala, è altrettanto vero che la decisione presa dal Tribunale di Salamà (città situata nel dipartimento di Baja Verapaz) segna comunque un riscatto significativo rispetto al 7 febbraio 2005, quando fu scritta una delle pagine più nere non solo nella storia dei diritti umani del paese, ma anche del suo sistema giudiziario. In quella circostanza infatti la Corte Costituzionale concesse l'amnistia a 16 soldati colpevoli di aver ucciso 226 abitanti del villaggio di Dos Erres durante gli anni della guerra civile per il loro presunto appoggio alla guerriglia: una simile decisione fu presa sulla base di una legge di amnistia che dichiarava non più condannabili alcuni reati commessi durante il periodo del conflitto armato.
La decisione del tribunale di Salamà potrebbe essere perciò un segnale significativo per un beneagurante cambio di tendenza, proprio nei giorni in cui i membri della Fundación de Antropología Forense en Guatemala (Fafg) hanno subìto pesanti minacce di morte per via del loro interessamento al cosiddetto "massacro del Rio Negro", avvenuto nel marzo del 1982. Proprio in relazione a questo massacro il Tribunale ha condannato i cinque ex-paramilitari, che insieme all'esercito guatemalteco uccisero 70 donne e 107 bambini dell'etnia indigena Achí, colpevoli solamente di essersi opposti alla costruzione di una centrale idroelettrica. I fatti della comunità di Rio Negro rappresentano solo uno dei 669 casi su cui sta ancora indagando la Ceh (Comisión de Esclarecimiento Histórico) di concerto con la Fondazione di Antropologia Forense che, proprio con l'avvicinarsi della sentenza del Tribunale di Salamà, è tornata a subire pesanti intimidazioni.
Le minacce di morte non hanno però impedito al Tribunale di condannare gli ex-patrulleros e costringerli inoltre al pagamento di centomila quetzales (circa 13500 dollari) come indennizzo alle famiglie delle vittime, mentre il caso della Fafg ha avuto una risonanza internazionale. In difesa della Fondazione si sono schierate l'ambasciata svizzera e svedese, mentre l'Instituto Comparado de Ciencias Penales en Guatemala ha ribadito la preoccupazione delle organizzazioni dei diritti umani: ogni volta che cercano di far luce sul passato tramite l’esumazione dei resti dei desaparecidos vengono immediatamente attaccate da gruppi di persone rimaste fedeli alla dittatura e disposte a fare qualsiasi cosa pur di creare destabilizzazione nel paese. Il coraggioso lavoro della Fondazione di Antropologia Forense è stato malvisto fin dall'inizio, soprattutto per la sua capacità di mobilitare associazioni storiche che da tempo si occupano di raggiungere la verità per i familiari dei tanti desaparecidos, quali Conavigua (Coordinadora Nacional de Viudas en Guatemala) e Gam (Grupo de Apoyo Mutuo).
Nel corso degli anni il lavoro degli antropologi forensi ha raggiunto un consenso sempre maggiore, dovuto anche alla capacità di antropologi forensi cileni e argentini, giunti in Guatemala per formare e al tempo stesso lavorare con i loro omologhi guatemaltechi, di scovare alcuni dei cimiteri clandestini dove sono stati nascosti i resti delle vittime del conflitto armato.
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