Gli abitanti di Cerro de Pasco, nel cuore delle Ande peruviane, si vantano di due cose: essere la città situata alla più alta quota del mondo (ben 4360 m.s.l.m.) e di avere la piazza centrale più grande del mondo. Una piazza lunga 1,8 km, larga 1,6 km e profonda ben 800 metri. Più che una piazza una vera e propria voragine. Qui la chiamano semplicemente el tajo, il taglio. Un taglio che avanza e che piano piano inghiotte pezzi di città.
El tajo non è nient’altro che la voragine di una miniera a cielo aperto.
Che da queste parti ci fossero minerali preziosi non è un mistero per nessuno. Un cronista del XVI secolo narra che da qua vicino provenne una parte dell’argento necessario per il riscatto di Atahualpa (l’ultimo imperatore Inca per cui gli spagnoli chiesero come riscatto una stanza piena di oro e due piene di argento, e che, una volta ricevuto le ricchezze, uccisero ugualmente). La città vera e propria nacque solo qualche anno dopo, nel 1578, come agglomerato minerario. La città crebbe rapidamente ma in realtà non visse né dell’oro né dell’argento né degli altri metalli presenti nel suo sottosuolo. Bensì Cerro de Pasco, seppur nata come una città mineraria, si sviluppò come una città dedita al commercio. Posizionata esattamente a metà strada tra la capitale Lima e il bacino amazzonico, nel tempo la città ha saputo approfittare di questa sua posizione fino a diventare, verso la fine del XVIII secolo e per tutto il XIX, una delle città più importanti dell’intero Perù, competendo con Cuzco e Arequipa.
Nel frattempo qui intorno qualcuno continuava ad estrarre oro ed argento in maniera artigianale, principalmente in miniere sotterranee. Ma le cose cambiarono radicalmente durante la prima guerra mondiale quando il progresso industriale e la necessità di materie prime in Europa e negli Stati Uniti ha fatto letteralmente esplodere il prezzo del rame e del piombo (indispensabile per le armi). Nel 1915 infatti le piccole miniere artigianali vengono comprate dalla multinazionale statunitense Cerro de Pasco Copper Corporation che però non cambiò il tipo di produzione fino al 1957.
Negli anni ’50, un secondo boom industriale, unito alla corsa agli armamenti di USA e URSS, fa esplodere nuovamente il prezzo del rame, del piombo e del nichel. Così la Cerro de Pasco Copper Corporation decide di cambiare la tecnica di estrazione e si converte in una miniera a cielo aperto e inizia a estrarre in grande scala rame, piombo, nichel e argento.
Ma c’è un piccolo problema, dove la compagnia vuole dare origine alla miniera a cielo aperto c’è la città. È così che nasce el tajo. El muestro que se come la ciudad, il mostro che si mangia la città.
El tajo infatti non è solo una voragine nel centro della città, ma è una voragine in crescita nel centro della città. Nel 1964 era già sparito un intero quartiere e il governo si vede costretto a correre ai ripari. Inizia così la costruzione de la nueva ciudad, la città nuova, ubicata più in alto rispetto al tajo. Però il progetto non venne portato a termine e la compagnia non volle saperne di partecipare allo spostamento della città. Così molta gente si ritrovò senza casa e iniziò a costruirsela come poteva nelle zone a margine, quelle che, all’epoca, non erano minacciate da el muestro que se come la ciudad.
Come loro anche molti immigrati, soprattutto provenienti dal bacino amazzonico, raggiunsero Cerro de Pasco attirati dalle possibilità lavorative offerte dalla miniera, e costruirono la loro casa come poterono. Ma el tajo avanzava senza tregua. Era una continua lotta alla sopravvivenza. Piano piano il taglio avanzava. Le case più vicine venivano distrutte dalle continue esplosioni, e quando arrivavano gli ingegneri della compagnia per comprarle erano già talmente distrutte che l’impresa poteva comprarsele a prezzi ridicoli. La gente si allontanava e costruiva la sua casa più lontano, senza pianificazione, con strade costruite in maniera artigianale e per questo soggette a continui smottamenti. Perché el tajo cresceva ma cresceva anche la miniera sotterranea che scavava tunnel sotto la città. Così che ogni tanto vedevi, e vedi tutt’ora, crollare case e strade apparentemente lontane da quella che, scherzosamente, viene chiamata la piazza centrale.
Era una battaglia persa. Più avanzava la miniera e più la città spariva, diventava invivibile. Per non parlare dell’inquinamento. La miniera utilizzava grandi quantità di prodotti chimici che venivano riversati nei fiumi, la cui acqua diventava imbevibile. Le
polveri tossiche generate dalle continue esplosioni entravano nei polmoni e te li facevano marcire. E c’era un altro problema. Dove mettere tutte le rocce estratte dal tajo? Le rocce processate finirono per tappare letteralmente il lago Quivlacocha, un lago di circa 200 ettari che ormai è ridotto ad una pozzanghera di una ventina di ettari con un’acqua acida quanto l’aceto.
Le rocce non processate (quelle che non contengono minerale in quantità economicamente vantaggiosa) venivano ammucchiate in vere e proprie montagne che iniziavano a competere con le case per quanto riguarda lo spazio e che iniziavano a emettere polveri dannose e acque di drenaggio fortemente contaminate.
Ma con l’immigrazione di lavoratori uomini e con l’espansione mineraria non erano solo le case ad aumentare. Aumentava la corruzione, la delinquenza e la prostituzione. Nel solo sobborgo di Huayllay, 1600 abitanti, c’erano ben 16 night club e tre bordelli. Uno night club ogni 100 abitanti e un bordello ogni 500. E Cerro de Pasco non faceva, e non fa ancora oggi, eccezione. A contare i bordelli non bastano le dita delle mani ed è quasi impossibile trovare un locale dove bere una birra senza delle ballerine seminude intorno. Anche loro vengono dal bacino amazzonico, essendo le ragazze amazzoniche più belle e più povere di quelle andine. E poi la corruzione e la delinquenza, nettamente superiori agli standard peruviani.
Così, nel 1971 la giunta rivoluzionaria del Generale Juan Velasco Alvarado promulgò il decreto legge n° 18863 che prevedeva di spostare completamente la città da tutt’altra parte “per tutelare la salute e la vita delle popolazioni colpite dall’espansione mineraria”. E nel 1973 compra l’impresa, rendendola statale. Ma nel 1975 la giunta rivoluzionaria viene deposta da un colpo di stato guidato dal Generale Francisco Morales Bermúdez che subito annulla la legge per lo spostamento della città che resta dove era e con gli stessi problemi di sempre.
Intanto cresce il movimento operaio che, con una serie di scioperi, chiede migliori condizioni lavorali e migliori condizioni di vita. Ma i sindacalisti sono oggetto di repressione e persecuzione sia da parte dell’esercito che vede in essi dei pericolosi sovversivi, sia da parte dei guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso che vede in essi dei “moderati nemici della classe contadina”.
Arriviamo agli anni ’90 e ai vari governi di Fujimori (oggi alla sbarra per violazione dei diritti umani e corruzione) e del suo fido consigliere Vladimiro Montesinos (condannato a 35 anni per corruzione, narcotraffico, riciclaggio di denaro sporco e traffico internazionale di armi). Nel 1999, con al governo ancora i due, la compagnia nazionale viene venduta alla compagnia privata VOLCAN al prezzo di 61,7 milioni di dollari, meno della metà della sua quotazione sul mercato. Tra gli azionisti di maggioranza della compagnia VOLCAN una famiglia strettamente legata a Vladimiro Montesinos.
Così arriviamo ai giorni nostri. Attualmente nell’impresa lavoravano circa 2000 persone tutte divise in sottoimprese appaltatrici con meno di 300 dipendenti l’una e, per via di una legge promulgata da Fujimori stesso (e mai abrogata dai suoi “democratici” successori), le imprese con meno di 350 dipendenti non possono associarsi in sindacato.
I minerali estratti vengono trasportati in treno (ma un treno solo merci, niente passeggeri) fino a La Oroya, pochi chilometri più a valle. Altra città sorta dal nulla, questa volta non intorno ad una voragine ma intorno ad una fonderia senza né filtri né depuratori. Quando si arriva a La Oroya la prima cosa che si nota è che le montagne sottovento sono senza la minima traccia di vegetazione. Tutto viene ucciso dai fumi della fonderia. Ma i fumi non uccidono solo le piante. Il 99% degli abitanti di La Oroya presenta piombo nel sangue sopra i limiti accettabili secondo la OMS. Non a caso il prestigioso Times considera La Oroya uno dei dieci luoghi più contaminati del mondo. (Una nota: cinque dei dieci luoghi più contaminati del mondo, sempre secondo il Times, sono luoghi contaminati dall’attività mineraria).
Nel 2006 l’impresa VOLCAN (che nel frattempo ha smesso di estrarre rame ed estrae solo piombo, zinco e argento) promulga il “Piano L” che prevede la distruzione di altri 14,7 ettari della città vecchia, tra cui la cattedrale e la “vera” piazza centrale. Nel 2007 il “Piano M” che prevede la distruzione di altri 30 ettari dopo il 2010, distruggendo così totalmente quella che è la ciudad vieja, la città vecchia.
Intanto lo spazio per porre le rocce che vengono estratte dalla voragine è finito e l’impresa si è comprata tutta la parte alta della conca del fiume Tingo e lì ci butta le sue rocce di scarto a tonnellate inquinando così tutto il fiume e, indirettamente, le oltre 5000 persone che vivono nella sua valle. Inoltre le acque di scarico dell’attività vengono riversate all’aperto nel bel mezzo della città dichiarandole semplicemente “acqua neutra” (lo si vede nel pannello verde alla sinistra della foto) anche se contengono metalli pesanti fino a cinquanta volte oltre il limite di legge.
Negli ultimi anni VOLCAN ha anche acquisito la concessione su tutta l’acqua che viene distribuita alla città. Così mentre l’impresa utilizza 77.760 m3 di acqua al giorno (per capirsi un cubo con lo spigolo di 42,7 m; più di 31 piscine olimpiche piene) qui nella città vecchia l’acqua arriva solo dalle 9.00 alle 11.00 dal lunedì al sabato. Nella città nuova l’acqua arriva solo dalle 8.00 alle 8.30 il martedì, il giovedì e il sabato. In quel piccolo lasso di tempo bisogna riempire tutti i secchi possibili e farseli bastare per due giorni. Quando piove ci si può aiutare con qualche secchio in più da mettere sotto le grondaie, ma nella stagione secca bisogna assolutamente farsi bastare quella che c’è. Come se non bastasse l’acqua che arriva nelle case è contaminata: rame, piombo e zinco sono sopra i limiti di legge. Ma VOLCAN ha anche la concessione sulla gestione della spazzatura che riversa anche quella nella parte alta del fiume Tingo dove maiali, cani e bambini (alla faccia della ricchezza portata dalla miniera) si litigano i pochi avanzi di cibo sguazzando tra le acque acide.
Ad aggravare ulteriormente la situazione negli ultimi anni ci si è messa un’altra miniera. Una piccolissima miniera di proprietà canadese chiamata AUREX. Questa piccola impresa (una trentina di dipendenti in tutto), posta alle spalle della città, in realtà non estrae nulla. Processa e basta. Alle spalle di Cerro de Pasco, infatti, c’è una vecchia miniera d’oro e d’argento dell’epoca coloniale (XVI, XVII secolo). Le tecniche dell’epoca (basate essenzialmente sulla fusione) consentivano di estrarre circa il 30-35% dell’oro e dell’argento presenti nelle rocce. AUREX ha pensato bene di riprendere queste rocce (che sono già triturate, quindi già pronte all’uso) ed irrorarle con cianuro per ottenere l’estrazione del 98-99% dell’oro presente. Ovviamente, a causa del suo alto costo, il cianuro viene recuperato ma, per la stessa proprietà per cui il cianuro si lega all’oro e all’argento si lega anche ad altri metalli che poi vengono riversati nello stesso fiume dove VOLCAN riversa le sua acque “neutre”. E così questo corso d’acqua oggi presenta metalli pesanti fino a 600 volte il limite di legge. Questi metalli si riversano, un centinaio di metri più in basso, nel fiume San Juan dove si diluiscono, ma non abbastanza. Infatti una trentina di chilometri più a valle, quando il fiume si riversa nel lago Junin, le sue acque presentano metalli pesanti ancora 20-30 volte superiori al limite di legge.
Non è un caso quindi che la riserva naturale del lago Junin venga considerata da Parks Watch uno degli ecosistemi più a rischio dell’intero Perù e che l’autoctono Svasso della Puna (Podiceps taczanowskii) ormai non viva più nel lago e che si sia rifugiato nei laghetti circostanti e che venga considerato dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) Critically endangered, in pericolo critico, ovvero lo status subito prima dell’estinzione. Stato che viene assegnato quando si ha una riduzione della popolazione di oltre il 90% in dieci anni.
Ma non è solo lo svasso della Puna ad andarsene. Anche molti uomini e donne emigrano (scappano, dicono qui) dalla grande città mineraria che conta con quasi 20.000 abitanti emigrati, su una popolazione di 78.000 e che ormai dell’antico splendore commerciale non ha che i ricordi. E ultimamente si sta ricominciando a discutere sulla possibilità di spostare la città in un luogo più abitabile. Molti sono contrari (“che se ne vada la miniera, perché dobbiamo andarcene noi!” dicono) pero tanti altri si stanno rendendo conto che forse è il solo modo per poter avere una città, e una vita, normale.
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